Collegialità, ma il primato non si tocca


Collegialità, sinodalità sì, ha detto il Papa, ma sempre “in armonia con il primato” del Vescovo di Roma.Benedetto XVI parlava non di semplice “continuità” ma di “riforma nella continuità”, e Francesco sta ora ribadendo uno per uno i momenti riformatori, nello stesso tempo interpretandoli “in continuità” sulla scia di Papa Ratzinger: dall’ecumenismo ai rapporti con il mondo ebraico e alla collegialità, alla libertà religiosa. Chi rifiuta i capisaldi del Vaticano II non può affermare di essere in armonia e in comunione con il Pontefice. Il dono e l’impegno di un’omelia teologica 
Il 29 giugno 2013 Papa Francesco ha celebrato la Messa nella solennità dei Santi Pietro e Paolo, imponendo il tradizionale Pallio ai 34 nuovi metropoliti, compreso quello di Buenos Aires Tutta l’omelia – come al solito divisa didatticamente in tre parti – è sembrata mirare alla riforma della Curia romana e a decisioni forse imminenti. Il Conclave ha chiesto al nuovo Pontefice d’immettere nella
Chiesa più collegialità, più consultazione fra Curia romana e vescovi sparsi nel mondo. Francesco annuncia che si muoverà in questa direzione, ma purché non si metta in discussione il primato del Papa, senza il quale viene meno l’unità della Chiesa.
“Tre pensieri sul ministero petrino, guidati dal verbo “confermare”. In che cosa è chiamato a confermare il Vescovo di Roma?
1. Anzitutto, confermare nella fede. Il vangelo parla della confessione di Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16), una confessione che non nasce da lui, ma  dal Padre celeste. Ed è per questa confessione che Gesù dice: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa” (v. 18). Il ruolo, il servizio ecclesiale di Pietro ha il suo fondamento nella confessione di fede in Gesù, il Figlio del Dio vivente, resa possibile da una grazia donata dall’alto”Il Papa è il Papa  in quanto conferma i fedeli nella verità.“Quando Gesù parla della sua morte e risurrezione, della strada di Dio che non corrisponde alla strada umana del potere, in Pietro riemergono la carne e il sangue: “si mise a rimproverare il Signore:…questo non ti accadrà mai” (16,22). E Gesù ha una parola dura: “Va’ dietro a me, SatanaTu mi sei di scandalo” (v. 23). Quando lasciamo prevalere i nostri pensieri, i nostri sentimenti, la logica del potere umano e non ci lasciamo istruire e guidare dalla fede, da Dio, diventiamo pietra di inciampo. La fede in Cristo è la luce della nostra vita di cristiani e di ministri nella Chiesa!”Che questo valga   anche per i Papi lo sappiamo da quel primo famosissimo dialogo fra Gesù e Pietro.
2. Confermare nell’amore. Nella seconda Lettura abbiamo ascoltato le commoventi parole di san Paolo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede” (Tm 4,7). Di quale battaglia si tratta? Non quella delle armi umane, che purtroppo insanguina ancora il mondo; ma è la battaglia del martirio. San Paolo ha un’unica arma: il messaggio di Cristo e il dono di tutta la sua vita per Cristo e per gli altri. Ed è proprio l’esporsi in prima persona, il lasciarsi consumare per il vangelo, il farsi tutto a tutti, senza risparmiarsi, che lo ha reso credibile e ha edificato la Chiesa. Il Vescovo di Roma è chiamato a vivere e confermare in questo amore verso Cristo e verso tutti senza distinzioni, limiti e barriere. E non solo il vescovo di Roma: tutti voi, nuovi arcivescovi e vescovi, avete lo stesso compito: lasciarsi consumare per il Vangelo, farsi tutto a tutti. Il compito di non risparmiare, uscire di sé al servizio del santo popolo di Dio”. Se vuole essere credibile, anche il Papa, il Vescovo di Roma è chiamato a testimoniare il suo amore per la Chiesa in modo totale, senza temere le contraddizioni, le persecuzioni e il martirio. E questo è anche il compito di tutti i vescovi simboleggiato dalla consegna del Pallio.
3. Confermare nell’unità. Qui non mi soffermo sul gesto che abbiamo compiuto. Il Pallio è simbolo di comunione con il Successore di Pietro, “principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione” (Lumen gentium 18). Lo stesso testo conciliare afferma che il Signore “costituì gli Apostoli a modo di collegio o gruppo stabile, a capo del quale mise Pietro, scelto di mezzo a loro”. Come è noto, questo fu un problema centrale e difficile per il Vaticano II che si è impegnato a completare il Vaticano I interrotto dopo aver definito il primato del Papa: armonizzare il primato del Papa, senza il quale non c’è unità, con la collegialità tra i vescovi, che è necessaria al governo di una Chiesa sempre più estesa e complessa e senza la quale, ha detto Francesco, l’unità rischia di trasformarsi in una sterile “uniformità”. Dopo il Concilio i Papi hanno cercato di promuovere “il Sinodo dei Vescovi, in armonia con il primatoDobbiamo andare per questa strada dellasinodalità, crescere in armonia con il servizio del primato”E la vostra presenza oggi, cari Confratelli, è il segno che la comunione della Chiesa non significa uniformità. Il Vaticano II, riferendosi alla struttura gerarchica della Chiesa afferma che il Signore “costituì gli Apostoli a modo di collegio o gruppo stabile, a capo del quale mise Pietro, scelto di mezzo a loro” (ibid. 19). Francesco ha affermato che il collegio dei vescovi, “in quanto composto da molti, esprime la varietà e universalità del popolo di Dio”. Ma questa varietà deve essere ricondotta a unità intorno al Vescovo di Roma. Nella Chiesa la varietà, che è una grande ricchezza, si fonde sempre nell’armonia dell’unità, come un grande mosaico in cui tutte le tessere concorrono a formare l’unico grande disegno di Dio. E questo deve spingere a superare sempre ogni conflitto che ferisce il corpo della Chiesa. Uniti nelle differenze: non c’è un’altra strada cattolica per unirci. Questo è lo spirito cattolico, lo spirito cristiano: unirsi nelle differenze. Questa è la strada di Gesù! Il Pallio, se è segno della comunione con il vescovo di Roma, con la Chiesa universale, con il Sinodo dei Vescovi, è anche un impegno per ciascuno di voi ad essere strumenti di comunione. Confessare il Signore lasciandosi istruire da Dio; consumarsi per amore di Cristo e del suo Vangelo; essere servitori dell’unità. Queste, cari Confratelli nell’episcopato, le consegne che i Santi Apostoli Pietro e Paolo affidano a ciascuno di noi, perché siano vissute da ogni cristiano. Ci guidi e ci accompagni sempre con la sua intercessione la santa Madre di Dio: Regina degli Apostoli, prega per noi”! (Papa Francesco, Omelia nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, 29 giugno 2013).

