XIX Domenica (Lc 12,32-48)

 

La pagina evangelica, proseguendo il messaggio di domenica scorsa, ci invita a distaccarci dai beni materiali in gran parte illusori, e a compiere fedelmente il nostro dovere con una costante tensione verso la vita eterna, verso il Paradiso. Da credenti nell'amore del prossimo restiamo desti e vigilanti per essere pronti ad accogliere Gesù quando con la morte del corpo verrà a prenderci sempre ivi nell'anima.

Attraverso esempi tratti dalla vita quotidiana, il Signore esorta i suoi discepoli e in continuità noi a vivere questa disposizione interiore, come quei servi della parabola che sono in attesa del ritorno del loro padrone. "Beati quei servi – Egli dice – che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli" (Lc 12,37), cioè oranti nell'amore del prossimo. Dobbiamo dunque vegliare, pregando e operando il bene dei fratelli. È vero, sulla terra siamo tutti di passaggio, come ci ricorda la seconda lettura dell'odierna liturgia, tratta dalla Lettera agli Ebrei. Essa ci presenta Abramo in abito da pellegrino, come un nomade che vive in una tenda e sosta in una regione straniera. A guidarlo è la fede, la fiducia, la speranza, la certezza dell'amore di Dio. "Per fede – scrive l'autore sacro -Abramo chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava" (Eb 11,8), chi avrebbe incontrato, quali avvenimenti facili o difficili. La sua vera meta era infatti "la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore di felicità è Dio stesso" (11,10). La città a cui sia allude non è in questo mondo, ma è la Gerusalemme celeste, la vita eterna, il Paradiso.

 Era ben consapevole di ciò la primitiva comunità cristiana che si considerava quaggiù "forestiera" e chiamava i suoi nuclei residenti in città "parrocchie", che significa appunto colonie di stranieri (1 Pt 2,11). In questo modo i primi cristiani esprimevano la caratteristica più importante della Chiesa nella finalità di amare ogni fratello, che è appunto la tensione verso il cielo. L'odierna liturgia della Parola vuole pertanto invitarci a pensare nella carità non nei riconoscimenti immediati ma "alla vita del mondo che verrà", come ripetiamo ogni volta che con il Credo facciamo la nostra professione di fede. Un invito a spendere la nostra esistenza in modo saggio e previdente, a considerare attentamente il nostro destino, e cioè quelle realtà che noi chiamiamo ultime da raggiungere ma le prime da tenere presenti in ogni scelta che ci motivano: la morte, il giudizio finale, l'eternità, l'inferno, il purgatorio o pre-paradiso e il paradiso. E proprio così noi assumiamo la responsabilità per il mondo e costruiamo un mondo migliore come hanno fatto i cattolici di tutti i tempi.

La Vergine Maria che come Regina della pace, dell'Amore, come Madre del lungo cammino veglia su ciascuno di noi, ci aiuti a non dimenticare mai che qui sulla terra, siamo solo di passaggio, ogni piacere o sofferenza sono relativi e ci accompagni con tanto carità, l'unica che portiamo nell'eternità al momento della morte, ad incontrare Gesù che "siede alla destra di Dio Padre Onnipotente: di là verrà a giudicare i vivi e i morti".

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