Clemenza, misericordia pastorale per i singoli casi difficili

Può la Chiesa consentire l’accesso ai sacramenti, con riferimento alla clemenza pastorale misericordiosa (oikonomia), ai fedeli divorziati risposati senza colpire nei fatti l’indissolubilità del matrimonio voluta da Dio con la Sua parola attraverso la testimonianza biblica e sempre insegnata dal magistero? E’ l’interrogativo pastorale comune nel Sinodo Straordinario con uno sguardo ampio su tutta la famiglia: come far portare il peso del conflitto matrimoniale sulle spalle
dei figli?  Come chiedere la comunione portando nel proprio o altrui  cuore tutta la spaccatura di ciò che si è vissuto nel fallimento dell’amore sacramentale? Come   non tener presenti le “coppie eroiche” che scelgono invece di rimanere fedeli all’ex coniuge senza risposarsi offrendo, non subendo, la sofferenza  per salvaguardare nella Chiesa e nel mondo i valori anche umani del permanere nella verità di Cristo sul matrimonio pur in connubio con atteggiamenti di misericordia?
La Chiesa ha riconosciuto che solo  il matrimonio tra un uomo e una donna battezzati è nella loro fede sacramento in senso proprio e solo per questi vale l’indissolubilità incondizionata. Il matrimonio dei non battezzati è infatti ordinato al valore dell’indissolubilità, ma può comunque essere sciolto in determinate circostanze – a causa di un bene di fede maggiore (privilegio paolino). Non si tratta dunque di una eccezione al detto del Signore nel quale permanere sempre: l’indissolubilità del matrimonio sacramentale, del matrimonio nell’ambito ecclesiale del mistero di Cristo cioè del segno efficace dell’alleanza di Cristo con la Chiesa, rimane.
Il Magistero in epoca recente (Cardinale Gerhard Ludwig Muller in Permanere nella verità di Cristo, pp. 143 – 147). Con il testo tutt’oggi fondamentale dell’Esortazione apostolica Familiaris consortio, pubblicata da Giovanni Paolo II il 22 novembre 1981 dopo il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia cristiana nel mondo contemporaneo, è stato confermato l’insegnamento dogmatico della Chiesa sul matrimonio. Dal punto di vista pastorale l’Esortazione post – sinodale si è occupata anche della cura dei fedeli risposati con rito civile, ma che sono ancora vincolati da un matrimonio valido per la Chiesa. Il papa, però, ha mostrato la necessità di un’alta misura di premura e di attenzione perché non si sentano esclusi dall’appartenenza ecclesiale. Al n. 84 (“I divorziati risposati”) vengono esposti i seguenti principi:
1. I pastori in cura d’anime sono obbligati per amore della verità “a ben discernere le diverse situazioni”. Non è possibile valutare tutto e tutti allo stesso modo.
2. I pastori e le comunità sono tenuti ad aiutare “con sollecita carità” i fedeli interessati; anch’essi infatti appartengono alla Chiesa, hanno il diritto di una specifica cura pastorale e devono poter partecipare alla vita della Chiesa.
3. L’ammissione all’Eucarestia non può tuttavia essere loro concessa per un duplice motivo: a) “il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata nell’Eucaristia”; b) “se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio”. Una riconciliazione mediante il sacramento della penitenza – che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico – può essere accordata solo sulla base del pentimento rispetto a quanto accaduto, e sulla disponibilità a “una forma di vita non più in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio”. Ciò comporta, in concreto, che quando la nuova unione non può essere sciolta per seri motivi – quali, ad esempio, l’educazione dei figli – entrambi i patner “assumono l’impegno (cioè il cammino di tentare e ritentare) di vivere in piena continenza”.
4. Per motivi teologico – sacramentali, e non per una costrizione legalistica, al clero è espressamente fatto divieto, fintanto che sussiste la validità del primo matrimonio, di porre in atto “cerimonie di qualsiasi genere” a favore dei divorziati che si risposano civilmente.
La Lettera circa la recezione della comunione eucaristica da parte dei fedeli divorziati risposati ha confermato che la prassi della Chiesa su questo tema “non può essere modificata in base alle differenti situazioni” (Congregazione per la Dottrina della fede, 14 settembre 1994,n.5). Si chiarisce, inoltre, che i credenti interessati non devono accostarsi alla Santa Comunione sulla base del loro solo giudizio di coscienza: “Qualora egli lo giudicasse possibile, i pastori e i confessori (…) hanno il grave dovere di ammonirlo che tale giudizio di coscienza è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa” (n. 6). In caso di dubbio circa la validità di una matrimonio fallito, questi devono essere verificati dagli organi giudiziari competenti in materia matrimoniale (n. 9). Rimane di fondamentale importanza a livello pastorale fare: “con sollecita carità tutto quanto può fortificare nell’amore di Cristo e della Chiesa i fedeli che si trovano in situazione matrimoniale irregolare. Solo così sarà possibile per loro accogliere pienamente il messaggio del matrimonio cristiano e sopportare nella fede la sofferenza della loro situazione. Nell’azione pastorale si dovrà compiere ogni sforzo perché venga compreso bene che non si tratta di nessuna discriminazione, ma soltanto di fedeltà assoluta alla volontà di Cristo che ci ha ridato e nuovamente affidato l’indissolubilità del matrimonio come dono del Creatore” (n. 10).

