Il cuore di Dio

Non sono stato io a scegliere Dio, ma è stato Dio a scegliere me


Papa Francesco nell’orizzonte e nella direttiva pastorale dell’Evangelii gaudium si muove alla luce della parabola del figlio prodigo che parla di un amore che è esistito prima ancora che fosse possibile qualsiasi rifiuto e starà ancora lì dopo che tutti i rifiuti si saranno consumati. E’ il primo ed eterno amore di un Dio che è allo stesso tempo Padre e Madre. E’ la sorgente di ogni vero amore umano, anche del più limitato. Tutta la vita e la predicazione di Gesù hanno
avuto un solo scopo: rivelare questo inesauribile e illimitato amore materno e paterno del suo Dio e indicare la via che consente a quell’amore di guidare ogni istante della nostra vita quotidiana, segnata dalla gioia anche in tutte le tribolazioni.
Ho trovato nel libro L’abbraccio benedicente di Henri Nouwen (Queriniana, pp.154-160) la meditazione per una conversione pastorale per l’essenziale della nuova evangelizzazione.

“La storia del padre e dei suoi figli perduti attesta con forza che non sono stato io a scegliere Dio, ma è stato Dio per primo a scegliere me. Noi non scegliamo Dio, Dio sceglie noi. Dall’eternità siamo nascosti ‘all’ombra della mano di Dio’ e ‘disegnati dalle palme delle sue mani’ (Is 49,2.16). Prima che qualsiasi essere umano ci tocchi, Dio ‘ci forma nel segreto’ e ‘ci intesse’ nelle profondità della terra (Sal 139,15), e prima che qualsiasi essere umano decida di noi, Dio ‘ci tesse nel seno della nostra madre’(Sal 139,13). Dio ci ama prima che qualunque essere umano possa mostrarci amore. Egli ci ama con un ‘primo amore’ (1 Gv 4,19-20), un amore illimitato, senza riserve; vuole che siamo i suoi figli prediletti e ci dice di provare ad amare  come ama lui.
Per quasi tutta la vita ho lottato per trovare Dio, per conoscere Dio, per amare Dio. Ho cercato insistentemente di seguire le direttive della vita spirituale – pregare sempre, lavorare pe r gli altri, leggere le Scritture – e di evitare le molte tentazioni che portano alla sgregolatezza. Ho fallito tante volte, ma ho sempre provato di nuovo, anche quando ero vicino alla disperazione.
Ora mi chiedo se mi sono sufficientemente reso conto che durante tutto questo tempo Dio ha cercato di trovarmi, conoscermi e amarmi. La domanda non è ‘Come posso trovare Dio?’, ma ‘Come posso farmi trovare da Lui?’. La domanda non è ‘Come posso conoscere Dio?’, ma ’Come posso farmi conoscere da Dio?’. E, infine, la domanda non è ‘Come posso amare Dio?’, ma ‘Come posso lasciarmi amare da Dio?’. Dio mi cerca da lontano, prova a trovarmi e desidera portarmi a casa. In tutte e tre le parabole che Gesù racconta per rispondere alla domanda del perché mangi con i peccatori, pone l’accento sull’iniziativa di Dio. Dio è il pastore che va alla ricerca della pecorella smarrita. Dio è la donna che accende la lucerna, spazza la casa e cerca ovunque la dramma perduta finché non la ritrova. Dio è il Padre che veglia e aspetta i suoi figli, corre loro incontro, li abbraccia, li supplica, li implora e li scongiura di tronare a casa.
Può sembrare strano, ma Dio vuole trovare me, se non di più, perlomeno quanto io voglio trovare lui. Sì, Dio ha bisogno di me quanto io ho bisogno di lui. Dio non è il patriarca che se ne sta a casa, non si muove e aspetta che i suoi figli vadano a lui, si scusino per il loro comportamento, chiedano perdono e promettano di essere migliori. Al contrario, lascia la casa, corre verso di loro incurante della propria degnità, non bada a scuse e a promesse di cambiamento, e li porta alla tavola riccamente imbandita per loro.
Comincio a capire ora come possa cambiare radicalmente la qualità del mio itinerario spirituale se non penso più che Dio si nasconda e frapponga ogni sorta di difficoltà perché  non possa trovarlo, ma se penso invece a lui come a chi mi sta cercando mentre sono io a nascondermi. Se guardo attraverso gli occhi di Dio il mio Io di figlio perduto e scopro la gioia di Dio quando torno a casa, allora la mia vita può diventare meno angosciata e più fiduciosa.
Non sarebbe bello aumentare la gioia di Dio lasciandomi trovare e portare a casa da lui e celebrare con gli angeli il mio ritorno? Non sarebbe meraviglioso far sorridere Dio dandogli la possibilità di trovarmi e amarmi prodigalmente? Domande come queste sollevano una questione sostanziale: quella dell’idea che ho di me stesso. So  accettare che sono degno di essere cercato? Credo che Dio desideri davvero stare soltanto con me?
Qui sta il nocciolo della mia lotta spirituale: la lotta contro il rifiuto, il disprezzo e il disgusto di sé. E’ una battaglia assai spietata perché il mondo e i suoi demoni cospirano per farmi pensare che sono un essere indegno, inutile e insignificante. Molti sistemi economici governati dal consumismo, stanno a galla perché manipolano la poca stima di sé dei loro utenti e creano aspettative spirituali con mezzi materiali. Finché qualcuno mi mantiene in uno stato di inferiorità, posso essere facilmente indotto a comprare cose, incontrare persone o frequentare luoghi che promettono un cambiamento radicale nell’idea che ci si fa di se stessi, anche se poi sono del tutto incapaci di realizzare tale cambiamento. Ma ogni volta che mi lascerò ,manipolare  o sedurre in questo modo, avrò ulteriori motivi per abbattermi e considerarmi come un figlio indesiderato.
