Fede eucaristica

La spiritualità del Presbitero guida di una comunità chiamata a generare la fede eucaristica.

Confratelli, nella meditazione-riflessione che vi propongo in questo ritiro spirituale che fa da avvio anche formale all’anno pastorale, vorrei che ci aiutassimo a sintonizzarci tutti, come ordinati di un medesimo Presbiterio, con lo spirito del progetto pastorale diocesano incentrato su “L’Eucaristia celebrata e adorata luogo privilegiato della generazione della fede”.
A tal fine, è quanto mai opportuno che ravviviamo la
coscienza dell’essere discepoli di Gesù grazie al Battesimo insieme con tutti i battezzati, cioè con il popolo di Dio, autorizzato e incaricato della trasmissione del patrimonio della fede cristiana da una generazione all’altra, nella misura in cui si lascia raggiungere dalla potenza vitale della fede contenuta nella Sacra Scrittura e autorevolmente custodita ed esposta dal Magistero. Sotto questo punto di vista siamo tutti discepoli e apostoli. Discepoli per essere apostoli nei confronti di una umanità che pare alquanto estranea e persino allergica alla cultura del Vangelo, plagiata come è dalla cultura, agnostica e atea, della postmodernità.
Ammettiamo pure che l’uomo del nostro tempo, cioè della postmodernità, si mostri alquanto estraneo, indifferente e allergico ai grandi temi della fede. A ben osservare, però, appare in molte circostanze sensibile alla serietà convincente delle argomentazioni testimoniali della fede con le sue ricadute di umanizzazione alta, come ci fa intravvedere il Convegno nazionale della Chiesa italiana a Firenze: “Il Nuovo Umanesimo in Cristo!”. Questa dimensione della fede che potremmo definire missionaria, cioè rivolta ad altri almeno per ricaduta, ci sollecita a maturare in noi stessi una fede più autentica, a vantaggio nostro dunque in primo luogo, in quanto ci sospinge ad uscir dalle secche di una fede di pura tradizione e a rendere più matura una fede ricevuta in famiglia e nella comunità cristiana in stato germinale.
Il Presbiterio interpellato da una fede battesimale autentica e adulta
Prima di considerare la qualità di fede che dovrebbe caratterizzarci come membri del Presbiterio, per essere resi più idonei a trasmetterla ad altri, a quanti sono stati affidati al nostro ministero di pastori, è opportuno che riflettiamo insieme sul versante della nostra fede battesimale. Quella fede che ci fa discepoli di Cristo assieme a tutti i nostri fratelli nella fede battesimale, senza sentirci prescelti per una scuola di discepolato speciale, da università, bypassando gli step precedenti, più elementari. Il rischio sarebbe dannoso. Rischieremmo di essere più dei professionisti della fede che dei credenti, tendenzialmente testimoni di fede autentica.
Abbiamo pertanto il coraggio di rivisitare la nostra fede di cristiani credenti, al pari di tutti gli altri battezzati. Anche a noi il patrimonio della fede cristiana è stato trasmesso fin da bambini. Per molti di noi in un contesto di cristianità, senza bisogno di particolari approfondimenti, protetti come eravamo dall’habitat della cristianità. In ogni caso, mi riferisco anche ai nati e vissuti nella modernità, abbiamo per così dire assorbito la fede con il latte materno. Ma quanto di fatto è stata personalizzata in noi sì da divenire la mappadel nostro pensare, progettare, scegliere e agire? Siamo poi entrati in Seminario per seguire, nella fede, la voce del Signore. La fede, grazie alla vita di Seminario, pur senza essere risparmiata da traversie e travagli, si è consolidata e sufficientemente maturata. E gli anni dellateologia, benché molto diversificati tra chi l’ha frequentata prima o dopo il Concilio Vaticano II, sono stati comunque una grande grazia di Dio. Ci hanno preparato persino ad essere maestri di fede, cioè di Senso del vivere umano, scoperto e trovato in Gesù Cristo, il Crocifisso Risorto.