E’ un’omelia fortemente teologica e nello stesso tempo non priva di impliciti riferimenti di attualità. Il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, ha commentato che “nel gesto profetico della rinuncia di Benedetto XVI era implicito anche un grido: non si può lasciare sulle spalle di uno solo l’esercizio di un compito così gravoso.Nel pre – conclave abbiamo detto che, senza intaccare il primato, sarebbe stato provvidenziale che il nuovo Papa trovasse nuove forme per guidare la Chiesa”La riforma della Curia romana, il ruolo – che sembra sarà precisato in un imminente documento – della commissione di otto cardinali chiamata a consigliare il Papa su tale riforma, una nuova disciplina del Sinodo dei Vescovi, sono tutte mosse, che come ricorda il cardinale Scola fu auspicata da tutti in Conclave, di una nuova riflessione sulla collegialità “senza intaccare il primato”.
Su La nuova Bussola Quotidiana del 30/06/2013 Massimo Introvigne aggiunge: “In previsione del venticinquesimo anniversario, il 30 giugno 2013, delle ordinazioni senza l’autorizzazione di Roma di quattro vescovi da parte di mons. Marcel Lefebvre (1905-1991), il 27 giugno la Fraternità sacerdotale San Pio X, appunto l’organizzazione fondata da mons. Lefebvre, ha pubblicato una dichiarazione ufficiale in cui ribadisce che non è disponibile ad accettare, come chiedeva Benedetto XVI, i documenti del Vaticano II interpretandoli secondo una “ermeneutica di riforma nella continuità” con il magistero precedente, ma intende rifiutare questi documenti – o almeno buona parte di essi –in quanto rimane convinta che “la causa degli errori che stanno demolendo la Chiesa non risiede in una cattiva interpretazione dei testi conciliari, ma nei testi stessi”La dichiarazione cita la libertà religiosa, l’ecumenismo. Il dialogo interreligiso, la liturgia, ma rifiuta anche esplicitamente la Costituzione dogmatica “Lumen gentium”, affermando che la nozione di collegialità “distrugge”l’autorità del papa”. Non risulta che Papa Francesco si sia occupato per ora dello spinoso dossier che riguarda li cosidetti “lefebvriani”. Tuttavia in tema di libertà religiosa, ecumenismo, relazioni con gli ebrei e ora anche collegialità Francesco continua a ribadire – sulla scia di Benedetto XVI – che gli insegnamenti del Vaticano II non sono facoltativi, denunciando implicitamente posizioni che peraltro esistono anche al di fuori del mondo “lefebvriano”. E’ giusto e anzi doveroso approfondire l’interpretazione dei documenti conciliari, denunciando le false ermeneutiche che si presentano come rottura con il magistero precedente. Ma interpretare non può significare rifiutare, né accettare solo quanto nei testi del Vaticano II si limita a ribadire il magistero precedente. Benedetto XVI parlava non di semplice “continuità” ma di “riforma nella continuità”, e Francesco sta ora ribadendo uno per uno i momenti riformatori, nello stesso tempo interpretando “in continuità” sulla scia di Papa Ratzinger: dall’ecumenismo ai rapporti con il mondo ebraico e alla collegialità. Chi rifiuta i capisaldi del Vaticano II non può affermare di essere in armonia e in comunione con il Pontefice”. 

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