XXI Domenica

 

Alla domanda sul numero di quelli che si salveranno Cristo non risponde. Questa è la caratteristica del Vangelo di oggi, in cui Cristo, invece di rispondere a una domanda teorica, rivolge una esortazione energica, una parola illuminante e al tempo stesso sconcertante. Che significa questa "porta stretta"? Perché, pur aperta a tutti, molti non riescono ad entrarvi? Si tratta forse di un passaggio riservato solo ad alcuni eletti? In effetti, questo modo di ragionare degli interlocutori di Gesù, a ben vedere è sempre attuale, forse anche nostro: è sempre in agguato la tentazione di interpretare la pratica religiosa come fonte di privilegi o di sicurezze. In realtà, il messaggio di Cristo risorto, vivo ci giunge in questo momento e va proprio in senso opposto: tutti possono entrare nella vita, in paradiso, possono giungere a salvezza ma per tutti la porta è "stretta". Non ci sono privilegiati. Il passaggio alla meravigliosa vita eterna con ogni bene senza più alcun male per l'anima e per il corpo è aperto a tutti, ma è "stretto" perché è sorgente, richiede impegno, abnegazione, mortificazione del proprio egoismo.

Ancora una volta, come nelle scorse domeniche, il Vangelo ci invita a considerare il futuro che ci attende e al quale ci dobbiamo preparare durante il nostro pellegrinaggio sulla terra. La salvezza, il compimento che Gesù ha significativamente operato con la sua morte e risurrezione, è universale. Egli è l'unico Redentore, l'unica porta e invita tutti al banchetto della vita immortale con ogni bene senza più alcun male. Ma ad un'unica e uguale condizione: quella di sforzarsi di seguirlo e di imitarlo in tutta la vita, prendendo su di sé, come Lui ha fatto, la propria croce quotidiana e dedicando la vita al servizio dei fratelli, crescendo nell'amore. Unica e universale, dunque, è questa condizione per entrare nella vita celeste. Nell'ultimo giorno – ricorda ancora Gesù nel Vangelo – non è in base a presunti privilegi che saremo giudicati, ma secondo le nostre buone opere personali.

Gli "operatori di iniquità" si troveranno esclusi per sempre, mentre saranno accolti quanti avranno compiuto il bene e cercato la giustizia anche con il perdono da Dio e con i fratelli, a costo di sacrifici e rinunce.

Non basterà dichiararsi "amici" di Cristo vantando falsi o incompleti meriti: "Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu liturgicamente hai insegnato nelle nostre piazze" (Lc 13,26). La vera amicizia con Gesù si esprime solo nel modo sacramentale di comunione con Lui nel modo conseguente di vivere di amore con tutti, nemici compresi: si esprime con la bontà del cuore, con l'umiltà, con la mitezza e la misericordia, la riconciliazione. Questa, potremmo dire, è la "carta di identità" che ci qualifica come suoi "amici"; questo il "passaporto" che ci permetterà di entrare nella vita con ogni bene senza più alcun male sia per l'anima come per il corpo, ma la "porta" è stretta per tutti e fino alla fine di questa vita terrena.

Perciò occorre "rinfrancare le mani cadenti e le ginocchia infiacchite" e andare avanti con coraggio e fiducia in Cristo, con l'aiuto della mamma celeste, della Regina della pace, dell'amore, della Madre del lungo cammino sempre vicino. L'amore del Signore certamente non può non essere esigente, perché è un amore autentico, e ogni amore autentico è esigente. Ma questa esigenza è tutta positiva, e quindi è già sorgente di gioia in tutte le tribolazioni, morte del corpo compresa.

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