In Aparecida Dio Dio ha dato anche una su se steso, circa il suo modo di essere di agire
Siamo ancora una Chiesa capace di riscaldare il cuore? Una Chiesa capace di ricondurre a Gerusalemme? Di riaccompagnare a casa? In Gerusalemme abitano le nostre sorgenti: Scrittura, Catechesi, Sacramenti, Comunità, amicizia del Signore, Maria e gli Apostoli…Siamo ancora in grado di raccontare queste fonti così da risvegliare l’incanto
per la loro bellezza?
“Più che un discorso formale, voglio condividere con voi alcune riflessioni.
La prima mi è venuta in mente un’altra volta quando ho visitato il santuario di Aparecida. Lì, ai piedi della statua dell’Immacolata Concezione, ho pregato per voi, per le vostre Chiese, per i vostri presbiteri, religiosi e religiose, per i vostri
seminaristi, per i laici e le loro famiglie e, in modo particolare, per i giovani e per gli anziani, entrambi sono la presenza di un popolo; i giovani, perché portano la forza, l’illusione, la speranza del futuro; gli anziani, perché sono la memoria, la saggezza di un popolo.
1. Aparecida: chiave di lettura per la missione della Chiesa
In Aparecida, Dio ha offerto al Brasile la sua propria Madre. Ma, in Aparecida, Dio ha dato anche una lezione su Se stesso, circa il suo modo di essere e di agire. Una lezione sull’umiltà che appartiene a Dio come tratto essenziale, e che è nel DNA di Dio. C’è qualcosa di perenne da imparare su Dio e sulla Chiesa in Aparecida; un insegnamento che né la Chiesa in Brasile, né il Brasile stesso devono dimenticare.
All’inizio dell’evento di Aparecida c’è la ricerca dei poveri pescatori. Tanta fame e poche risorse. La gente ha sempre bisogno di pane. Gli uomini partono sempre dai loro bisogni , anche oggi.
Hanno una barca fragile, inadatta; hanno reti scadenti, forse anche danneggiate, insufficienti.
Prima c’è la fatica, forse la stanchezza, per la pesca, e tuttavia il risultato è scarso: un fallimento, un insuccesso. Nonostante gli sforzi, le reti sono vuote.
Poi, quando vuole Dio, Egli stesso subentra nel suo Mistero. Le acque sono profonde e tuttavia nascondono sempre la possibilità di Dio; e Lui è arrivato di sorpresa, chissà quando non Lo si aspettava più. La pazienza di coloro che lo attendono è sempre messa alla prova. E Dio è arrivato in modo nuovo, perché Dio è sorpresa: un’immagine di fragile argilla, oscurata dalle acque del fiume, anche invecchiata dal tempo. Dio entra sempre nelle vesti della pochezza. Ecco allora l’immagine dell’Immacolata Concezione. Prima il corpo, poi la testa, poi il ricongiungimento di corpo e testa: unità. Quello che era spezzato riprende l’unità. Il Brasile coloniale era diviso dal muro vergognoso della schiavitù. La Madonna Aparecida si presenta con il volto negro, prima divisa, poi unita nelle mani dei pescatori.
C’è qui un insegnamento che Dio vuole offrire. La sua bellezza riflessa nella Madre, concepita senza peccato originale, emerge nell’oscurità del fiume. In Aparecida, sin dall’inizio, Dio dona un messaggio di ricomposizione di ciò che è fratturato, di compattazione di ciò che è diviso. Muri, abissi, distanze presenti anche oggi sono destinati a scomparire. La Chiesa non può trascurare questa lezione: essere strumento di riconciliazione.
I pescatori non disprezzano il mistero incontrato nel fiume, anche se è un mistero che appare incompleto. Non buttano via i pezzi del mistero. Attendono la pienezza. E questa non tarda ad arrivare. C’è qualcosa di saggio che dobbiamo imparare. Ci sono pezzi di un mistero, come parti di un mosaico, che andiamo incontrando. Noi vogliamo vedere troppo in fretta il tutto e Dio invece si fa vedere pian piano. Anche la Chiesa deve imparare questa attesa.