Nell’Esortazione apostolica post – sinodale Sacramentum caritatis del 22 febbraio 2007 Benedetto XVI riprende e rilancia il lavoro del precedente Sinodo dei vescovi sull’Eucaristia. Egli giunge a parlare della situazione dei fedeli divorziati risposati al n. 29, ove non esita a definirla “un problema pastorale spinoso e complesso”. Benedetto XVI ribadisce “la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura” (Mc 10, 2-12), di non ammettere ai sacramenti i divorziati risposati”, ma scongiura addirittura i pastori a dedicare “speciale attenzione” nei confronti delle persone interessate

“nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile  cristiano di vita attraverso la partecipazione alla santa Messa, pur senza ricevere la comunione, l’ascolto della Parola di Dio, l’adorazione eucaristica, la preghiera, la partecipazione alla vita comunitaria, il dialogo confidente con un sacerdote o un maestro di vita spirituale, la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza, l’impegno educativo verso i figli”.

Viene ribadito che, in caso di dubbi circa la validità della comunione di vita matrimoniale che si è interrotta, questi devono essere esaminati attentamente dai tribunali competenti in materia matrimoniale.
La mentalità contemporanea si pone piuttosto in contrasto con la comprensione cristiana del matrimonio, specialmente rispetto alla sua indissolubilità e all’apertura alla vita. Poiché molti cristiani sono influenzati da tale contesto culturale non certo umanistico, i matrimoni sono probabilmente  più spesso invalidi ai nostri giorni di quanto non lo fossero in passato, perché è mancante la volontà di sposarsi secondo il senso della dottrina matrimoniale cattolica e anche l’appartenenza a un contesto vitale di fede è molto ridotta. Il sacerdote non chiede agli sposi: site innamorati? Ma: vuoi il  sacramento? Laddove si sono smarrite le ragioni fondamentali della fede cristiana, una mera appartenenza convenzionale alla Chiesa non è più in grado di guidare a scelte di vita importanti e di offrire alcun supporto nelle crisi dello stato matrimoniale – come anche dell’amore celibatario sacerdotale e dell’amore verginale consacrato. Molti si chiedono: come posso io legarmi per tutta la vita a una sola donna/a un solo uomo? Chi può dirmi come sarà tra dieci, venti, trenta, quaranta anni di matrimonio? E’ poi effettivamente possibile un legame definitivo con una sola persona? Le molte esperienze di comunione matrimoniale che oggi si spezzano rafforzano lo scetticismo dei giovani nei confronti delle decisioni definitive di vita. Il Sinodo Straordinario è chiamato in questo momento e ambiente secolarizzato a rilevare la verifica della validità del matrimonio e può indicare la soluzione pastorale di fronte a questi problemi.
Laddove non è possibile riscontrare una nullità del matrimonio, è possibile l’assoluzione e la comunione eucaristica se si segue l’approvata prassi ecclesiale che stabilisce di tentare e ritentare di vivere insieme “come amici, come fratello e sorella”. Le benedizioni di legami irregolari sono “da evitare in ogni caso (…) perché tra i fedeli non sorgano confusioni circa il valore del matrimonio”. La benedizione (bene –dictio: approvazione da parte di Dio) di un rapporto che si contrappone alla volontà divina è da ritenersi una contraddizione in sé e non umano. L’ideale della fedeltà tra un uomo e una donna, fondato sull’ordine della creazione, non ha perso alcunché del suo fascino originario, come evidenziano recenti inchieste tra i giovani. La maggior parte di loro aspira a una relazione stabile e duratura, in quanto ciò corrisponderebbe anche alla natura spirituale e morale dell’uomo. Inoltre va ricordato il valore antropologico del matrimonio indissolubile: esso sottrae i coniugi dall’arbitrio e dalla tirannia dei