Non c’è dubbio che la nostra fede battesimale ha bisogno di essere alimentata costantemente. A tale riguardo, proprio considerandone l’importanza ai fini di un aiuto fraterno per tener viva la fede e per farla maturare, non desisto dal farvi coscienza di partecipare agli incontri di vicaria e a quelli di zona. Questi incontri di Congrega e di équipe vanno vissuti nella fede, in un clima di preghiera, di lectio divina, di riflessione, in modo da far crescere nella fede. Diversamente sarebbero sterili. Non vergogniamoci di confidarci tra presbiteri, specialmente quelli della zona o unità pastorale, le vicissitudini della fede battesimale in noi, con i suoi momenti di crisi e con i momenti di forte motivazione; ciò che, del resto alcuni laici fanno in aggregazioni laicali o che dovrebbero fare gli sposi, e in genere i familiari, tra loro.
In definitiva, tutto nella vita del prete deve contribuire a far maturare una fede adulta. L’ordinato, prete e vescovo, è anzitutto un “uomo” credente, un “cristiano” che ci crede, raggiunto dalla chiamata al “presbiterato”.
Tutti, dal vescovo all’ultimo degli ordinati, abbiamo necessità di far crescere e maturare la fede come bella e gioiosa relazione con Cristo e, mediante Lui, con il Padre nel dono comunionale dello Spirito. Allora anche le relazioni con i fedeli saranno più fraterne.
Il Presbiterio nell’esercizio ministeriale di generare la fede nell’Eucaristia
Ma dove trova il suo compimento, la sua più alta e intensa realizzazione tale relazione di fede con Gesù Cristo? Nell’Eucaristia, ilMisterium fidei per eccellenza! Ce lo ricorda l’apostolo Paolo nella prima ai Corinti, là dove evidenzia il contenuto della trasmissione della fede, della Traditio: “ Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso” (1 Cor 11, 23) e narra il dono dell’Eucaristia consegnato alla Chiesa nell’ultima Cena. È sull’Eucaristia, cari presbiteri, sul Misterium fidei che la nostra fede si misura, mentre se ne nutre. Il Cristo Crocifisso e Risorto, quello reale che si fa carico di noi, dell’umanità, delle sue miserie, che opera perché siamo comunione con Lui e tra di noi, è interamente lì, nell’Eucaristia, sacramentum pietatis, signum unitatis, vinculum caritatis (SC 47; Ag. In Io Ev Tr XXVI, 6, 13).
Noi siamo nati simultaneamente all’Eucaristia. In quel “Fate questo in memoria di me!”. Non c’è Eucaristia senza sacerdozio ministeriale né sacerdozio ministeriale senza Eucaristia. Siamo nati con l’Eucaristia, dall’Eucaristia e per l’Eucaristia. Sacerdozio ministeriale ed Eucaristia sono un binomio assolutamente inscindibile. A noi, Presbiterio, compete tenere alta la coscienza di chi è la Chiesa e il mondo, ogni uomo, per l’Eucaristia. E di Chi è l’Eucaristia, per la Chiesa e per il mondo. È la ricchezza assoluta, tutto il Patrimonio del Padre, nato da noi, cioè dal nostro ministero liturgico: “Questo è il mio corpo … Questo è il calice del mio sangue”, per la salvezza dell’uomo: “Offerto in sacrificio per voi e per la moltitudine, in remissione dei peccati”, per questa povera umanità che io sono chiamato ad amare nell’Eucaristia! A cominciare dai miei fedeli, tutti, nessuno escluso, chi sta vivendo come vuole Dio e chi gli è lontano, chi è dominato dai vizi, chi è ingolfato nel malaffare, chi sta buttando via la sua vita, chi sta sfasciando la sua famiglia per egoismo, chi è disperato, chi è insensibile … In quel Cuore dell’Amore di Dio, qual è l’Eucaristia, Cuore non solo della vita liturgica ma del mondo e della storia, ci sono tutti. Tutti amati come solo Dio, nel Figlio