Poi i pescatori portano a casa il mistero. La gente semplice ha sempre spazio per far albergare il mistero. Forse abbiamo ridotto il nostro parlare del mistero ad una spiegazione razionale; nella gente, invece, il mistero entra nel cuore. Nella casa dei poveri Dio trova sempre posto.
I pescatori “agasalham”: rivestono il mistero della Vergine pescata, come se lei avesse freddo e avesse bisogno di essere riscaldata. Dio chiede di essere messo al riparo nella parte più calda di noi stessi: il cuore. Poi è Dio a sprigionare il calore di cui abbiamo bisogno, ma prima entra con l’astuzia di colui che mendica. I pescatori coprono quel mistero della Vergine con il manto povero della loro fede. Chiamano i vicini per vedere la bellezza trovata; si riuniscono attorno ad essa; raccontano le loro pene in sua presenza e le affidano le loro accuse. Consentono così che le intenzioni di Dio si possano attuare: una grazia, poi l’altra; una grazia che apre ad un’altra; una grazia prepara un’altra. Dio va gradualmente dispiegando l’umiltà misteriosa della sua forza.
C’è da imparare tanto da questo atteggiamento dei pescatori. Una Chiesa che fa spazio al mistero di Dio; una Chiesa che alberga in se stessa tale mistero, in modo che esso possa incantare la gente, attirarla. Solo la bellezza di Dio può attrarre. La via di Dio è l’incanto che attrae. Dio si fa portare a casa. Egli risveglia nell’uomo il desiderio di custodirlo nella propria vita, nella propria casa, nel proprio cuore. Egli risveglia in noi il desiderio di chiamare i vicini per far conoscere la sua bellezza. La missione nasce proprio da questo fascino divino, da questo stupore dell’incontro. Parliamo di missione, di Chiesa missionaria. Penso a pescatori che chiamano i loro vicini per vedere il mistero della Vergine. Senza la semplicità del loro atteggiamento, la nostra missione è destinata al fallimento.
Cari Fratelli, il risultato del lavoro pastorale non si appoggia sulla ricchezza delle risorse, ma sulla creatività dell’amore. Servono certamente la tenacia, la fatica, il lavoro, la programmazione, l’organizzazione, ma prima di tutto bisogna sapere che la forza della Chiesa non abita in se stessa, bensì si nasconde nelle acque profonde di Dio, nelle quali essa è chiamata a gettare le reti.
Un’altra lezione che la Chiesa deve ricordare sempre è che non può allontanarsi dalla semplicità, altrimenti disimpara il linguaggio del Mistero e resta fuori dalla porta del Mistero, e, ovviamente, non riesce ad entrare in coloro che pretendono dalla Chiesa quello che non possono darsi da sé, cioè Dio. A volte, perdiamo coloro che non ci capiscono perché abbiamo disimparato la semplicità, la Chiesa si priva delle condizioni che rendono possibile “pescare” Dio nelle acque profonde del suo Mistero.
Un ultimo ricordo: Aparecida è comparsa in un luogo di incrocio. La strada che univa Rio, la capitale, con San Paolo, la provincia intraprendente che stava nascendo, e Minas Gerais, le miniere molto ambite dalle corti Europee: un crocevia del Brasile Coloniale. Dio appare negli incroci. La Chiesa in Brasile non può dimenticare tale vocazione inscritta in sé fin dal suo primo respiro: essere capace di sistole e diastole, di raccogliere e diffondere.
2. L’apprezzamento per il percorso della Chiesa in Brasile
I Vescovi di Roma hanno avuto sempre il Brasile e la sua Chiesa nel loro cuore. Un meraviglioso percorso è stato compiuto. Dalle 12 diocesi durante il Concilio Vaticano I alle attuali 275 circoscrizioni. Non si è avvita l’espansione di un apparato o di una impresa, ma piuttosto il dinamismo dei “cinque pani e dei due pesci” evangelici, che messi a contatto con la bontà del Padre,in mani callose sono diventati fecondi.