sentimenti e degli stati d’animo; li aiuta ad affrontare le difficoltà personali e a superare le esperienze dolorose, protegge soprattutto i figli, che patiscono la maggior sofferenza dalla rottura dei matrimoni. L’amore è qualcosa più del sentimento e dell’istinto; nella sua essenza è dedizione. Nell’amore coniugale due persone si dicono l’un l’altra consapevolmente e volontariamente: solo te – e te per sempre. La Parola del Signore: “Quello che Dio ha congiunto…”corrisponde alla promessa della coppia: “Io accolgo te come mio sposso (…) ti accolgo come mia sposa (…) Vogli amarti e onorarti finché vivo, fino a quando la morte non ci separi”. Il sacerdote benedice il patto che i coniugi hanno stipulato tra loro davanti a Dio. Chiunque avesse dubbi sul fatto che il vincolo matrimoniale abbia qualità ontologica cioè veritativa, può lasciarsi istruire dalla Parola di Dio: “In principio Dio creò l’uomo e la donna. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne” (Mt 19,4-&9. Per i cristiani vale il fatto che il matrimonio dei battezzati incorporati nel Corpo di Cristo, ha un carattere sacramentale e rappresenta, quindi, una realtà soprannaturale di intervento di Dio. Uno dei più gravi problemi, in questa egemonia di cultura secolarizzata, consiste nel fatto che molti, oggi, giudicano il matrimonio esclusivamente secondo criteri mondani e pragmatici. Chi pensa seconda lo “spirito del mondo” (1 Cor 2,12) non può comprendere la sacramentalità del matrimonio. Alla crescente mancanza di comprensione circa la santità del matrimonio, la Chiesa non può rispondere con un adeguamento pragmatico a ciò che appare ormai inevitabile, ma solo con la fiducia nello “Spirito di Dio, perché possiamo conoscere ciò che Dio ci ha donato” (1 Cor 2,12). Il matrimonio sacramentale è una testimonianza della potenza della grazia che trasforma l’uomo e prepara tutta la Chiesa per la città santa, la nuova Gerusalemme, la Chiesa stessa, pronta “come una sposa adorna per il suo sposo” (Ap 12,2).
Il Vangelo della santità del matrimonio va annunciato con audacia profetica. Un profeta tiepido, cerca nell’adeguamento allo spirito dei tempi la sua propria salvezza, ma non la salvezza del mondo, dell’umano in Gesù Cristo, nell’incontro sacramentale con Lui. La fedeltà alle promesse del matrimonio è un segno profetico della salvezza che Dio in continuità ecclesiale dona al mondo: “chi può capire, capisca” (Mt 19,12). L’amore coniugale viene purificato, rafforzato e accresciuto dalla grazia sacramentale: 

“Questo amore, ratificato da un impegno mutuo e soprattutto consacrato da un sacramento di Cristo, resta indissolubilmente fedele nella prospera e cattiva sorte, sul piano del corpo e dello spirito; di conseguenza esclude ogni adulterio e ogni divorzio” (Gs, n.49).

Gli sposi, dunque, partecipando in forza del sacramento del matrimonio all’amore definitivo e irrevocabile di Dio, possono in ragione di ciò essere testimoni dell’amore fedele di Dio, nutrendo costantemente il loro amore attraverso una vita di fede e di carità. Certo, ci sono situazioni in cui la convivenza matrimoniale diventa praticamente impossibile a causa di gravi motivi, come per esempio in caso di violenza fisica o psichica. In queste dolorose situazioni la Chiesa ha sempre permesso che i coniugi si potessero separare e non vivessero più insieme. Va precisato, tuttavia, che il vincolo coniugale di un matrimonio validamente celebrato rimane stabile davanti a Dio e le singole parti non sono libere di contrarre un nuovo matrimonio finché l’altro coniuge è in vita. I pastori e le comunità cristiane si devono perciò adoperare nel promuovere in ogni modo la riconciliazione anche in questi casi oppure, quando ciò non è possibile, nell’aiutare le persone coinvolte ad affrontare nella fede la propria difficile situazione.