Crocifisso Risorto, fatto Eucaristia, sa amarli. L’Eucaristia è il compimento (telos) dell’Amore di Dio, espressione massima e insuperabile dell’amore di Dio per l’uomo peccatore! Più oltre nemmeno a Dio, mistero di Amore trinitario, è possibile spingere l’Amore: “Dio ha tanto amato l’uomo da far dono del suo Unigenito Figlio Eucaristia! (cfr Gv 3, 16). Lì c’è il Tutto messo a disposizione dell’umanità! La celebrazione stessa della Messa, dall’inizio alla fine, mentre rende presente il Mistero Pasquale eucaristico, nel contempo svela tutte le dimensioni dell’essere Eucaristia per l’uomo peccatore, dimensioni che hanno attinenza con il rapporto Eucaristia-vita dell’uomo: dalla convocazione del popolo di Dio, alla richiesta di perdono misericordioso, alla liturgia della Parola. Soffermiamoci un istante proprio sul rapporto Parola – Eucaristia. Ci è lecito rilevare la seguente equazione: come l’Eucaristia è il vero contenuto di tutta la Parola, così tutta la Parola svela il Mistero dell’Eucaristia, ne è cioè l’ermeneutica! E ciò non soltanto quando la Parola di Dio è prefigurazione o preludio dell’Eucaristia (cfr l’agnello pasquale, la manna, il pane di Elia nel deserto..), ma in ogni sua pagina. Di conseguenza, una “bella” omelia è davvero efficace nella misura in cui sa svelare il contenuto eucaristico delle letture per invogliare l’assemblea a lasciarsi trasformare dallo Spirito in Eucaristia. Ricordandoci sempre questa consolante verità di fede: quello Spirito che, grazie al nostro ministero sacramentale, trasforma il pane e il vino in Eucaristia, è lo stesso Spirito che ha trasformato noi da uomini a presbiteri e fa dell’assemblea liturgica una assemblea eucaristizzata, un solo Corpo e un solo Spirito. Mettere in risalto queste sublimi realtà è compito dell’omelia appunto. Siamo lontani anni luce dalle “prediche”, sfogo di stati umorali. Questa ermeneutica della Parola fa in modo che ogni omelia sia un dono per i fedeli di squisita fattura, che ricarica il cuore di conforto, di coraggio, di entusiasmo, di gioia e fa uscire di chiesa più animati di speranza.
Celebrare con fede il Misterium fidei per viverlo e farlo vivere nella fede
Come a suo tempo rifletteremo, focalizzandone l’identità, noi siamo i presidenti della celebrazione dell’Eucaristia. E come tali, in qualità di protagonisti, siamo i primi responsabili della trasmissione della fede che nell’Eucaristia ha il suo contenuto essenziale, il suo cuore. Come avviene ciò? Essendo noi i primi interpellati da una fede vera nell’Eucaristia, prima di tutto dobbiamo ogni giorno maturare in noi uno stato d’animo che ci crede davvero. Per questo non possiamo permetterci il lusso di improvvisare la celebrazione, in fretta e furia; vogliamo impegnarci a predisporre il nostro animo con un atteggiamento di raccoglimento. Prendiamo coscienza poi che, data la fragilità di cui siamo impastati, è quanto mai opportuno compiere frequentemente atti di fede esplicita nell’Eucaristia durante la celebrazione e specialmente appena prima, durante e subito dopo la consacrazione: “Gesù, io ci credo! Ti credo presente! Aumenta la mia fede! Apri gli occhi del mio cuore e della mia mente per riconoscerti senza esitazione!”. E imponiamoci di fare genuflessioni che, senza intenti di ostentazione, siano una vera espressione di fede genuina, rinnovata ogni volta. Infine, i nostri gesti liturgici, e in genere i nostri atteggiamenti, siano connotati da sobria solennità, capace di manifestare visivamente anche all’assemblea che il presbitero presidente ci crede davvero.
