Il rischio per i sacerdoti di essere sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina.. (Ef 4,14)

Il cammino di noi sacerdoti verso “la maturità di Cristo”, verso la “misura della pienezza di Cristo” sempre sacramentalmente presente e operante con la Sua Grazia soprattutto attraverso il nostro ministero

Il 9 agosto compio 86 anni e il 25 rivivo il giorno del Battesimo. Mi trovo qui nella Casa del Clero di Negrar e con la pandemia sempre in camera con la possibilità di memorizzare tanti momenti del mio ministero. L’anno più significativo è stato il 1969. Direttore dello Studio teologico San Zeno Mons. Giuseppe Carraro ha ottenuto dal Prefetto della Congregazione dei Seminari, il Cardinal Garronne, venuto in visita a Verona, maxima cum laude per la Ratio studiorum, piano di studi alla luce del n. 19 del Decreto Presbyterorum ordinis e soprattutto n. 16 della Dichiarazione Optatam totius. Eravamo tutti, 492 chierici, professori e superiori, entusiasti. Entusiasti anche i più di cento della Scuola di teologia per laici e religiosi. Ma il Rettore Monsignor Veggio che io avevo conosciuto come Padre Spirituale e Vicerettore mi chiamò: “Don Gino – come ricordo - ti ho sempre apprezzato in Filosofia per il taglio metafisico nella conoscenza della realtà che rimanda al Creatore proprio della filosofia cristiana di fronte al taglio non metafisico nella conoscenza dell’essere, come frutto soggettivo, trascendentale del conoscere del conoscere (Cartesio, Kant e Haegel). Ma nel piano di studi Cristocentrico con i vari momenti biblico, patristico, dogmatico, liturgico, giuridico, pastorale non c’è il contenuto del trattato De Gratia cioè la presenza e l’azione sacramentale di Cristo, la metafisica della Teologia. E io ne vedo le conseguenze nel vedere raramente i chierici sostare davanti al tabernacolo”. Mi è stata come una doccia fredda e Mons. Carraro preoccupato di questa riserva. Cercherò – Mons. Carraro - di ottenere dal Prefetto della Congregazione dei Seminari un incontro con i membri della Congregazione. Mons. Veggio mi procurò i soldi per l’aereo Verona-Pisa Pisa -Roma in modo da arrivare alle 9 e rimanere fino alle 11 in Congregazione. Un incontro molto fecondo per l’azione soprattutto del Segretario della Congregazione, tedesco di cui non ricordo il nome: la regia dei vari momenti, l’insegnante di dogmatica e i contenuti del trattato De Gratia nel momento liturgico. E i professori mensilmente nelle Vicarie a spiegare il piano di studi e quindi i contenuti del Decreto nella formazione permanente del clero con queste caratteristiche:
1) Essere fondata sulla Sacra Scrittura sui Padri e sui Dottori della Chiesa;
2) Abbracciare i documenti del Magistero per dare una risposta esauriente ai problemi attuali;
3) Abbracciare lo studio di teologi validi la cui scienza è riconosciuta;
4) Abbracciare e seguire anche il rapido evolversi delle scienze umane e teologiche.  
Il 4 novembre sempre del 1969 la Congregazione per il Clero, allora presieduta dal card. Giovanni Wrigt, non teologicamente sulle posizioni di Garronne, pubblica l’istruzione Inter Ea sulla formazione permanente del clero. Questa istruzione vuole in qualche modo essere un completamento e un approfondimento di quanto richiesto dalla Presbyterorum Ordinis, ma non manca di fare dei rilievi su quello che, già a distanza di 4 anni dalla pubblicazione della stessa, sta accadendo. Mons. Carraro, custode dell’Optatam totius, condivide.
Tra le altre cose l’Inter Ea formula delle affermazioni che, all’occhio di un semplice fedele possono apparire a dir poco sconcertanti. Al n. 7. per esempio: “Ai nostri giorni [..]vengono sollevati subbi e discussioni riguardo a quasi tutte le cose, perfino circa le verità di fede; da ciò deriva che molti sacerdoti non hanno più una personale certezza circa l’autentica dottrina cattolica, fino al punto che vengono posti in dubbio o almeno in discussione persino i principi, che reggono e dirigono la vita cristiana e sacerdotale. Questo atteggiamento non favorisce per nulla quello spirito soprannaturale, che è assolutamente indispensabile alla vita e al ministero dei sacerdoti, ma li sospinge verso quella che chiamano “secolarizzazione”: e questa non solo talvolta esiste nella realtà, ma viene anche apertamente perseguita e intesa. Se infatti si perde il così detto patrimonio della dottrina cattolica, che ognuno possiede in modo certo e personale e che dirige efficacemente la propria vita e attività, vengono a mancare gli aiuti con cui si può resistere al naturalismo e al materialismo pratico, di cui è impregnata ai nostri giorni la vita sociale” (7).
