Cercare Dio solo

In una raccolta di atti e di testimonianze di san Giovanni Maria Vianney, padre Serafino Tognetti CFD illustra egregiamente il "il cercare Dio solo" e la testimonianza di poter "vedere Dio in un uomo"


Nel 1974 c'è stato il Sinodo sull'Evangelizzazione nel mondo contemporaneo e San Paolo VI ha voluto che il vescovo di Verona, Mons. Giuseppe Carraro che gli aveva fatto gli esercizi, partecipasse all'incontro sinodale. Ero a Milano per laurearmi in Filosofa con Sofia Vanni Rovighi e mi invitò a Roma in quel mese di ottobre. Ebbi il dono di fare amicizia con l'allora cardinale Vojtyla, che aveva fatto la relazione di inizio e di conclusione, e la sua segretaria Poltawska. Il clima tra i vescovi era teso a seguito dell'Humanae vitae e si puntava non a una esortazione post-sinodale ma sinodale. Il confronto era tra una linea antropocentrica o teocentrica. Mi ricordo quel 28 ottobre 1974 fino alle cinque del mattino con Padre Grasso, con la decisione di consegnare tutto il materiale a San Paolo VI per una esortazione post-sinodale. San Paolo VI chiese a mons. Carraro chi poteva aiutarlo e l'indicazione fu per Vojtyla che aiutò per l'Evangelii nuntiandi, pubblicata l'8 dicembre del 1975, a dieci anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II. Rifacendosi a De Lubac e al numero 22 della Gaudium et spes (incarnandosi il Figlio si è unito, in qualche modo, ad ogni uomo) i primi cinque capitoli sono cristocentrici giungendo al teocentrico e antropocentrico.

Pastoralmente, pur positivo, condivido i limiti evidenziati oggi, dopo anni di esperienza pastorale, da Benedetto XVI nel suo intervento sulla "grave crisi nella Chiesa" dell'11 aprile 2019: "se volessimo veramente sintetizzare al massimo il contenuto della fede fondata nella Bibbia, potremmo dire: il Signore ha iniziato con noi una storia d'amore e vuole riassumere in essa l'intera creazione. L'antidoto al male che anche oggi minaccia noi e il mondo intero ultimamente non può che consistere nel fatto che ci abbandoniamo a questo amore. Questo è il vero antidoto al male. La forza del male nasce dal rifiuto dell'amore a Dio. È redento chi si affida all'amore di Dio. Il nostro non essere redenti poggia sull'incapacità di amare Dio. Imparare ad amare Dio è dunque la strada per la redenzione degli uomini.

Se ora proviamo a svolgere un po' ampiamente questo contenuto essenziale della Rivelazione di Dio, potremmo dire: il primo fondamentale che la fede ci offre consiste nella certezza che Dio esiste. Un mondo senza Dio non può essere altro che un mondo senza senso. Infatti, da dove viene tutto quello che è? In ogni caso sarebbe privo di un fondamento spirituale. In qualche modo ci sarebbe e basta, e sarebbe privo di qualsiasi fine e di qualsiasi senso. Non vi sarebbero più criteri del bene e del male. Dunque avrebbe valore unicamente ciò che è più forte. Il potere diviene allora l'unico principio. La verità non conta, anzi in realtà non esiste. Solo se le cose hanno un fondamento spirituale, solo se sono volute e pensate – solo se c'è un Dio creatore che è buono e vuole il bene – anche la vita dell'uomo può avere senso.

Che Dio ci sia come creatore e misura di tutte le cose, è innanzitutto un'esigenza originaria. Ma un Dio che non si manifestasse affatto (fosse solo, pur necessario, l'Essere atto puro a fondamento razionale di ogni ente potenza-atto), che non si facesse riconoscere, resterebbe un'ipotesi e perciò non potrebbe determinare la forma della nostra vita. Affinché Dio sia realmente Dio nella creazione consapevole, dobbiamo attenderci che egli si manifesti in una qualche forma. Egli lo ha fatto in molti modi, e in modo decisivo nella chiamata soprannaturale che fu rivolta ad Abramo e diede all'uomo quell'orientamento, nella ricerca naturale di Dio, che supera ogni attesa: Dio diviene creatura egli stesso, parla a noi uomini come uomo. Così finalmente la frase "Dio è" diviene davvero una lieta novella, proprio perché è più che conoscenza naturale, perché genera amore ed è amore (Amante il Padre, Amato il Figlio, Amore lo Spirito Santo nel Dio unico). Rendere gli uomini nuovamente consapevoli di questo, rappresenta il primo fondamentale compito che il Signore ci assegna.

Una società nella quale Dio è assente - una società che non lo conosce più e lo tratta come se non esistesse – è una società che perde il suo criterio. Nel nostro tempo è stato coniato drammaticamente il motto della "morte di Dio". Quando in una società Dio muore, essa diviene libera, ci è stato assicurato.  In verità, la morte di Dio in una società significa, e oggi lo constatiamo, anche la fine della sua libertà, perché muore il senso che offre il suo orientamento. E perché viene meno il criterio che ci indica la direzione insegnandoci a DISTINGUERE IL BENE DAL MALE. La società occidentale è una società nella quale Dio nella sfera pubblica è assente e per la quale non ha più nulla da dire su questa e oltre questa vita. E per questo è una società nella quale si perde sempre più il criterio e la misura dell'umano. In alcuni punti, allora, a volte diviene improvvisamente percepibile che è divenuto addirittura ovvio quel che è male e che distrugge l'uomo – il caso della pedofilia. E, ora scossi e scandalizzati, riconosciamo che sui nostri bambini e giovani, si commettono cose che rischiano di distruggerli. Che questo potesse diffondersi anche nella Chiesa e tra i sacerdoti deve scuoterci e scandalizzarci in misura particolare.

