Omelie per la messa vespertia e del giorno di San Pietro

Dai brani del Vangelo per san Pietro della messa vespertina (Gv 21,15-19) e del giorno (Mt 16,13-19)


Il brano del Vangelo della messa vespertina della vigilia è particolarmente bello e commovente, perché viene dopo la risurrezione di Gesù, quindi dopo la passione di Gesù e il rinnegamento di Pietro.

Pietro, che era stato designato come il primo degli apostoli, non aveva voluto ascoltare Gesù. Si era ostinato nel proclamare la sua volontà di seguirlo, quando Gesù gli aveva detto: "Dove io vado, per ora tu non puoi seguirmi" (Gv 13,36), e il risultato di questo atteggiamento era stato il suo triplice rinnegamento (Gv 18,12-27).

Dopo la risurrezione, Gesù appare ai discepoli vicino al lago di Genezaret e, al termine del pasto offerto ai discepoli, si rivolge a Pietro, facendogli tre domande di fronte a tutti:" Simone di Giovanni, mi ami (agapao) tu?".

 Gesù non fa nessun accenno esplicito al rinnegamento di Pietro, ma dà l'occasione di riparare il suo triplice rinnegamento con una triplice affermazione di amore.

Notiamo come Gesù cominci con una domanda che costituisce per Pietro una prova, una tentazione: "Simone di Giovanni, mi ami (agapao) tu mi di costoro?". Prima della passione, Pietro aveva preteso di amare Gesù più egli altri apostoli e aveva detto: "Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai" (Mt 26,33).

Ora Pietro, illuminato dalla sua caduta, è diventato umile, non pretendere di amare Gesù (agapao) più degli altri. E non vuole nemmeno affermare che egli ama Gesù, ma dà una risposta indiretta: "Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene (fileo)".Qui Pietro si affida, umilmente, ma anche sinceramente, alla conoscenza che Gesù ha di lui. Gesù allora gli dice: "Pasci i miei agnelli".

La seconda volta Gesù pone di nuovo la domanda a Pietro senza "più degli altri" e questi risponde allo stesso modo non ti amo ma ti voglio bene.

La terza volta è Gesù che si accontenta con "mi vuoi bene?" Pietro rimane addolorato perché Gesù gli abbia rivolto ancora, tenendo conto di come Pietro gli aveva risposto, questa domanda come se volesse mettere in dubbio il suo amore, e risponde "Signore, tu sai tutto: tu sai che ti voglio bene".

Così Pietro ha potuto riparare il suo triplice rinnegamento. In questo brano possiamo notare la delicatezza dell'amore di Gesù, che è veramente commovente. Ma quello che è avvenuto con Pietro rivela quello che avviene con tutti noi.

D'altra parte, Gesù affida a Pietro di nuovo una missione speciale: quella di essere il pastore dei suoi agnelli, delle sue pecorelle fino ad oggi, al 266° dei suoi successori come vicari di Cristo poiché è sempre Lui vivo che conduce attraverso chi è suo vicario per tutta la Chiesa. Nonostante il rinnegamento, Gesù affida a Pietro e ai suoi successori una missione per tutta la Chiesa. E per tutti i credenti l'impegno di congiungere in rapporto a Cristo obbedienza attraverso il successore di Pietro e fedeltà a Lui, alla Chiesa, non sempre facile ma sempre impegnativa.

Questa missione è basata sulla relazione con Gesù, sull'amore per lui e i suoi successori: se Pietro vuol bene a Gesù, avrà cura degli agnelli e delle pecorelle con grande sollecitudine, non cercherà il proprio interesse particolare, né il denaro, né il potere, ma cercherà soltanto il servizio gratuito degli altri. In effetti, nella sua Prima lettera Pietro raccomanda ai pastori della Chiesa di non cercare le proprie idee, il proprio interesse, la ricchezza, il potere, rischi sempre in agguato per il libero-arbitrio che dà la possibilità di amare con il rischio, quindi di servire sempre il gregge loro affidato dal Signore (1 Pt 5,1-4).

Così Pietro viene riconfermato nella sua posizione di primo degli apostoli in comunione con loro. Gesù gli aveva detto: "Tu sei Pietro e su questa roccia edificherò la mia Chiesa" (Mt 1,18). Ora, nonostante il suo rinnegamento, Gesù gli riconferma questa missione universale di infallibilità, non di impeccabilità dato sempre il libero-arbitrio.

La prima lettura ci fa vedere come poi Pietro sia rimasto unito alla presenza del Risorto nella memoria umana di Gesù con umiltà e generosità. È l'episodio della guarigione miracolosa di un uomo storpio sin dalla nascita, che veniva portato alla porta del tempio detta "Bella", per chiedere l'elemosina.

Questo storpio chiede l'elemosina a Pietro, che è accompagnato da Giovanni, e lui gli dice: "Guarda verso di noi"; e poi "Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo cioè di quel Gesù il Nazareno che è risorto e quindi qui presente attraverso di me, cammina!". Pietro qui dimostra umiltà, perché non pretende di guarire da sé lo storpio, ma è nel nome di Gesù Cristo come suo vicario che compie questo miracolo.