Oggi, vorrei riconoscere il lavoro senza risparmio di voi Pastori, nelle vostre Chiese. Penso ai Vescovi nelle foreste, salendo e scendendo i fiumi, nelle aree semiaride, nel Pantanal, nella pampa, nelle giungle urbane delle megalopoli. Amate sempre, con totale dedizione il vostro gregge! Ma penso anche a tanti nomi e tanti volti, che hanno lasciato impronte incancellabili nel cammino della Chiesa in Brasile, facendo toccare con mano la grande bontà del Signore verso questa Chiesa.
I vescovi di Roma non sono mai stati lontani; hanno seguito, incoraggiato, accompagnato. Negli ultimi decenni, il beato Giovanni XXIII ha invitato con insistenza i Vescovi brasiliani a predisporre il primo piano pastorale, e, da quell’inizio, è cresciuta una vera tradizione pastorale in Brasile, che ha fatto sì che la Chiesa non fosse un transatlantico alla deriva, ma avesse sempre una bussola. Il Servo di Dio Paolo VI, oltre ad incoraggiare la ricezione del Concilio Vaticano II, con fedeltà, ma anche con tratti originali (cfr l’Assemblea Generale del CELAM a Medelin), ha influito in modo decisivo sull’autocoscienza della Chiesa in Brasile attraverso il Sinodo sull’evangelizzazione e quel testo fondamentale di riferimento che rimane: l’Evangelii nuntiandi. Il beato Giovanni Paolo II ha visitato il Brasile per tre volte, percorrendolo da “cabo a rabo”,dal nord al sud, insistendo sulla missione pastorale della Chiesa, sulla comunione e partecipazione, sulla preparazione al Grande Giubileo, sulla nuova evangelizzazione. Benedetto XVI ha scelto Aparecida per realizzare la V Assemblea Generale del CELAM e questo ha lasciato una grande impronta nella Chiesa dell’intero Continente.
Oggi siamo in un momento nuovo. Come si è bene espresso il Documento di Aparecida: non è un’epoca di cambiamento, ma è un cambiamento d’epoca. Allora, oggi è sempre più urgente domandarci: che cosa chiede Dio a noi? A questa domanda vorrei tentare di offrire qualche linea di risposta.
3. L’icona di Emmaus come chiave di lettura del presente e del futuro
Anzitutto non bisogna cedere alla paura di cui parlava John Henry Newman: “Il mondo cristiano sta gradualmente diventando sterile, e si esaurisce come una terra sfruttata a fondo che diviene sabbia”.Non bisogna cedere al disincanto, allo scoraggiamento, alle lamentele. Abbiamo lavorato molto e, a volte ci sembra di essere degli sconfitti, e abbiamo il sentimento di chi deve fare il bilancio di una stagione ormai persa, guardando a coloro che ci lasciano o non ci ritengono più credibili, rilevanti.
Rileggiamo in questa luce, ancora una volta, l’episodio di Emmaus (Lc 24,13-15). I due discepoli scappano da Gerusalemme. Si allontanano dalla “nudità” di Dio. Sono scandalizzati dal fallimento del Messia nel quale avevano sperato e che ora appare irrimediabilmente sconfitto, umiliato, anche dopo il terzo giorno (vv. 17-21). Il mistero difficile della gente che lascia la Chiesa ; di persone che, dopo essersi lasciate illudere da altre proposte, ritengono che ormai la Chiesa – la loro Gerusalemme – non possa offrire più qualcosa di significativo e importante. E allora vanno per la strada da soli, con la loro delusione. Forse la Chiesa è apparsa troppo debole, forse troppo lontana dai loro bisogni, forse troppo povera per rispondere alle loro inquietudini, forse troppo fredda nei loro confronti, forse troppo autoreferenziale, forse prigioniera dei propri rigidi linguaggi, forse il mondo sembra aver reso la Chiesa un relitto del passato, insufficiente per le nuove domande; forse la Chiesa aveva risposte per l’infanzia dell’uomo ma non per la sua età adulta. Il fatto è che oggi ci sono molti che sono come i due discepoli di Emmaus; non solo coloro che cercano risposte nei nuovi e diffusi gruppi religiosi, ma anche coloro che sembrano ormai senza Dio sia nella teoria che nella pratica.
