Introduzione al libro di Fontana

Fede & Cultura, Verona 2022, euro 17,00

 

INTRODUZIONE

 

Il cattolico vuole credere nella fede degli Apostoli e allo stesso modo degli Apostoli, agli stessi contenuti e alle stesse formule. È quindi molto interessato alla trasmissione delle verità da credere nella tradizione. La trasmissione della fede è anche un fatto culturale, sia nel senso che la Chiesa stessa è un soggetto culturale e chi entra in essa sa di entrare anche in una cultura, sia perché la trasmissione della fede nella tradizione avviene anche culturalmente. L'elemento principale della cultura è la filosofia, un sapere a carattere sapienziale, capace cioè di conferire un senso unitario a tutto il sapere e, quindi, all'esistenza. La filosofia, infatti, si occupa dei principi primi e dei fini ultimi. Dato che anche la fede nella Rivelazione ha questo carattere sapienziale, in questo caso di tipo religioso, essa ha bisogno dello strumento concettuale della filosofia. Il cattolico sente la necessità che il Dio dei filosofi coincida con il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. La Rivelazione cristiana richiede una filosofia che le fornisca l'apparato concettuale per potersi annunciare a tutti gli uomini, usando la loro grammatica naturale, per approfondire le proprie verità e per difenderle in modo argomentato dalle contestazioni e dalle deviazioni. Senza questo rapporto, la fede diventa fideismo, atteggiamento soggettivo privo di aggancio con la verità oggettiva. La fede in questi casi perde la caratteristica di essere conoscenza e di poter produrre cultura e civiltà, riducendosi a un fatto di coscienza, rinuncia alla pretesa di un proprio unico e indispensabile ruolo nella storia e in pubblico, o lasciando che 6 Ateismo cattolico e filosofia cristiana il mondo vada per la sua strada o incamminandosi sulla stessa strada del mondo.

 

La necessaria relazione tra la fede nella Rivelazione e lo strumento filosofico pone il problema serio che si nasconde dietro il titolo apparentemente strano di questo libro. Che cosa capita se la fede, per costruire la propria teologia, vale a dire la comprensione di se stessa nella Chiesa, si avvale di uno strumento filosofico inadeguato o addirittura fuorviante? Questo strumento filosofico improprio può essere dannoso in due modi: o negando la possibilità di una filosofia naturale dello spirito umano, pre-esistente all'incontro con la fede cristiana; oppure negando che l'Annuncio contenga in sé delle esigenze veritative che valgano da criterio sia per fondare l'esistenza di una filosofia naturale, sia per purificarla. In ambedue i casi lo strumento filosofico inidoneo alla fede cristiana non ammette la valenza epistemica della fede e trasforma la filosofia e la teologia in letteratura. Se questo è possibile in altre religioni, e anche in altre confessioni cristiane, non è ammissibile nel cristianesimo cattolico, nel quale il problema epistemico è imprescindibile ed è sempre di più che non un semplice problema di tecnica epistemica. La fede cattolica non può stare senza una teologia fondamentale, impostata secondo il corretto rapporto tra ragione e fede e tra natura e sopra-natura. L'assunzione in teologia di una filosofia inidonea in quanto innaturale corrompe la teologia fondamentale e, di conseguenza, tutto l'impianto del sapere teologico.

 

Può sembrare strano che una filosofia possa dirsi atea: la filosofia appartiene al mondo della ragione mentre l'ateismo all'ambito della fede. È vero che la filosofia naturale non può essere atea, ma filosofie innaturali possono esserlo. La filosofia naturale non può essere atea perché si basa su conoscenze del senso comune coordinate tra loro in un plesso coerente, che evidenzia una tensione conoscitiva naturale verso Dio. Questo quadro epistemico naturale è dato dalla certezza della conoscenza della realtà, dalla trascendenza dell'essere rispetto al pensiero, dalla precedenza del conoscere rispetto a come conosciamo, dalla conoscenza dell'oggetto prima del soggetto, dalla conoscenza per esperienza del principio di non contraddizione, di quello di causalità, della nostra libertà come causalità incausata, del finalismo della natura e della necessità di un Fondamento. L'Annuncio cristiano si rivolge a una ricerca di Dio non isolata nel sentimento soggettivo, ma dentro questo quadro epistemico realistico di verità e di metodo. Ora, una filosofia che nega questo impianto realistico può dirsi atea, vale a dire impossibilitata – per motivi epistemici che travalicano l'intenzione dei singoli filosofi – a pensare Dio. Non è da escludersi che una simile filosofia permetta la ricerca di Dio per altre vie, incompatibili però con la religione cattolica, che si fonda sul rapporto tra natura e sopra-natura così definito: la Grazia non elimina la natura ma la perfeziona.