Come ha potuto la pedofilia RAGGIUNGERE UNA DIMENSIONE DEL GENERE? In ultima analisi il motivo sta nell'assenza di Dio. Anche noi cristiani e sacerdoti preferiamo non parlare di Dio, perché è un discorso che nell'attuale pragmatismo non sembra avere utilità pratica. Dopo gli sconvolgimenti della Seconda guerra mondiale, in Germania avevamo adottato la nostra Costituzione (non così in Italia) dichiarandoci esplicitamente responsabili davanti a Dio come criterio guida. Mezzo secolo dopo non era più possibile, nella Costituzione europea, assumere la responsabilità di fronte a Dio come criterio di misura. Dio viene visto come affare di partito di un piccolo gruppo e non può più essere assunto come criterio di misura della comunità nel suo complesso. In questa decisione si rispecchia la situazione moderna dell'Occidente, nel quale Dio è divenuto fatto privato di una minoranza silenziosa.

Il primo compito che deve scaturire dagli attuali e drammatici sconvolgimenti morali del nostro tempo consiste nell'iniziare di nuovo noi stessi a vivere naturalmente e soprannaturalmente di Dio e in obbedienza a Lui. Soprattutto dobbiamo noi stessi, personalmente di nuovo imparare a riconoscere naturalmente e soprannaturalmente Dio come fondamento della nostra vita e non accantonarlo come fosse una parola vuota qualsiasi. Mi resta impresso il monito che il grande teologo Hans Urs von Balthasar vergò una volta su uno dei suoi biglietti: "di Dio trino, Padre, Figlio e Spirito santo: non presupporlo ma anteporlo!". In effetti, anche nella teologia, spesso Dio viene presupposto come fosse un'ovvietà, ma concretamente di lui non si occupa. Il tema "Dio" appare così irreale, così lontano dalle cose che ci occupano. E tuttavia cambia tutto se Dio non lo si presuppone, ma lo si antepone. Se non lo si lascia in qualche modo sullo sfondo ma lo si riconosce come centro del nostro pensare, parlare e agire.

Dio è divenuto uomo per noi. La creatura uomo gli sta talmente a cuore che egli si è unito a essa entrando concretamente nella storia. Parla con noi, vive con noi, soffre con noi e per noi ha preso su di sé la morte. Di questo certo parliamo diffusamente nella teologia con un linguaggio e con concetti dotti. Ma proprio così nasce il pericolo che ci facciamo signori della fede, invece di lasciarci rinnovare e dominare dalla fede.

Consideriamo questo riflettendo su un punto centrale, la celebrazione della Santa Eucaristia. Il nostro rapporto con l'Eucaristia non può che destare preoccupazione. A Ragione il vaticano II intese mettere di nuovo al centro della vita cristiana e dell'esistenza della Chiesa questo sacramento della presenza del corpo e del sangue di Cristo, della presenza della sua persona, della sua passione, morte e risurrezione. In parte questa cosa è realmente avvenuta e per questo vogliamo di cuore ringraziare il Signore.

Ma largamente dominante è un altro atteggiamento: non domina un nuovo e profondo rispetto di fronte alla presenza della morte e risurrezione di Cristo, ma un modo di trattare con lui che distrugge la grandezza del mistero. La calante partecipazione alla celebrazione domenicale dell'Eucaristia mostra quando poco noi cristiani di oggi siamo in grado di valutare la grandezza del dono che consiste nella Sua presenza reale. L'Eucaristia è declassata a gesto cerimoniale quando si considera ovvio che le buone maniere esigano  che sia distribuita a tutti gli invitati a ragione della loro appartenenza al parentado, in occasione di feste familiari o eventi come matrimoni e funerali. L'ovvietà con la quale in alcuni luoghi i presenti, semplicemente perché tali, ricevono il Santissimo sacramento mostra come nella Comunione si veda ormai solo un gesto cerimoniale. Se riflettiamo sul da farsi, è chiaro che non abbiamo bisogno di un'altra Chiesa inventata da noi. Quel che è necessario è invece il rinnovamento della fede nella realtà di Gesù Cristo donata a noi nel Sacramento, Dio con noi".

L'esperienza soprannaturale di Dio fin da  Abramo e quindi Dio che diviene creatura egli stesso, eucaristicamente con noi ogni giorno è testimoniata da san Giovanni Maria Vianney nella sua sete di preghiera, quel "cercare Dio solo", quello stare  in incessante Sua compagnia davanti al tabernacolo per tutta la sua vita. Comprensibile quello che dicevano chi lo incontrava: "ho visto Dio in un uomo".

Un altro elemento positivo: il Congresso Eucaristico internazionale a Budapest il 12 settembre con la presenza di Papa Francesco. Così sottolinea il cardinale Erdo: "Negli ultimi anni vediamo che tra i giovani l'adorazione a Dio davanti al Santissimo sta diventando sempre più popolare".


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