Nell’omelia pronunciata a Milano il 3 giugno 2012, in occasione del settimo Incontro mondiale delle famiglie, Benedetto XVI è tornato a parlare di questo doloroso problema dei divorziati risposati:

“Una parola vorrei dedicarla anche ai fedeli che, pur condividendo gli insegnamenti della Chiesa sulla famiglia, sono segnati da esperienze dolorose di fallimento e di separazione. Sappiate che il papa e la Chiesa vi sostengono nella vostra fatica. Vi incoraggio a rimanere uniti nelle vostre comunità, mentre auspico che le diocesi realizzino adeguate iniziative di accoglienza e di vicinanza”.

L’ultimo Sinodo dei vescovi sul tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” ( 7 – 28 ottobre 2012) si è nuovamente occupato della situazione dei fedeli che, in seguito al fallimento della comunione di vita matrimoniale – non il fallimento del matrimonio, che sussiste in quanto sacramento – hanno iniziato una nuova unione e convivono senza il vincolo sacramentale del matrimonio. Nel messaggio finale i Padri sinodali si sono rivolti con queste parole ai fedeli coinvolti:

  “A tutti costoro vogliamo dire che l’amore del Signore non abbandona nessuno, che anche la Chiesa li ama ed è casa accogliente per tutti, che essi rimangono membra della Chiesa anche se non possono ricevere l’assoluzione sacramentale e l’Eucaristia. Le comunità cattoliche siano accoglienti verso quanti vivono in tali situazioni e sostengano cammini di conversione e di riconciliazione”. 

In una intervista a Paolo Rodari su Repubblica del 12 ottobre il cardinale Scola ha detto: “Il tema dell’accesso alla comunione sacramentale dei divorziati risposati si è inserito nella necessità sentita da tutti, di chinarsi sull’intera realtà della famiglia, preziosissima per la Chiesa e per la società. Cerchiamo di trovare la via più adeguata e i linguaggi più comprensibili per comunicare la bellezza della proposta cristiana offerta a tutti. Inoltre nel dibattito sono emerse altre situazioni complesse e difficili…
Cosa ne pensa della possibilità di dare la comunione ai divorziati risposati?
E’ vero che l’Eucaristia, a certe condizioni, ha una componente di perdono dei peccati, ma è anche vero che non è un “sacramento di guarigione” in senso proprio. Inoltre il rapporto tra Cristo sposo e la Chiesa sposa non è per gli sposi un modello. E’ ben di più: è il fondamento del loro matrimonio. Ritengo che il nesso tra eucaristia e matrimonio resti sostanziale. Pertanto coloro che hanno contratto un nuovo matrimonio si trovano in una condizione che oggettivamente non consente l’accesso alla comunione sacramentale. Lungi dall’essere una punizione, è l’invito ad un cammino. Queste persone sono dentro la Chiesa. E partecipano attivamente alla vita della comunità. Si potranno rivedere talune esclusioni: per esempio la loro partecipazione al consiglio pastorale o la possibilità di insegnare in una scuola cattolica. Personalmente però, sul piano sostanziale, non trovo ancora una risposta alla possibilità che accedano alla comunione sacramentale senza colpire nei fatti l’indissolubilità del matrimonio. Insomma, l’indissolubilità o entra nel concreto della vita o è un’idea platonica. Devo aggiungere che molti padri hanno chiesto di rivedere la modalità di verifica della nullità del matrimonio dando più peso al Vescovo. Io stesso ho fatto una proposta in tal senso”.

