Nella formazione prioritaria la coscienza ma impossibile senza il conseguente impegno culturale, sociale, politico

Dopo l’Evangelii nuntiandi sono apparsi ideologici antropocentrismi sulla sola fede o sulla sola ragione o solo sul dato positivo di scienza e tecnica

Questa mattina sono stato scombussolato leggendo il nuovo documento della Pontificia Accademia per la Vita riguardo al covid-19: non dice nulla, nella sulla vita e nulla di cattolico. Si chiede la conversione all’ambiente alla solidarietà, escludendo del tutto la dimensione religiosa. È un documento ideologico che piacerà a molti personaggi dei vertici mondiali.
Provvidenzialmente nella Messa di Martedì della XVII mi è giunta la Parola del Signore sulla preghiera in un tempo di calamità come la covid-19. Geremia afferma: “I miei occhi grondano lacrime notte e giorno, senza cessare”. Questo suo dolore non proviene solo alla sua coscienza da una prova personale, da sofferenze sue, ma dalla compassione nel coinvolgersi culturalmente, socialmente: i suoi occhi grondano lacrime “perché da grande calamità è stata colpita la figlia del mio popolo, da una ferita mortale”. La “figlia del suo popolo” è Gerusalemme; nella Bibbia spesso una città viene chiamata “figlia” di una paternità divina. Segue, nel passo che leggiamo oggi, la descrizione di una situazione veramente orrenda, provocata da una lunga siccità, accompagnata da crimini, da banditismi sociali: “Se esco in aperta campagna, ecco i trafitti di spada; se percorro la città, ecco gli orrori della fame. Anche la coscienza del profeta e del sacerdote …non sanno che cosa fare”. Che cosa fare? Compatire, anzitutto, soffrire insieme, darsi da fare, e poi soprattutto pregare. E Geremia dà l’esempio della preghiera in tempo di calamità. La sua preghiera si presenta prima come una lotta con Dio, con interrogativi pressanti: “Hai forse rigettato completamente Giuda, oppure ti sei disgustato di Sion? Perché ci hai colpito e non c’è rimedio per noi? Aspettavamo la pace, ma non c’è alcun bene, l’ora della salvezza, ed ecco il terrore!”. Dopo questa lotta con Dio, Geremia confessa i peccati del suo popolo, di cui egli si carica: “Riconosciamo, Signore, la nostra iniquità, l’iniquità dei nostri padri: abbiamo peccato contro di te”, soprattutto abbiamo pensato di poter fare a meno di te e Tu di fronte al nostro libero arbitrio non ti è consentito di intervenire, senza la preghiera non puoi fare niente.
Le calamità hanno sempre come causa, l’ingiustizia (che solo gli Stati Uniti abbiano speso in un anno 800 miliardi di dollari per gli armamenti!), la mancanza di fedeltà alla legge di Dio (non ci sono più colpe gravi per disubbidienza ai comandamenti e pesci cattivi non sono persone escluse da paradiso ma cosa cattive che il Padre ci toglie per cui l’inferno non esiste, nel commento della parabola!), il disprezzo delle altre persone. È necessario perciò riconoscere queste cause degli orrori, del corona-19 di cui si è testimoni.
In un terzo momento il profeta fa appello alla misericordia, alla generosità di Dio: “Per il tuo nome non abbandonarci, non rendere spregevole il trono della tua gloria. Ricordati di chi, convertendosi, si apre al tuo aiuto con la preghiera! Non rompere la tua alleanza, la tua storia di amore con noi”. Non è mai il caso di disperare, di avvilirsi, di utilizzare tutti mezzi e gli interventi possibili; è sempre il caso di rinnovare la fiducia nella misericordia di Dio e di pregare, di supplicare
Con questo senso di fede con Dio, è lui anche il Dio onnipotente e ricco di generosità e di pietà. Per questo motivo la preghiera del profeta unita a tutti gli interventi termina con una affermazione di fiducia: “In te abbiamo fiducia, perché tu hai fatto tutte queste cose”. Dio ha fatto tutto il creato; Dio ha anche stabilito l’alleanza, la storia di amore con l’uomo; Dio è fedele. A settembre scoppierà una nuova pandemia? Come fa la scienza a fondare le previsioni certe? Perché non affidare anche alla preghiera, alla speranza cristiana, alla fede il futuro!