Di fronte a questa situazione che cosa fare?
Serve una Chiesa che non abbia paura di entrare nelle loro lotte. Serve una Chiesa capace di incontrarli nella loro strada. Serve una Chiesa in grado di inserirsi nella loro conversazione. Serve una Chiesa che sappia dialogare con quei discepoli, scappando da Gerusalemme, vagano senza meta, da soli, con il proprio disincanto, con la delusione di un Cristianesimo ritenuto ormai terreno sterile, infecondo, incapace di generare senso.
La globalizzazione implacabile e l’intensa urbanizzazione spesso selvagge, hanno promesso molto. Tanti si sono innamorati delle loro potenzialità e in essa c’è qualcosa di veramente positivo, come, per esempio, la diminuzione delle distanze, l’avvicinamento tra le persone e le culture, la diffusione dell’informazione e dei servizi. Ma, dall’altro lato, molti vivevano i loro effetti negativi senza rendersi conto di come essi pregiudicano la propria visione dell’uomo e del mondo, generano maggiore disorientamento, e un vuoto che non riescono a spiegare. Alcuni di questi effetti sono la confusione circa il senso della vita, la disintegrazione personale, la perdita dell’esperienza di appartenere a un “nido”, la mancanza di un luogo e di legami profondi.
E siccome non c’è chi li accompagni e mostri con la propria vita il vero cammino, molti hanno cercato scorciatoie, perché appare troppo alta la “misura” della Grande Chiesa. Ci sono anche quelli che riconoscono l’ideale dell’uomo e di vita proposto dalla Chiesa, ma non hanno l’audacia di abbracciarlo. Pensano che questo ideale sia troppo grande per loro, sia fuori dalle loro possibilità; la meta a cui tendere è irraggiungibile. Tuttavia non possono vivere senza avere almeno qualcosa, sia pure una caricatura, di quello che sembra troppo alto e lontano. Con la disillusione nel cuore, vanno alla ricerca di qualcosa che li illuda ancora una volta, o si rassegnano ad una adesione parziale, che, in definitiva, non riesce a dare pienezza alla loro vita.
Il grande senso di abbandono e di solitudine, di non appartenenza neanche a se stessi che spesso emerge da questa situazione, è troppo doloroso per essere messo a tacere. C’è bisogno di uno sfogo e allora resta la via del lamento. Ma anche il lamento diventa a sua volta come un bumerangche torna indietro e finisce per aumentare l’infelicità. Poca gente è ancora capace di ascoltare il dolore; bisogna almeno anestetizzarlo.
Davanti a questo panorama, serve una Chiesa in grado di far compagnia, di andare al di là del semplice ascolto; una Chiesa che accompagna il cammino mettendosi in cammino con la gente; una Chiesa capace di decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle da Gerusalemme; una Chiesa che si renda conto di come le ragioni per le quali c’è gente che si allontana contengono già in se stesse anche le ragioni per un possibile ritorno, ma è necessario saper leggere il tutto con coraggio. Gesù diede calore al cuore dei discepoli di Emmaus.
Vorrei che ci domandassimo tutti, oggi: siamo ancora una Chiesa capace di riscaldare il cuore? Una Chiesa capace di ricondurre a Gerusalemme? Di riaccompagnare a casa? In Gerusalemme abitano le nostre sorgenti: Scrittura, Catechesi, Sacramenti, Comunità. amicizia del Signore, Maria e gli Apostoli…Siamo ancora in grado di raccontare queste fonti così da risvegliare l’incanto per la loro bellezza?
Tanti se ne sono andati poiché è stato promesso qualcosa di più alto,qualcosa di più forte, qualcosa di più veloce.