E più oltre prosegue: “I giovami sacerdoti provano spesso difficoltà a conservare integralmente il deposito della fede, che Gesù ha trasmesso alla Chiesa. Molteplici sono le cause di questo fatto. In parte ciò deriva dalla crescente volontà di contraddizione, per cui non si esita a respingere anche le stesse verità tramandate della fede, soprattutto per quanto riguarda la maniera di esprimerle. Quest’inclinazione alla critica concerne anzitutto le dichiarazioni dell’autentico magistero ecclesiastico e arriva fino al punto di rimettere in discussione l’obbedienza con la fedeltà alla verità. La causa di questo turbamento degli animi è anche in parte da trovarsi nell’accresciuto peso dato alle scienze sperimentali, le cui conclusioni talvolta i teologi interpretano con modo non conforme alla fede: questa interpretazione non approvata nemmeno dagli stessi cultori di queste scienze, almeno da quelli che non sono imbevuti di qualche ideologia ostile alla religione cristiana” (8).
Per la formazione teologica, l’Istruzione dice che deve “prima di tutto proteggere pienamente e in tutte le sue parti la dottrina cattolica proposta dal magistero della Chiesa, spiegarla ed esporla con acutezza, adoperando gli aiuti e i sussidi, che le discipline dei sacri testi, i Padri della Chiesa e i “patrimoni filosofici perennemente validi” hanno apportato. Né si può omettere la dottrina cattolica sul dovere di difendere allo stesso modo l’autorità del magistero stesso della Chiesa. Bisogna presentare tutto ciò tenendo presenti le difficoltà, che sorgono circa la sacra dottrina a causa delle problematiche accanicamente oggi sollevate e alle quali bisogna dare una risposta veramente cristiana” (n.10).
Per risolvere questi problemi, la Congregazione impegna tantissimo i Vescovi, ai quali viene, giustamente, demandato l’onere di scegliere i professori che per curare la formazione permanente del clero.
E qui venivo coinvolto in un criterio di scelta per “la sana mentalità ecclesiastica. Il sentire con la Chiesa, che bisogna senza posa fomentare, richiede infatti un teologo fedele alla Chiesa. In genere infatti per favorire la vita sacerdotale e la sua forza persuasiva, bisogna realizzare una stretta connessione tra la scienza teologica e la spiritualità propria dei sacerdoti. E così possono essere ritenuti maestri adatti a questo scopo coloro che risolvono le questioni loro proposte, non coloro che suscitano e aumentano dubbi. Non possono essere motivi per la loro scelta né la celebrità della quale pubblicamente godono, né la ricerca della novità nel proporre e spiegare le problematiche, o un modo di presentarle che risulti attraente ma che non istruisca o persuada. L’abitudine di impugnare le tradizioni, le istituzioni e l’autorità della Chiesa, non rende alcuno idoneo ad adempiere quest’ufficio” (n. 12).
È stato questo con il Consiglio di Presidenza uno dei problemi che più ha influenzato la formazione permanente del clero. Il fatto cioè di privilegiare, per questa formazione, non sempre, ma spesso, non il teologo che sente con la Chiesa, ma quello di grido, allora del dossetismo con il boomerang di un clero che affettivamente si allontana sempre più dalla Tradizione della Chiesa.
Questo tipo di atteggiamento, è da imputarsi alla Presbyterorum ordinis? Qui a Verona no da quello che ricordo. Ma nell’accogliere o rifiutare il completamento e l’approfondimento dell’Inter Ea cui Mons. Carraro teneva molto, ma a livello di professori e superiori non aveva lo stesso valore conciliare.
Tuttavia oggi mi rendo conto dove stava il problema teologico ed ermeneutico del Concilio che Papa Benedetto ha espresso il 22 dicembre del 2005 con i termini di “ermeneutica della rottura” portata avanti dalla scuola di Bologna anziché quella della “riforma nella continuità” cui tanto ci teneva Mons. Carraro.