Per molto tempo ho considerato la poca stima che uno ha di sé come una sorta di virtù. Tante volte sono stato messo in guardia contro l’orgoglio e la presunzione di considerare cosa buona il disprezzo di me stesso. Ma ora mi rendo conto che il vero peccato è negare il primo amore di Dio per me, per noi, ignorare o non pensare la mia e nostra bontà originale. Se infatti non rivendico nei miei confronti quel primo amore e quella bontà originale, perdo il contatto con il mio vero Io, (con il mio e altrui essere dono del Donatore divino cioè con la verità) e mi predispongo alla ricerca distruttiva, tra gente sbagliata e in posti sbagliati, di ciò che può essere trovato soltanto nella casa di mio Padre, (nel noi della Chiesa).
Non penso di essere solo in questa lotta per rivendicare il primo amore di Dio e la mia bontà originale. Sotto tanta umana alterigia, competitività e rivalità; sotto tanta sicurezza di sé e persino arroganza, c’è spesso un cuore molto insicuro, molto meno sicuro di quanto il comportamento esteriore porterebbe a credere. Spesso sono rimasto molto scosso nello scoprire che uomini e donne di evidente talento e con molti riconoscimenti per la loro opera  abbiano tanti dubbi sulla loro bontà. Invece di assaporare i loro successi esteriori come un segno della loro bellezza interiore, li vivono come una copertura per nascondere il loro senso di inutilità personale. Non pochi mi hanno detto: ‘Se solo la gente sapesse cosa passa nel più profondo di me stesso, smetterebbe di applaudire ed elogiare’.
Ricordo come fosse oggi il dialogo con un giovane amato e ammirato da tutti quelli che lo conoscevano. Mi disse che una piccola critica da parte di uno dei suoi amici lo avesse gettato in un abisso di depressione. Mentre parlava, le lacrime scorrevano dai suoi occhi e il suo corpo si torceva nell’angoscia. Sentiva che l’amico aveva sfondato il suo  muro di difesa e lo aveva visto come realmente era: uno spregevole ipocrita, un uomo meschino sotto una corazza luccicante. Come ho sentito il suo racconto, mi son reso conto di quanto infelice fosse stata la sua vita, anche se la gente intorno a lui lo invidiava per le sue doti. Per anni si era portato dentro queste domande: ‘C’è qualcuno che mi ama veramente? C’è qualcuno che si cura veramente di me?’. E ogni volta che era salito un po’ più in alto sulla scala del successo, aveva pensato: ‘Questi in realtà non sono io; un giorno crollerà tutto e allora la gente vedrà che non sono buono’.
Questo incontro illustra come molte persone vivano la propria esistenza – mai completamente sicure di essere amate per quello che sono. Molti hanno storie dolorose che spiegano con ragioni molto plausibili la poca considerazione che hanno di se stessi: storie con genitori che non hanno dato loro ciò di cui avevano bisogno, con insegnanti che li hanno trattati male, con amici che li hanno traditi e con una Chiesa che li ha trascurati in un momento critico della loro vita.
La parabola del figlio prodigo è un racconto che parla di un amore che è esistito prima ancora che fosse possibile qualsiasi rifiuto e starà ancora lì dopo che tutti i rifiuti si saranno consumati.  E’ il primo ed eterno amore di un Dio che è allo stesso tempo Padre e Madre. E’ la sorgente di ogni vero amore umano, anche del più limitato. Tutta la vita e la predicazione di Gesù hanno avuto un solo scopo: rivelare questo inesauribile e illimitato amore materno e paterno del suo Dio e indicare la via che consente a quell’amore di guidare ogni istante della nostra vita quotidiana”.

Qui sta il segreto della grande conversione pastorale sollecitata da Papa Francesco poiché la fede si comunica da persona a perosna: guardare non con gli occhi della poca considerazione che si ha di se stessi, ma con gli occhi dell’amore di Dio: è la nuova evangelizzazione. Finché continuo a guardare Dio come a un padrone di casa, come un padre che vuole ottenere da me il massimo al minor costo, non posso che diventare geloso, ed essere pieno di amarezza e risentimento verso i miei compagni di lavoro o i miei fratelli e sorelle. Ma se sono capace di guardare il mondo con gli occhi dell’amore di Dio per me di scoprire che la sua visione non è quella di un stereostipato padrone di casa o di un anonimo patriarca quanto piuttosto quella di un padre che tutto dona  e perdona senza misurare il suo amore per i figli con il metro della loro buona condotta, allora presto mi accorgerò che la mia risposta non può che essere la gioia non di un dio qualsiasi ma del Dio che possiede un volto umano, che mi ha amato sino alla fine, ciascuno in particolare e l’umanità nel suo insieme: è la gioia del Vangelo, di  chi crede.  

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