Ma c’è qualcosa di più alto dell’amore rivelato a Gerusalemme? Nulla è più alto dell’abbassamento della Croce, poiché lì si raggiunge veramente l’altezza dell’amore! Siamo ancora in grado dimostrare questa verità a coloro che pensano che la vera altezza della vita sia altrove?
Si conosce qualcosa di più forte della potenza nascosta nella fragilità dell’amore, del bene, della verità, della bellezza?
La ricerca di ciò che è sempre più veloce attira l’uomo d’oggi: Internet veloce, auto veloci, aerei veloci, rapporti veloci…E tuttavia si avverte unadisperata necessità di calma, vorrei dire di lentezza. La Chiesa , sa ancora essere lenta: nel tempo, per ascoltare, nella pazienza, per ricucire e ricomporre? O anche la Chiesa è ormai travolta dalla frenesia dell’efficienza? Recuperiamo, cari Fratelli, la calma di saper accordare il passo con le possibilità dei pellegrini, con i loro ritmi di cammino, la capacità di essere sempre vicini per consentire loro di aprire un varco nel disincanto che c’è nei cuori, così da potervi entrare. Essi vogliono dimenticare Gerusalemme nella quale abitano le loro sorgenti, ma allora finiranno per sentire sete. Serve una Chiesa capace ancora di accompagnare il ritorno a Gerusalemme! Una Chiesa che sia in grado di far riscoprire le cose gloriose e gioiose che si dicono di Gerusalemme, di far capire che essa è mia Madre, nostra Madre e non siamo orfani! In essa siamo nati. Dov’è la nostra Gerusalemme, dove siamo nati? Nel Battesimo, nel primo incontro di amore, nella chiamata, nella vocazione! Serve una Chiesa che torni a portare calore, ad accendere il cuore.
Serve una Chiesa capace ancora di ridare cittadinanza a tanti dei suoi figli che camminano come in un esodo.
4. Le sfide della Chiesa in Brasile
Alla luce di quanto ho detto, vorrei sottolineare alcune sfide dell’amata Chiesa che è in Brasile.
La priorità della formazione: Vescovi, sacerdoti, religiosi, laici
Cari fratelli, se non formeremo ministri capaci di riscaldare il cuore della gente, di camminare nella notte con loro, di dialogare con le loro illusioni e delusioni, di ricomporre le loro disintegrazioni. Che cosa potremo sperare per il cammino presente e futuro? Non è vero che Dio sia oscurato in loro. Impariamo a guardare più in profondità: ma chi riscaldi loro il cuore, come i discepoli di Emmaus (Lc 24,32).
Per questo è importante promuovere e curare una formazione qualificata che crei persone capaci di scendere nella notte senza essere invase dal buio e perdersi; di ascoltare l’illusione di tanti, senza lasciarsi sedurre; di accogliere le delusioni, senza disperarsi e precipitare nell’amarezza; di toccare la disintegrazione altrui, senza lasciarsi sciogliere e scomporsi nella propria identità.
Serve una solidità umana, culturale, affettiva, spirituale. Cari Fratelli nell’Episcopato, bisogna avere il coraggio di una revisione a fondo delle strutture di formazione e preparazione del clero e del laicato della Chiesa che è in Brasile. Non è sufficiente una vaga priorità della formazione, né di documenti o di convegni. Serve la saggezza pratica di mettere in piedi strutture durevoli di preparazione, in ambito locale, regionale, nazionale e che siano il vero cuore per l’Episcopato, senza risparmiare forze, attenzione e accompagnamento. La situazione attuale esige una formazione qualificata a tutti i livelli. I Vescovi non possono delegare tale compito. Voi non potete delegare tale compito, ma assumerlo come qualcosa di fondamentale per il cammino delle vostre Chiese.
Collegialità e solidarietà della Conferenza Episcopale
Alla Chiesa in Brasile non basta un leader nazionale, serve una rete di “testimonianze” regionali, che, parlando lo stesso linguaggio, assicurino dappertutto non l’unanimità, ma la vera unità nella ricchezza della diversità.