Su Vatican Insider del 10/10/2014 l’arcivescovo di Vienna cardinale Schoborn ha affermato che nel Sinodo straordinario è emerso che i poveri nella nostra società sono i figli dei divorziati e le persone che rimangono sole. Occorre più attenzione “alla sofferenza dei figli” (“Avete fatto portare il peso del vostro conflitto matrimoniale sulle spalle die vostri figli?”), ai coniugi abbandonati, alla riconciliazione dopo il fallimento di un matrimonio (“Come volete chiedere la comunione se avete nel cuore ancora tutto il rancore di ciò che avete vissuto nel matrimonio?")” al peso della propria coscienza davanti a Dio, senza dimenticare le “coppie eroiche” che scelgono invece di rimanere fedeli all’ex coniuge senza risposarsi. E’ con questo invito a uno sguardo più ampio dei divorziati risposati, capace di posarsi su tutta la famiglia, a partire dai figli, che il cardinale Christoph Schonborn, arcivescovo di Vienna e presidente della Conferenza episcopale austriaca, è intervenuto al Sinodo straordinario sulla famiglia.
Eminenza di cosa ha parlato nel suo primo intervento nell’aula sinodale?
“Ho suggerito di approfondire la visione del Concilio vaticano II sulla Chiesa e fare l’analogia tra la Chiesa e il sacramento, specialmente il sacramento del matrimonio. Da sempre la famiglia è stata vista come la piccola Chiesa, la chiesa domestica, la ‘ecclesiola’. Nel Vaticano II è stato fatto un passo dottrinale molto importante riguardo alle altre Chiese e comunità cristiane e rispetto alle altre religioni. La visione patristica ha sempre cercato di vedere solo ciò che manca nelle altre religioni, ma ciò che vi è di positivo, come premessa, seme, speranza. E il vaticano II ha ripreso questa visione patristica delle altre religioni e delle altre comunità ecclesiali per dire, certo, l’unica Chiesa di Cristo è realizzata concretamente, “subsistit in”, nella Chiesa cattolica. Ma, aggiunge immediatamente dopo: questo non impedisce che ci siano anche fuori del corpo della Chiesa cattolica molti elementi di santificazione e di verità che spingono verso l’unità cattolica. E sulla base di questa famosa frase della costituzione conciliare Lumen Gentium, al paragrafo 8, si è formulato tutto il decreto sull’ecumenismo e tutto il decreto sulle altre religioni, la ‘Nostra Aetate’. Il mio suggerimento è semplice. Prendere questa analogia per dire: certo, la pienezza del sacramento del matrimonio ‘subsistit’ nella Chiesa cattolica laddove c’è il sacramento con le tre finalità, fides, proles, sacramentum, la fedeltà, i figli e il legame indissolubile. Questa è la pienezza del sacramento. Ma applicando il Vaticano II si potrebbe dire che questo non impedisce che ci siano fuori anche di questa piena forma del sacramento del matrimonio molteplici elementi di santificazione e di verità.
Può fare qualche esempio?
“Abbiamo in tutto il mondo, per esempio, e lo si vede chiaramente nelle testimonianze de padri sinodali, il fatto delle unioni di fatto, convivenze senza matrimonio ufficiale. E certamente la Chiesa dice – e ha ragione di dirlo – che qui manca qualche cosa, manca l’esplicita alleanza matrimoniale sacramentale. Ma questo non impedisce che ci siano anche elementi che sono quasi promesse di questa promessa: la fedeltà, l’attenzione gli uni agli altri, la volontà di fare famiglia. Tutto questo non è ciò che noi ci aspettiamo da un matrimonio completo, ma è già qualche cosa. Penso che questo approccio può aiutarci a ciò che ci ha detto Papa Francesco: accompagnateli, prima di giudicare e mettere nelle caselle, accompagnateli e far sì che essi scoprano man mano, con l’aiuto di Dio la testimonianza delle coppie e delle famiglie cristiane, la pienezza del sacramento matrimoniale”.
Il tema dei divorziati risposati, pur non essendo l’unico tema, è al centro del dibattito: Lei pensa che alla fine del dibattito sinodale si arrivi ad ammettere, in certi casi, queste coppie alla comunione?
“IL Sinodo non è un Concilio, non ha il compito di fare le votazioni come un Concilio, fa suggerimenti da trasmettere al Papa, come nei Sinodi precedenti. Io vedo anzitutto, ciò che ho anche cercato di far presente nel Sinodo, invitare a uno sguardo più ampio. Adesso abbiamo lo sguardo della ‘galleria’: si vede solo il problema dei divorziati risposati. Ma non si vede il problema della famiglia più ampia, perché ogni coppia che divorzia normalmente ha figli, genitori, forse ancora nonni, fratelli, sorelle, zii…un divorzio non tocca mai solo due persone, tocca sempre una rete sociale che è la famiglia, e ciò che mi manca gravemente nelle discussioni attuali è questo sguardo sulla famiglia. Gli africani lo dicono sempre: là c’è famiglia stretta, genitori e figli, e la famiglia più larga, il grande contesto familiare. Se viviamo senza questo contesto  è drammatico, la famiglia è la rete di sopravvivenza per il futuro, lo dicono i sociologi, lo dicono gli esperti del futuro della nostra società. Laddove la capacità dello Stato si indebolisce, laddove la capacità dello Stato a sostenere gli individui viene a mancare, sempre più diventa evidente che la rete di sopravvivenza, di salvaguardia dell’individuo, è la famiglia. Parlare di divorziati risposati senza lo sguardo sulla famiglia è drammaticamente unilaterale”.

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