Il rischio di dannazione eterna poggia s u un terreno solido quando la tradizione cattolica parla dell'esistenza dell'inferno e dell'eternità delle sue pene

Marie Rose Maciegaz riporta il magistero di Benedetto XVI – 30 ottobre 2017

L'inferno secondo Papa Benedetto XVI..inutile volerlo negare: il pensiero della dannazione eterna, che a vista d'occhio si era sviluppato nel giudaismo dei due ultimi secoli precristiani (materiale in LThk V, 445s) ricorre costantemente tanto nell'insegnamento di Gesù stesso (Mt 25,41; 5,29 par; 13,42.50; 22,13; 18,8 par; 5,22; 18,9; 8,12; 24,51; 25,30; Lc13,28) quanto negli scritti degli Apostoli (2Ts1,9;2,10; 1Ts 5,3; Rom9,22; Fi3,19; 1Cor1,18; 2Cor2,15; 4,3; 1Tm6,9; Ap14,10; 19,20; 20,10-15; 21,8). Di conseguenza il dogma poggia su un terreno solido quando parla dell'esistenza dell'inferno (DS 72; 801; 858; 1351) e dell'eternità delle sue pene (DS 411). E' comprensibile che l'accoglienza di una simile affermazione, che contraddice tanto vistosamente a tutte le nostre idee circa Dio e l'uomo, non poteva avvenire senza suscitare forti reazioni. Fu per primo Origene a proporre (secondo frammenti trasmessi in Giustino e in Ps.-Leonzio), nel suo grande tentativo di una sistematizzazione del cristianesimo (περίαρχων), l'idea che in base alla logica di Dio circa la sua storia sarebbe stata raggiunta infine una riconciliazione universale. Tuttavia egli stesso considerava questa sua tesi piuttosto come un'ipotesi…

 

Sebbene rispetto al pensiero neoplatonico, che aveva accentuato esageratamente il concetto che in fondo il male sia inconsistente, nulla, e soltanto Dio la realtà, il grande alessandrino abbia sentito molto più profondamente la sinistra realtà del male, che può far soffrire e addirittura uccidere Dio, egli non ha potuto tuttavia rinunciare totalmente alla speranza che proprio in questo soffrire di Dio sia posto un limite alla realtà del male, per cui quest'ultimo abbia perduto la sua definitività…

 

Che cosa rimane dunque? In primo luogo la constatazione dell'assoluto rispetto che Dio mostra di avere per la libertà della sua creatura. L'amore è un dono che l'uomo riceve; è la conseguente trasformazione di ogni sua miseria, di ogni sua insufficienza; neppure il "sì" a tale amore scaturisce dall'uomo stesso, ma è provocato dalla forza di questo amore. Ma la libertà di rifiutarsi alla maturazione di questo "sì", di non accettarlo come qualcosa di proprio, questa libertà rimane

 

La particolarità del cristianesimo emerge qui nella affermazione della grandezza dell'uomo: la sua vita è un caso di estrema serietà; non tutto in definitiva può essere presentato astutamente come un momento dei disegni di Dio; esiste ciò che è irrevocabile – anche la rovina irrevocabile – per cui il cristiano deve vivere in questa consapevolezza. Questa serietà dell'essere e dell'agire dell'uomo si concretizza della croce del Cristo, la quale tuttavia illumina il nostro tema sotto due aspetti diversi: Dio soffre e muore – il male non è per lui qualcosa di irreale: per lui che è Amore, l'odio non è un nulla. Egli vince il male non nella dialettica della ragione universale, che può trasformare tutte le negazioni in affermazioni; egli non lo vince in un venerdì santo speculativo, bensì assolutamente reale. Egli stesso entra nella libertà dei peccatori e la supera con la libertà del suo amore che discende nell'abisso…

 

Così la parola sull'inferno ha assunto nella storia dei Santi, soprattutto degli ultimi secoli, come per esempio in san Giovanni della Croce, nella religiosità del Carmelo, e in particolare, anche in Teresa di Lisieux un significato del tutto nuovo e una forma parimenti nuova: essa non è tanto una minaccia quanto piuttosto un'esortazione a soffrire nella notte oscura della fede la comunione col Cristo proprio partecipando alla sua discesa nella notte; ad avvicinarsi alla luce del Signore condividendo con lui le sue tenebre e a servire alla salvezza del mondo, dimenticandosi per gli altri della propria salvezza. In una simile religiosità, nulla è cancellato della terrificante realtà dell'inferno; al contrario, esso è tanto reale da entrare nella stessa esistenza dell'uomo. Contro questa realtà non vi è che la speranza, la speranza che può nascere soltanto nel condividere la sofferenza di quella notte con Colui che è venuto a trasformare con la sua sofferenza la notte di tutti noi. La speranza non si basa sulla logica neutra del sistema, sulla negazione dell'importanza dell'uomo; al contrario, essa scaturisce dalla concreta volontà dell'uomo di accompagnarsi con Gesù Cristo. Ma una simile speranza non diviene un'autoaffermazione arbitraria: essa consegna la sua istanza nelle mani del Signore e l'affida a lui. Per cui il dogma conserva il suo contenuto reale; il concetto della misericordia che nell'una o nell'altra forma l'aveva accompagnato durante l'intera storia non diviene teoria, ma preghiera della fede che soffre e spera.

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