 

Si deve quindi ammettere che una filosofia possa essere atea quando neghi una filosofia naturale capace di accogliere la Rivelazione non come cosa estrinseca rispetto a sé, ma come compatibile e capace di confermare e sviluppare la dimensione naturale. L'idealismo moderno è allora una filosofia atea. Molti filosofi razionalisti del Seicento e del Settecento, a parte Spinoza che era certamente ateo non solo filosoficamente ma anche religiosamente, erano credenti e perfino cattolici. Ma il razionalismo è una filosofia 8 Ateismo cattolico e filosofia cristiana atea. La filosofia di Kant è atea, anche se Kant era cristiano. Anzi, quella di Kant è una prospettiva più atea di quella dei filosofi razionalisti a lui precedenti, perché se Cartesio o Leibniz mantengono qualche riferimento alla filosofia naturale del realismo metafisico, in Kant nasce un paradigma assolutamente nuovo e contrario, dentro il quale Dio può essere al massimo un postulato.

 

Dopo le tante prove accumulate, chi può ancora pensare che sia impossibile una filosofia atea? Chi può ancora pensare che la filosofia sia uno strumento neutro per la teologia cattolica? Torniamo allora alla domanda posta all'inizio: che cosa capita quando la teologia cattolica si avvale di strumenti filosoficamente atei? Capita che si insinua dentro di essa un cripto-ateismo che giustifica l'espressione "ateismo cattolico". Questo cripto-ateismo non si presenta come ateismo nonostante, in qualche caso, anche questo sia avvenuto. Esso deforma dall'interno la comprensione delle verità di fede, provocandone una metamorfosi condivisa, perché ritenuta in conformità con lo spirito del tempo, e un necessario aggiornamento. In seguito, questo cripto-ateismo epistemico informerà di sé non solo i teologi di professione ma anche i pastori, fino ai vertici della Chiesa, come del resto influirà sui semplici fedeli non tanto mediante libri e convegni quanto con una nuova prassi pastorale. Non sarà un ateismo dichiarato, ma frammenti di ateismo saranno presenti nelle idee e nelle azioni, nei criteri di giudizio e nella vita morale. Molti aspetti della vita della Chiesa saranno vissuti etsi Deus non daretur. Dato che l'ateismo filosofico comporta l'immanentismo, molti modi di fare e di porsi nella Chiesa lasceranno intravedere un orizzontalismo riduttivo. Dapprima si accetterà il naturalismo, poi il personalismo, poi un generico umanesimo universalistico, poi un solidarismo planetario, poi un solidarismo trans-specifico e bio-centrico, poi si demitizzeranno i Vangeli, poi si promuoverà la Chiesa "della buona condotta sociale" e della tolleranza universale senza più dogmi.

 

Alla fine, il fedele cattolico crederà ancora di avere la stessa fede degli Apostoli, ma ne avrà un'altra, e senza accorgersi che sia un'altra. Il cripto-ateismo diventerà un ateismo tacito e irriflesso. Questo non per colpe soggettive del nostro fedele cattolico, perché abbia mancato di zelo nel seguire i pastori, nell'ascoltare i teologi, nel prestare orecchio e cuore alle attenzioni suggerite dal parroco. In tutti questi aspetti si è nel frattempo inserita una prospettiva epistemica nuova che ha deformato i contenuti. L'ateismo filosofico è infatti una prospettiva epistemica e, come tale, riguarda tutti gli aspetti della conoscenza teorica e pratica.

Stefano Fontana

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