Ai nostri tempi, andando a messa magari ogni giorno, abbiamo motivi di riprendere la preghiera – e prima ancora la compassione e l’attività  - di Geremia. Quando leggiamo i quotidiani, quando guardiamo il telegiornale, tante volte abbiamo ragioni di desolazione: terrorismo, violenza, guerre, persecuzioni, distruzioni di chiese, emarginazione dei credenti …Dobbiamo veramente soffrire con chi è colpito, veramente prendere la nostra parte di queste prove, farle passare nella nostra preghiera, lottare con Dio, come faceva Geremia; confessare i nostri peccati non solo personali ma nella cultura, nella società, nella politica e gridare a Dio, affermando sempre la nostra fiducia, la nostra speranza. La Chiesa ha inserito questo brano di Geremia nella preghiera di Lodi (come sarebbe efficace se oltre la messa quotidiana anche Lodi e Vesperi!) di un giorno della settimana, riprendendo quindi a Dio, per ogni tempo e per ogni generazione, la supplica accorata e fiduciosa del profeta.
Ma per il documento Vaticano, nella pandemia Dio non c’entra, come suggerisce l’articolo del 28/7/2020 di Stefano Fontana sulla Nuova Bussola Quotidiana. 
“Ahimè, la Pontificia Accademia per la Vita (Pav) ha pubblicato un altro documento sul Covid-19. Ne aveva già scritto uno il 30 gennaio 2020, ed ora ritorna sul tema con il titolo “L’Humana communitas nell’era della pandemia: riflessioni inattuali sulla rinascita della vita”. Anche questo documento – come il precedente – non dice niente: soprattutto non dice niente sulla vita, al cui ambito l’Accademia pontificia è preposta, e non dice niente di cattolico, vale a dire di ispirato alla Rivelazione di Nostro Signore.
Viene da chiedersi chi scriva materialmente questi documenti. Da come questi autori scrivono, sembrano essere anonimi funzionari di una anonima istituzione di studi sociologici. Il loro scopo è coniare frasi-slogan per fotografare inopinati processi in atto. Il lettore veda per esempio questo passaggio: “Affioriamo da una notte dalle origini misteriose: chiamati ad essere oltre ogni scelta, presto arriviamo alla presunzione e alle lamentele, rivendicando come nostro quello che ci è stato solamente concesso. Troppo tardi abbiamo imparato ad accettare l’oscurità da cui veniamo e a cui, infine, torneremo”.  Ho letto tutto il documento: garantisco che il tono è questo dall’inizio alla fine. Ci abitueremo mai ad un livello così basso dei documenti ecclesiastici?
Viene poi da chiedersi perché vengano scritti così. Questo, ad essere precisi, è il vero motivo per cui ci sottoponiamo, nonostante tutto, alla noia della loro lettura. Per cercare di capire perché una istituzione della Santa Sede debba scrivere un documento sulla pandemia con lo stesso linguaggio di un qualsiasi ufficio di una qualsiasi agenzia internazionale: le stesse frasi astruse, la stessa mancanza di principi di riferimento che non siano generici, gli stessi occhiolini fatti ai poteri forti mentre ci si vanta di difendere i deboli, le stesse proposte indecifrabili come “l’etica del rischio” o vuotamente retoriche come la “strategia globale coordinata” e la “sfida etica multidimensionale”.
In tutto il documento non si fa mai alcun riferimento né esplicito né implicito a Dio. Secondo la Pontificia Accademia la pandemia non si presta a nessuna riflessione di teologia della storia: nella pandemia Dio non si incontra. Essa non va vista come un evento naturale, ma come un fatto storico e sociale che chiama in causa le nostre responsabilità. Non essendo un fatto naturale, essa non va riferita a Dio creatore come sua causa, almeno permissiva, e quindi viene messa da parte la domanda: ma Dio perché l’ha permessa? Nella pandemia l’uomo fa esperienza della propria “fragilità”, questo il documento lo dice ma non parla mai di esperienza del proprio peccato.
