Il cristianesimo ha una missione di salvezza della cultura. A Fabrice Hadjadj il premio Cultura Cattolica
Andrea Mariotto, in "Osservatorio Van Thuan" – 2 Novembre 2021
«Non so se ho contribuito a una cultura cattolica, ma se ho partecipato a un cattolicesimo che riconosce la sua missione di salvezza per la cultura oggi, allora il premio che ricevo non è fondato su un malinteso». Fabrice Hadjadj ha chiuso con queste parole, nella serata di venerdì 29 ottobre a Bassano del Grappa, la sua lectio alla cerimonia del 39° Premio Internazionale Cultura Cattolica, assegnato proprio al filosofo e scrittore francese.
Nato a Nanterre da genitori ebrei di origini tunisine, sposato e padre di 9 figli, Hadjadj è uno degli intellettuali cattolici più originali e attualmente è direttore a Friburgo dell'Istituto Europeo di Studi Antropologici Philantropos. È singolare e da raccontare la sua storia personale, che parla di un ragazzo cresciuto in un clima educativo maoista e ateo. Negli anni giovanili Hadjadj è anarchico e nichilista: a 27 anni entra on degli amici nella chiesa di Saint-Séverin e insieme deridono gli ex-voto esposti. Appena usciti dalla Chiesa il 27enne Fabrice viene raggiunto dalla telefonata della madre, che gli comunica che il padre è affetto da una grave malattia. Alla notizia, torna indietro, rientra nella chiesa e inizia a pregare la Madonna ("Ho iniziato a pregare la Madonna ancora prima di credere in Dio", racconterà successivamente). È il 1998: così inizia la sua conversione e un percorso di ricerca che gli fa indagare tantissimi ambiti della vita dell'uomo, con particolare attenzione – negli ultimi anni – alla famiglia, alla sessualità e alle prospettive di fronte alle quali si trova un mondo travolto dal «paradigma tecnocratico».
«Voi mi consegnate questo premio e io non posso che consegnarmi al Padre eterno. Non posso che consegnarmi alle vostre preghiere. In un ambiente realmente cristiano, un uomo che viene premiato è un uomo che chiede aiuto. E chiama i suoi fratelli in aiuto non come qualcuno che vuole salvarsi la pelle, ma al contrario perché possa consegnarla, metterla sul tavolo», ha esordito nel suo intervento iniziando a chiedersi cosa sia la «cultura cattolica».
«Il cattolicesimo non è una cultura rivale, perché non si colloca sullo stesso piano delle culture. Se si possono paragonare le culture a specie vegetali, la Rivelazione cristiana non è una specie più viva e più bella, che dovrebbe sostituire le altre, come un'erba meravigliosa più virulenta dell'erbaccia. È più come il sole, la pioggia e le forbici del giardiniere. È ciò che permette a ogni cultura di crescere, di purificarsi, di dare fiori più belli e frutti più gustosi.», ha spiegato.
La parola «cultura» rimanda a un'atmosfera che richiama il rapporto con la terra: «La parola rimanda in primo luogo a un rapporto con la terra. Si tratta dell'atto del contadino. Questo atto, Cicerone lo traspone nell'ordine intellettuale, considerando lo spirito dell'uomo come un campo da disboscare, seminare, annaffiare, sarchiare: Philosophia cultura animi est. La filosofia, ma anche le arti e le scienze, sono allora concepite in continuità con il mondo agricolo.»
Che cosa significa questa analogia? Significa «che l'uomo non è colui che inizia né quello che controlla interamente l'opera.» Essa procede sempre da un dono iniziale: all'inizio di tutto c'è un seme, solo dopo interviene l'uomo «con lo sforzo di un lavoro che con la grazia di una meteorologia favorevole. L'uomo di cultura, chiunque esso sia, riconosce sempre il dono primo del materiale e dell'ispirazione e sa che la propria mano è alla mercé dell'artrite.»
Oggi, però, «il modello non è più quello dell'agricoltura, del dono e dei giorni fasti. È quello del computer, di un controllo totale, e, naturalmente, poiché tale controllo produce un eccesso di tensione, di una perdita totale di controllo. Sotto l'impero del paradigma tecnocratico, dove il programma prevale sulla provvidenza, dove la robotizzazione prevale sul lavoro». Che senso ha allora riproporre «la pazienza della cultura?», si è chiesto. «A differenza dell'antico che credeva nella trasmissione, a differenza del moderno che credeva nel progresso, il postmoderno non crede più nel futuro... Non pianta alberi. Effettua ordini con consegna espressa.» Manca l'idea dell'uomo che costruisce cattedrali sapendo già che non potrà essere lui a goderne, ma i suoi nipoti. Oggi «quale ambiente può assicurare una continuità storica sufficiente a che i nipoti abbiano ancora una vita la cui essenza appaia simile a quella dei loro nonni?» Quell'ambiente, secondo Hadjadj, si trova solo nella Chiesa e nel cristianesimo: «In un mondo tecnocratico e che rompe sempre col passato, dove non si parla più che di crollo, non c'è che la Chiesa, nella permanenza miracolosa del suo magistero, a mantenere l'unità della condizione umana dal momento dell'espulsione dell'Eden fino alla discesa della Gerusalemme celeste.»
«Diventando cristiano, divento contemporaneo di Mosè, Paolo, Agostino, Tommaso d'Aquino, Dante, Manzoni, ma anche di Sofocle, Aristotele, Virgilio che preparano al Vangelo. So che, sostanzialmente, le domande che pongono Shakespeare o Goldoni valgono ancora per me.»
Il cristianesimo valorizza tutto, per questo Hadjadj ha parlato di una vera e propria "missione" di salvezza della cultura di oggi. «Credo che Nietzsche e Marx avranno posterità solo nella Chiesa, perché il cattolico si interesserà ancora ai loro scritti, quando i seguaci degli algoritmi, dell'animalismo o del fondamentalismo li avranno da tempo abbandonati».
Andrea Mariotto
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