E a Verona scoppiò il caso nel 1971 in preparazione del Sinodo anche sul ministero sacerdotale. Circa il celibato una sola vicaria presentò il dubbio. Ma il problema era sulla natura della consacrazione sacerdotale: investiva l’essere della persona, il carattere, o era solo la grazia nella funzione ministeriale per cui chi veniva dimesso non manteneva nulla dell’ordinazione sacerdotale? Il Consiglio di Presidenza in vista dell’Assemblea dello Studio teologico a San Fidenzio aveva previsto due incontri: il primo per un panorama di tutte le posizioni nuove e un secondo per una risposta adeguata. Mi è stato chiesto chi avrebbe potuto tenere il primo incontro e io ho proposto il mio insegnate di sacramentaria a Venegono. Andai a Como a prenderlo e strada facendo mi aveva letto tutto l’intervento seguito in modo veramente forte con il battimani che Mons. Carraro interruppe: “Sapevi quello che avrebbe detto?”. “Sì, Eccellenza, come glielo abbiamo chiesto”. Viene interrotto l’incontro per una concelebrazione senza omelia. Incaricai Mons. Pavanello di telefonare se dovevamo interrompere: “Dì a don Gino di continuare che questa sera interrompo io”. Alla sera andai per portare anche la cartella chiedendo al segretario Mons. Fiorio di poter parlare se era il caso di interrompere la scuola: “Non la scuola, ma domani apparirà sul Verona Fedele l’interruzione del Direttore”. Alle dieci di sera mi telefona Mons. Rodella dicendomi di una telefonata con Il Vescovo preoccupatissimo nel cogliere il modo favorevole alla prospettiva di una grazia per la funzione e non più il carattere e quindi le dimissioni di don Gino. Io l’ho dissuaso e di attendere. Dopo un mese di silenzio mi chiede di programmare un’assemblea dove Lui avrebbe parlato. Una relazione splendida che fu inviata a Papa Paolo VI. Al termine: “Don Gino ti chiedo pubblicamente scusa, ma grande è stata la sofferenza anche se tu non ne avevi colpa”.
Nel 1972, dopo un incontro dei biblisti a Roma, mi fu imposto di togliere la regia del dogmatico e la morale solo sul dato biblico, in conformità alla Dei Verbum. In quell’anno al Convegno liturgico, dopo due giorni mi è venuta una emorragia renale con tre mesi di insonnia. Fisicamente in condizioni pessime ma anche spiritualmente andai in casa di cura dai Benefratelli a Milano e migliorando ho fatto filosofia alla Cattolica con la Vanni Rovighi. Nel 1974, al Sinodo sull’Evangelizzazione nel mondo contemporaneo Mons. Carraro mi volle a Roma aiutante. Relatore iniziale e conclusivo il Cardinal Wojtyla che incontrai con la Wanda Poltascha: un’amicizia che mi è stata molto feconda. Ricordo il clima di quel Sinodo dove c’erano vescovi polemici per l’Humanae vitae e con la scelta di una esortazione sinodale e non post-sinodale. Il 28 ottobre con Padre Grasso rimasero in piedi fino alle 5 del mattino, concludendo di portare il materiale al papa per una esortazione post-sinodale. Paolo VI ne sofferse e chiese a Mons. Carraro chi lo potrebbe aiutare. Mons. Carraro suggerì Wojtyla che però non poteva garantire di poter dopo tre mesi ritornare dalla Polonia. “Se avessi i mezzi per rimanere a Roma una settimana – disse a Mons. Carraro – gliela butterei giù”. Fu ospitato dalle orsoline, con una suora che conosceva bene la lingua polacca. Ne uscì l’Evangelii nuntiandi che di fronte alla dialettica interminabile di partire dall’uomo e partire da Dio, nei primi cinque numeri propone di partire da Cristo, che mi rivela sia chi è Dio e sia chi è l’uomo. L’enciclica, completata, uscì l’8 dicembre del 1975 a dieci anni dalla conclusione del Concilio. Wojtyla dettò nel 1976 gli esercizi al papa con il tema “Segno di contraddizione”.
Nel 1976 mons. Carraro mi chiese di avviare a Verona un centro culturale diocesano con il presupposto, molto contestato “Esiste una cultura cristiana…”. Nel 1978 il cardinal Wojtyla doveva venire al conclave e noi per il venerdì prima lo invitammo al Centro Giuseppe Toniolo. Se nonché ci fu uno sciopero e mons. Carraro gli domandò se poteva venire dopo il conclave: “Volentieri – rispose Wojtyla – portando come anche l’altro cardinale polacco che non ha mai visto Venezia”. Ma le cose sono andate diversamente.
Ricordando l’esperienza dei nove anni al Toniolo e quando i preti della vicaria si riunivano mensilmente per risolvere i Casi di morale m’è venuta una idea: perché non farlo per non essere sballottati da queste onde – gettati da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo a un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore (Ef 4,14). Avere una fede chiara, secondo il credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi moderni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.
Chiedo scusa di inesattezze e omissioni ma godo di poter parlare  scrivendo e memorizzando.

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