Secondo l’Accademia, nella pandemia sono in gioco solo forze umane. Si chiede la conversione, ma non a Dio bensì al rispetto dell’ambiente e ad una più diffusa solidarietà. Non si chiede mai di pregare, perché Dio può agire contro la pandemia solo attraverso l’uomo. La pandemia è un prodotto umano, frutto dei disordini nei rapporti con la natura, e chiede la conversione a nuovi comportamenti umani. Dio ne rimane fuori, oppure sta dentro questa dimensione umana e coincide con essa. In ambedue i casi, questo documento è senza Dio. Ecco il perché “teologico” di documenti di questo genere: parlare di Dio vuol dire parlare dell’uomo.
Chi assume l’uomo, e non Dio, come prospettiva finisce per assimilare le ideologie più diffuse. Risulta molto difficile spiegare come il covid-19 nasca dalla “depredazione della terra”, ma il documento, in ossequio all’ideologia ambientalista, lo fa. Richiede molti sforzi dire che l’epidemia ha messo in evidenza i benefici della globalizzazione (“Il virus non conosce frontiere, ma i paesi hanno sigillato i propri confini”), ma il documento, in ossequio all’ideologia globalista e anti-sovranista, lo sostiene. Evidenziare l’importanza fondamentale di cercare un vaccino e distribuirlo a tutti senza discriminazioni richiede di non vedere che il vaccino sarà strumento di una ideologia di potere globalista e di interessi politici, economici e sanitari globali, ma l’Accademia lo fa e per ben tre volte.
Ci vuole una certa faccia tosta a non considerare il reale pericolo che la pandemia ha prodotto per la vita nascente, dato l’aumento di impegno degli Stati di garantire in ogni caso l’aborto anche a domicilio, superando le difficoltà restrittive del covid-19, ma il documento dell’Accademia per la vita non parla mai di vita nel senso in cui dovrebbe parlarne una Accademia Pontificia per la Vita, ossia in quello della Evangelium vitae. Desta molta perplessità puntare sulla Organizzazione mondiale della sanità (OMS) data la gestione politica, ideologica e spesso antiscientifica di questo organismo, ma il documento lo fa, considerandola “profondamente radicata nella sua missione di guidare il lavoro sanitario a livello mondiale”.
Non c’è dubbio: un documento che piacerà a molti personaggi dei vertici mondiali. Ma che spiacerà – ammesso che lo leggano e che lo capiscano – a quanti vorrebbero che la Pontificia Accademia per la Vita facesse la "Pontificia Accademia per la Vita”.
Dopo l’intervento di Fontana vorrei richiamare una esperienza. Con il documento post-sinodale dell’Evangelii nuntiandi nel 1975 le interminabili contrapposizioni di chi voleva una cultura solo antropocentrica o solo teocentrica si è proposta pastoralmente una cultura cristocentrica che evidentemente include anche gli elementi positivi del teocentrico e dell’antropocentrico: “Esiste una cultura cristiana…”. Con questo indirizzo il vescovo di Verona Mons. Giuseppe Carraro mi ha chiesto di fondare il Centro culturale diocesano Giuseppe Toniolo nel 1976. La maggioranza a Verona era per una cultura antropocentrica ritenendo divisivo parlare di cultura cristiana. Mi ha aiutato Mons. Giussani con il suo carisma di Comunione e liberazione per cui per la formazione della coscienza di fede non basta formare la coscienza personale senza il conseguente impegno culturale, sociale, politico.
Nel 1981 nel referendum sull’aborto di fronte a un 32% nazionale in difesa della vita, a Verona si è ottenuto il 78%. Per me, ormai in Casa di riposo, una memoria indicativa.

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