Carissimi presbiteri, facciamoci convinti che l’Eucaristia, da noi presieduta è “fons et culmen totius evangelizationis” (PO 5; in LG 11: “totius vitae christianae fontem et culmen”; in PO 6: “radicem cardinemque”). Di fatto tutta l’azione pastorale evangelizzatrice del presbitero e del vescovo non può non tendere a questo “fons et culmen, radix et cardo”, pena il fallimento della stessa pastorale. Nel qual caso non valeva la pena di diventare presbiteri e vescovi. E non si tratta di celebrare, da presidenti, un rito liturgico. Da burocrati del sacro. Ma di fare dell’Eucaristia, celebrata e adorata, la perfetta realizzazione del ministero di presbitero: “In Eucharistia consummatur Presbyterorum ministerium” (PO 2) e il centro della vita personale e pastorale: “La carità pastorale scaturisce soprattutto dal Sacrificio Eucaristico, il quale risulta quindi il centro e la radice di tutta la vita del presbitero, cosicché l’anima sacerdotale si studia di rispecchiare ciò che viene realizzato sull’altare” (PO 14). Se è il centro e la radice di tutta la vita del presbitero, può un prete con disinvoltura non celebrare la Messa quotidiana, magari per futili motivi? Ne va di mezzo l’efficacia della stessa pastorale che vi fa perno. Si comprende infatti perché il Concilio, dopo aver precisato la natura della Liturgia in genere come “culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù” (SC 10), di fatto conduce la nostra attenzione ancora una volta sul mistero eucaristico cui far convergere ogni agire pastorale: “Infatti il lavoro apostolico è ordinato a che tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il Battesimo, si riuniscano in assemblea, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al Sacrificio e alla mensa del Signore” (SC 10). Lo stesso Concilio non esita a manifestare una decisa esortazione: “I parroci abbiano cura che la santa Messa diventi ‘centrum et culmen vitae comunitatis christianae’” (CD 30)
Se tale è il senso della celebrazione dell’Eucaristia, al presbitero, mai disgiunto in solitudine dal Presbiterio, compete far maturare di domenica in domenica il senso della fede eucaristica, aiutando la comunità eucaristica ad entrare nel Mistero, a riconoscere cioè la presenza salvifica di Cristo finalizzata ad assumere la vita del credente, per purificarla e rivitalizzarla.
Ciò può avvenire se tutto concorre a creare nell’assemblea unclima di fede. Per favorire un tal clima di fede occorre saper apprezzare il respiro liturgico del silenzio, dove tutti si impegnano a non creare motivi di distrazione, ma a propiziare una sinergica concentrazione sul Mistero. Ciò vale per l’assemblea dei fedeli. Vale, a maggior ragione, per noi ordinati, specialmente nelle concelebrazioni. Vorrei dire che dipende moltissimo da noi, presidenti della celebrazione, se si crea un clima di silenzio di fede palpabile, soprattutto durante la consacrazione.
Il clima di fede è favorito da una architettura della celebrazione dove tutto è armonioso, senza invadenze, ben dosato nei tempi di esecuzione, senza sforamenti che sbilanciano il tutto, come certe esecuzioni di canti, certe didascalie e certe omelie, con un ritmo esecutivo che non indulge né a lentezze annoianti né ad accelerazioni festaiole. Tutto vibrante di senso del Mistero.
Il clima di fede è favorito pure dal “servizio liturgico” espresso dai ministranti che, servendo all’altare, grazie ad un percorso formativo ad hoc, sono aiutati in modo singolare ad accostare con fede il Mistero eucaristico per farne la forma della loro vita.
Tutto questo per dire che compete al Presbiterio, nella varietà dei suoi ordinati, favorire in tutto  e per tutto, con genialità, unapartecipazione “consapevole, pia e attiva” (SC 48) dei laici, finalizzata, in definitiva, a rendere idonei i fedeli ad offrire se stessi comesacrificio santo, immacolato e a Dio gradito (Cfr SC 48; Rm 12,2), esercitando in tal modo il loro sacerdozio battesimale.
La Messa delle famiglie
A questo punto, mi permettete di ribadire, con la forza di convinzione che viene dal valore in sé ma anche dalle esperienze in atto, l’importanza della “Messa delle famiglie”, con linguaggio, verbale e simbolico, tipicamente familiare. In tal modo vengono trasmessi alcuni metamessaggi estremamente significativi al fine della trasmissione stessa della fede, che nell’Eucaristia ha il suo fulcro e il suo contenuto essenziale: la Messa è importante per gli adulti, per i genitori, i quali, anche con il solo esempio, diventano testimoni credibili e convincenti del valore della Messa. La Messa non è un affare privato, individualistico, ma è l’anima della spiritualità della famiglia cristiana; in famiglia si dà spazio alla comunicazione confidenziale di quanto si è vissuto nella Messa, insieme, con un dialogo tra genitori e figli di sottolineature di quanto ha colpito e di spiegazioni, una sorta di sbriciolatura catechetica, di quanto i più piccoli non avessero ben compreso, sempre in funzione della trasmissione della fede! Se, con il Consiglio pastorale, si intravede che una sola Messa delle famiglie, collocata nel cuore della domenica mattina, in orario comunque il più adatto, non fosse sufficiente, per venire incontro a chi è “occupato” la domenica, se ne crei una anche al sabato sera. Ma non manchi in nessuna parrocchia. Ne verificherete l’efficacia. E ne avrete grande soddisfazione.