La comunione è una tela da tessere con pazienza e perseveranza che va gradualmente “avvicinando i punti” per consentire una copertura sempre più estesa e densa. Una coperta con pochi fili di lana non riscalda.
E’ importante ricordare Aparecida, il metodo di raccogliere la diversità. Non tanto diversità di idee per produrre un documento, ma varietà di esperienze di Dio per mettere in moto una dinamica vitale.
I discepoli di Emmaus sono tornati a Gerusalemme raccontando l’esperienza che avevano fatto nell’incontro con il Cristo Risorto (Lc 24, 33-35). E là sono venuti a conoscenza delle altre manifestazioni del Signore e delle esperienze dei loro fratelli. La Conferenza Episcopale è proprio uno spazio vitale per consentire tale interscambio di testimonianze circa gli incontri con il Risorto,nel nord, nel sud, nell’ovest…Serve, allora, una valorizzazione crescente dell’elemento locale e regionale. Non è sufficiente la burocrazia centrale, ma bisogna far crescere la collegialità e la solidarietà, sarà una vera ricchezza per tutti.
Stato permanente di missione e conversione pastorale
Aparecida ha parlato di stato permanente di missione e della necessità di una conversione pastorale. Sono due risultati importanti di quell’Assemblea per l’intera Chiesa dell’area, e il cammino fatto in Brasile su questi due punti è significativo.
Sulla missione è da ricordare che l’urgenza deriva dalla sua motivazione interna, si tratta cioè di trasmettere un’eredità, e sul metodo è decisivo ricordare che un’eredità è come il testimone, il bastone, nella corsa a staffetta: non si butta per aria e chi riesce a prenderlo, bene, e chi non ci riesce rimane senza. Per trasmettere l’eredità bisogna consegnarla personalmente, toccare colui al quale si vuole donare, trasmettere, tale eredità.
Sulla conversione pastorale vorrei ricordare che “pastorale” non è altra cosa che l’esercizio della maternità della Chiesa. Essa genera, allatta, fa crescere, corregge, alimenta, conduce per mano…Serve, allora, una Chiesa capace di riscoprire le viscere materne della misericordia. Senza la misericordia c’è poco da fare oggi per inserirsi in un mondo di “feriti”, che hanno bisogno di comprensione, di perdono, di amore.
Nella missione, anche continentale, è molto importante rinforzare la famiglia, che rimane cellula essenziale per la società e per la Chiesa ; i giovani, che sono il volto futuro della Chiesa; le donne, che hanno un ruolo fondamentale per trasmettere la fede e costituiscono una forza quotidiana in una società che la porti avanti e la rinnovi. Non riduciamo l’impegno delle donne nella Chiesa, bensì promuoviamo il loro ruolo attivo nella comunità ecclesiale. Se la Chiesa perde le donne, nella sua dimensione totale e reale, la Chiesa rischia la sterilità. Aparecida sottolinea anche la vocazione e la missione dell’uomo nella famiglia, nella Chiesa e nella società, come padri, lavoratori e cittadini. Tenetelo in seria considerazione!
Il compito della Chiesa nella società
Nell’ambito della società c’è una sola cosa che la Chiesa chiede con particolare chiarezza: la libertà di annunciare il Vangelo in modo integrale, anche quando si pone in contrasto con il mondo, anche quando va controcorrente, difendendo il tesoro di cui è solo custode, e i valori dei quali non dispone, ma che ha ricevuto e ai quali deve essere fedele.
Educazione, salute, pace sociale sono le urgenze brasiliane. La Chiesa ha una parola da dire su questi temi, perché per rispondere adeguatamente a tali sfide non sono sufficienti soluzioni meramente tecniche, ma bisogna avere una sottostante visione dell’uomo, della sua libertà, del suo valore, della sua apertura al trascendente. E voi, cari Confratelli, non abbiate timore di offrire questo contributo della Chiesa che è per il bene dell’intera società e di offrire questa parola “incarnata” con la testimonianza.
