Funzione rieducativa della detenzione in carcere‏


L’esigenza personale del detenuto di vivere in carcere un tempo di riabilitazione e di maturazione è, infattiesigenza della stessa società, sia per recuperare una persona che possa validamente contribuire al bene di tutti, sia per depotenziare la tendenza a delinquere e la pericolosità sociale

“I temi della giustizia penale sono continuamente all’attenzione dell’opinione pubblica e dei governi, particolarmente in un tempo in cui le differenze economiche e sociali ed il crescente individualismo alimentano le radici della criminalità. La tendenza, però, è di restringere il dibattito solo al momento legislativo della disciplina dei reati e delle sanzioni o al momento processuale, inerente i tempi e le modalità per arrivare ad una sentenza che sia il più possibile corrispondente alla verità dei fatti. Minore
attenzione viene invece prestata alla modalità di esecuzione delle pene detentive, in relazione alla quale al parametro della “giustizia”, deve essere accostato come essenziale quello del rispetto della dignità e dei diritti dell’uomo. Ma anche questo parametro, benché indispensabile ed in molti Paesi, purtroppo, ancora lontano dall’essere conseguito, non può essere considerato sufficiente, proprio al fine di tutelare in modo integrale i diritti della persona. Occorre impegnarsi, in modo concreto e non solo come affermazione di un principio, per una effettiva rieducazione della persona, richiesta sia in funzione della dignità sua propria, sia in vista del suo reinserimento sociale. L’esigenza personale del detenuto di vivere in carcere un tempo di riabilitazione e di maturazione è, infatti, esigenza della stessa società, sia per recuperare una persona che possa validamente contribuire al bene di tutti, sia per depotenziarne la tendenza a delinquere e la pericolosità sociale. Negli ultimi anni ci sono stati molti progressi, sebbene il percorsi resti ancora lungo. Non è solo una questione di disponibilità di adeguate risorse finanziarie, per rendere più dignitosi gli ambienti carcerari ed assicurare ai detenuti più efficaci mezzi di sostegno e percorsi di formazione; occorre anche una crescita nella mentalità, così da legare il dibattito carcerario concernente il rispetto dei diritti umani del detenuto a quello, più ampio, relativo alla stessa realizzazione della giustizia penale. 
Affinché la giustizia umana possa, in questo campo, guardare alla giustizia divina ed esserne orientata, è necessario che la funzione rieducativa della pena non sia considerata un aspetto accessorio e secondario del sistema penale, ma, al contrario, momento culminante e qualificante. Al fine di “fare giustizia” non basta cioè che colui che è riconosciuto colpevole di un reato venga semplicemente punito; occorre che, nel punirlo, si faccia tutto ciò che è possibile per correggere e migliorare l’uomo. Quando ciò non accade la giustizia non è realizzata in senso integrale. In ogni caso ci si deve impegnare per evitare che una detenzione fallita nella funzione rieducativa divenga una pena diseducativa, che, paradossalmente, accentua, invece di contrastare, l’inclinazione a delinquere e la pericolosità sociale della persona.
Voi Direttori, insieme a tutti gli altri operatori giudiziari e sociali, potete contribuire in modo significativo a promuovere questa “più vera” giustizia, “aperta alla forza liberatrice dell’amore” ( Giovanni Paolo II,Messaggio per il Giubileo delle carceri, 9 luglio 2000) e legata alla stessa dignità dell’uomo. Il vostro ruolo è, in un certo senso, ancora più decisivo di quello degli organi legislativi, poiché, anche in presenza di strutture e risorse adeguate, l’efficacia dei percorsi rieducativi dipende sempre dalla sensibilità, capacità ed attenzione delle persone chiamate ad attuare in concreto quanto stabilito dalla carta. Il compito degli operatori penitenziali, a qualunque livello essi operino, non è certo facile. Per questo oggi, tramite voi, desidero rendere omaggio a tutti coloro che, nelle amministrazioni penitenziarie, si adoperano con grande serietà e dedizione. Il contatto con coloro che hanno commesso colpe da espiare e l’impegno richiesto per ridare dignità e speranza a chi spesso ha già sofferto l’emarginazione ed il disprezzo richiamano la missione stessa di Cristo, il quale è venuto a chiamare non i giusti, ma i peccatori (Mt 9,13; Mc 2,17; Lc 5,32), destinatari privilegiati della misericordia di Dio, Ogni uomo è chiamato a diventare custode del proprio fratello, superando così l’indifferenza omicida di Caino (Gn 4,9); a voi in particolare è chiesto di custodire coloro che, nelle condizioni della detenzione, possono più facilmente smarrire il senso della vita ed il valore della dignità personale, cedendo alla sfiducia ed alla disperazione. Il profondo rispetto della persona, l’operare per la riabilitazione del carcerato, in creare una vera comunità educativa, si rendono ancora più urgenti considerando anche la crescente presenza di “detenuti stranieri”, spesso in situazioni difficili e di fragilità. Ovviamente, al ruolo delle istituzioni e degli operatori penitenziali è indispensabile la disponibilità del detenuto a vivere un tempo di formazione. Una risposta positiva non dovrebbe però essere semplicemente attesa ed auspicata, ma sollecitata e favorita con iniziative e proposte capaci di vincere l’ozio e spezzare la solitudine in cui spesso i detenuti restano confinati. Molto importante in questo senso è la promozione di attività di evangelizzazione e di assistenza spirituale, capaci di destare nel detenuto gli aspetti più nobili e profondi, risvegliando in lui l’entusiasmo per la vita e il desiderio di bellezza propri di chi riscopre di portare impressa in sé, in modo indelebile, l’immagine di Dio.
Con la certezza sulla possibilità di rinnovarsi, la detenzione in carcere può assolvere alal sua funzione rieducativa e diventare per il detenuto occasione di assaporare la redenzione operata da Cristo nel Mistero Pasquale, che assicura la vittoria sul male” (Benedetto XVI, Ai partecipanti alla 17° Conferenza dei Direttori delle Amministrazioni Penitenziarie del Consiglio d’Europa, 22 novembre 2012).

In quest’Anno della fede Benedetto XVI, facendone quasi una cifra del suo magistero, afferma che solo l’unità di Logos e Agape rende pienamente conto della ricchezza del cristianesimo e in questo anche la rieducazione di chi si trova in stato di detenzione. Ha affermato in proposito, citando sant’Agostino, sia che “La fede se non è pensata, è nulla” e, nel Convegno ecclesiale di Verona, sia che “la forte unità che si è realizzata nella Chiesa dei primi secoli tra una fede amica dell’intelligenza e una prassi caratterizzata dall’amore reciproco e dall’attenzione premurosa ai poveri e ai sofferenti ha reso possibile la prima grande espansione missionaria del cristianesimo nel mondo ellenistico – romano. Così è avvenuto anche in seguito, in diversi contatti culturali e situazioni storiche. Questa rimane la strada maestra per l’evangelizzazione: il Signore ci guidi a vivere questa unità tra verità e amore nelle condizioni proprie del nostro tempo, per l’evangelizzazione dell’Italia e del mondo di oggi”L’autenticità della nostra adesione a Cristo si verifica specialmente nell’amore e nella sollecitudine concreta per i più deboli e per chi si trova in maggior pericolo e in più grave difficoltà, come i carcerati oggi in Italia.

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