Sono convinto che la Messa delle famiglie, adeguatamente preparata, è in grado di far superare, almeno in parte, quell’assurdo iato che si dà per scontato tra frequentazione al catechismo e partecipazione alla Messa domenicale e festiva e quell’allergia, a macchia d’olio, nei confronti della Messa che è il più mostruoso esito del “mistero dell’iniquità in atto”, per usare una espressione di Paolo (2 Ts 2, 7) e che, purtroppo, da qualche anno vede assenze preoccupanti di bambini, di ragazzi, di adolescenti e di giovani nella nostre assemblee liturgiche. Va da sé che la constatazione non ci autorizza allo sconforto e alla rassegnazione, ma ci sollecita a trovare  le vie più idonee perché la Messa parli al loro cuore. Ne hanno una necessità vitale. Se ne riscoprono il valore e se riscoprono la bellezza di parteciparvi con la famiglia e con i coetanei amici, e, vorrei evidenziare il fatto, con la presenza delle catechiste e degli animatori-educatori (sulla cui formazione vogliamo investire molte energie a cominciare da quest’anno, a livello di diocesi, nessuna zona esclusa), apprenderanno la strada dell’incontro sacramentale con il Gesù Eucaristia, fonte del loro vivere con senso. Penso che siamo tutti d’accordo nell’affermare che la vita cristiana o è eucaristica, e dunque eucaristizzata, o non è vita cristiana! Certe esperienze positive lasciano il segno, anche quando violente bufere della vita paiono distruggere tutto: almeno le radici rimangono. Sotto terra, cioè nel loro animo.
Solo un cenno fugace sull’aspetto dell’adorazione all’Eucaristiache della celebrazione è una sorta di continuità, anche perché mi pare di constatare che se ne sta estendendo la pratica in gruppi e associazioni di laici. Cosa lodevole, da sostenere e da incrementare. Nei nostri confronti di ordinati: è difficile pensare che un ordinato, in simbiosi genetica con l’Eucaristia, non riservi dei tempi congrui alla sosta adorante davanti a Gesù Eucaristia. Se un ordinato, presbitero o vescovo, non ne facesse una abitudine assidua e desiderata, dovrebbe preoccuparsene seriamente. A tale riguardo, così si esprime il Concilio Vaticano II: “Abbiano inoltre a cuore i presbiteri, se vogliono compiere con fedeltà il proprio ministero, il dialogo quotidiano con Cristoandandolo a visitare nel tabernacolo e praticando il culto personale della Sacra Eucaristia” (PO 18).
Va da sé che, se Eucaristia e Ordine sacro nel secondo e terzo grado sono inscindibili, la questione di propiziare la grazia di vocazioni al presbiterato non può non interessare l’intera comunità cristiana. La realtà di vocazioni al presbiterato rimane un dato sensibile anche per la nostra diocesi. Non possiamo permetterci sprechi. Né è espressione di buon senso sbilanciarsi sulla vocazione laicale, chiamata a surrogare in qualche modo espressioni tipiche del presbitero. La mancanza di preti, in qualità e in numero adeguato, costituisce un impoverimento preoccupante per gli stessi laici, in funzione della cui maturità di fede essi sono stati chiamati al presbiterato. Come a dire che un presbitero in più o in meno, di qualità, fa la differenza. Non rassegniamoci al venir meno dei preti che lasciano il ministero né alla rarefazione di ingressi in Seminario: in Seminario Minore, in Casa S. Giovanni, in Teologia. È il primo patrimonio di una diocesi da non inflazionare mai. Non può che essere una questione che ci coinvolge come Presbiterio, che pensa e provvede al proprio domani, cioè alla sua continua generazione. Ne va del domani cristiano delle nostra diocesi, anche con la sua attenzione ai fidei donum. Ogni giorno preghiamo, nella nostra stessa celebrazione eucaristica, per il dono della perseveranza e per il dono di nuove vocazioni al presbiterato. E favoriamole in tutti i modi, con l’esempio prima di una vita sacerdotale gioiosa perché eucaristica, ma anche con eventuali proposte che mirano a dare spazio alla vera libertà di risposta.
La Vergine Maria accompagni maternamente il nostro cammino pastorale che, con la grazia di Dio, con la garanzia di un Presbiterio unito, iniziamo con coraggio, con fiducia, con parresia. Con fede eucaristica.

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