L’Amazzonia come cartina di tornasole, banco di prova per la Chiesa e la società brasiliane
C’è un ultimo punto sul quale vorrei soffermarmi, e che ritengo rilevante per il cammino attuale e futuro sono solo della Chiesa in Brasile, ma anche dell’intera compagine sociale: l’Amazzonia. La Chiesa è in Amazzonia non come chi ha le valige in mano per partire dopo aver sfruttato tutto ciò che ha potuto. La Chiesa è presente in Amazzonia sin dall’inizio con missionari, congregazioni religiose, sacerdoti, laici e vescovi, e tuttora è presente e determinante per il futuro dell’area. Penso all’accoglienza che la Chiesa in Amazzonia offre oggi agli immigrati haitiani dopo il terribile terremoto, che ha sconvolto il loro paese.
Vorrei invitare tutti a riflettere su quello che Aparecida ha detto sull’Amazzonia anche il forte richiamo al rispetto e alla custodia dell’intera creazione che Dio ha affidato all’uomo non perché lo sfrutti selvaggiamente, ma perché lo renda un giardino. Nella sfida pastorale che rappresenta l’Amazzonia non posso non ringraziare ciò chela Chiesa in Brasile sta facendo: la Commissione Episcopale per l’Amazzonia creata nel 1997 ha già dato molti frutti e tante diocesi hanno risposto in modo pronto e generoso alla richiesta di solidarietà, inviando missionari laici e sacerdoti. Ringrazio Mons. Jaime Chemolo pioniere di questo lavoro e il Card. Hummes attuale Presidente della Commissione. Ma vorrei aggiungere che va ulteriormente incentivata e rilanciata l’opera della Chiesa. Servono formatori qualificati, soprattutto formatori e professori di teologia, per consolidare i risultati ottenuti nel campo della formazione di un clero autoctono, anche per avere sacerdoti adattati alle condizioni locali e consolidare, per così dire, il”volto amazzonico” della Chiesa. In questo, per favore, vi chiedo di essere coraggiosi, di avere parresia! Nel linguaggio “porteno” (di Buenos Aires) vi direi di essere intrepidi.
Cari Confratelli, ho cercato di offrirvi in modo fraterno delle riflessioni e delle linee di lavoro in una Chiesa come quella in Brasile che è un grande mosaico di piccole pietre, di immagini, di forme, di problemi, di sfide, ma che proprio per questo è una enorme ricchezza. La Chiesa non è mai uniformità, ma diversità che si armonizzano nell’unità e questo vale in ogni realtà ecclesiale.
Le due anime, dottrinale e pastorale, del Concilio Vaticano II:
- “è necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo” (Giovanni XXIII).Questo lavoro ha avuto un contributo eccezionale con Benedetto XVI e il suo culmine con il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica per cui nell’incertezza di questo periodo storico e di questa società viene offerta agli uomini del nostro tempo la certezza della fede completa della Chiesa. La chiarezza e la bellezza della fede cattolica sono ciò che rendono luminosa la vita dell’uomo anche oggi! Questo in particolare se viene presentata da testimoni entusiasti ed entusiasmanti.
- Il Beato Giovanni XXIII ideò e indisse il Concilio ecumenico Vaticano II in modo inequivocabile come un Concilio pastorale. E’ ciò che accentuai Papa Francesco e in questo intervento ai Vescovi brasiliani e attraverso essi a tutta la Chiesa propone una conversione pastorale: “Sulla conversione pastorale vorrei ricordare che “pastorale” non è altra cosa che l’esercizio della maternità della Chiesa. Essa genera, allatta, fa crescere, corregge, alimenta, conduce per mano…Serve, allora, una Chiesa capace di riscoprire le viscere materne della misericordia. Senza la misericordia c’è poco da fare oggi per inserirsi in un mondo di “feriti”, che hanno bisogno di comprensione, di perdono, di amore”.
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