D'altra parte, Pietro qui dimostra generosità, perché prende egli stesso questa iniziativa, sull'esempio di Gesù. Il Signore aveva guarito un paralitico, dicendo: "Alzati, prendi il tuo lettuccio e va a casa tua" (Lc 5,24). Pietro dà allo storpio lo stesso comando:" Cammina!", e poi lo aiuta a risollevarsi; e lo storpio, balzato in piedi, cammina, anzi salta e loda Dio.

La missione di Pietro e dei suoi 66 oggi è la continuazione di quella di Gesù per il bene e la conversione delle persone. Infatti la loro attività anche non miracolosa, nell'intenzione divina, ha lo scopo di suscitare continue conversioni a Cristo.

Il brano del Vangelo nel giorno della solennità è molto importante e fa da perno a tutto il racconto dei Sinottici cioè Marco, Luca, Matteo. La prima parte del Vangelo, infatti, è un cammino verso questo episodio: Gesù rivela sé stesso con il suo insegnamento, con i suoi miracoli, con la sua misericordia. Dopo questo episodio, egli comincerà a parlare della sua passione e salirà verso Gerusalemme.

Dopo che Gesù ha compiuto tanti miracoli, la gente parla molto di lui. Egli allora rivolge questa domanda ai discepoli: "La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?". L'espressione "Figlio dell'uomo", già previsto da Daniele, viene usata da Gesù per indicare sé stesso come Messia.

I discepoli capiscono subito, e rispondono: alcuni pensano che il Figlio dell'uomo sia Giovanni il battista ritornato in vita; altri Elia, un profeta prodigioso vissuto molti secoli prima, che sarebbe tornato a vivere e a predicare; altri Geremia, un profeta del tempo della catastrofe nazionale; altri infine qualcuno dei profeti.

Sono tutte ipotesi che mettono in rilievo l'importanza di Gesù, ma che non hanno un vero fondamento, soprattutto non giungono a cogliere chi Egli veramente è. Gesù infatti non è né Giovanni Battista, né Elia, né Geremia, né uno dei profeti antichi pur atteso da loro.

Allora Gesù domanda ai discepoli, testimoni più intimi del suo essere ed operare: "Voi chi dite che io sia?". Simon Pietro ha, dallo Spirito Santo, l'ispirazione di rispondere subito: "Tu sei il Cristo, il Messia, il Figlio del Dio vivente". Questa è un'identificazione precisa, completa di Gesù. Egli non è soltanto un profeta, sia pure il più grande di essi, ma è il Messia, il re inviato da Dio per portare la salvezza in Israele e diventare come Dio in un volto umano la luce divina delle nazioni, la salvezza per tutti e per tutto.

La risposta di Pietro comprende soprattutto una precisazione: "Figlio del Dio vivente". Nell'oracolo meraviglioso di Natan, in cui si riconosceva un annuncio del Messia, si diceva che per il messia Dio sarebbe stato un padre, e che il Messia sarebbe stato per Dio un figlio. Quindi, questa affermazione di Pietro corrisponde alla Sacra Scrittura.

D'altra parte Gesù si era già manifestato Figlio di Dio in tanti modi: con la sua preghiera nella notte, con il suo insegnamento, con la sua misericordia. E Pietro lo proclama non soltanto Messia, ma anche Figlio del Dio vivente, illuminato nella sua sequela.

Gesù allora fa prendere coscienza a Pietro di essere stato ispirato da Dio. La sua risposta, la prima nella storia, pur aiutata dalla Scrittura, non è stata soltanto una risposta umana, una conclusione tratta a partire dai fatti, bensì un'ispirazione divina, che è andata nel profondo della realtà. Gesù gli dice: "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue [cioè, nessun uomo, e nemmeno la tua natura umana] te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli". Questa rivelazione, centro della storia, viene dal Padre celeste.

Noi dobbiamo essere consapevoli che la nostra fede, la nostra speranza, il nostro amore sono un dono di Dio. Una conclusione logica, umana, non può produrre la verità, la realtà della fede. La fede è qualcosa di più profondo e di più alto. È un dono di Dio, perché si tratta di riconoscere il Figlio di Dio sotto l'apparenza, il segno visibile di un vero uomo che sembra simile agli altri in tutto, tranne che nel peccato.

Gesù poi dice a Pietro. "E io ti dico. Tu sei Pietro e su questa pietra io edificherò sempre la mia Chiesa". Dal fatto che il Padre, attraverso lo Spirito, ha rivelato a Pietro la messianicità e la figliolanza divina di Gesù trae la conclusione che Pietro è stato scelto da Dio con i suoi successori per essere la pietra, la roccia fondamentale della Chiesa edificata continuamente da Cristo, dal Risorto.

In aramaico Gesù ha usato il termine Kefà, che significa "roccia". Ha detto: "Tu sei roccia, e su questa roccia edificherò la mia Chiesa". La Chiesa, pur con vicari con il rischio del libero-arbitrio, non è edificata sulla sabbia, ma sulla roccia, ossia su Pietro, trasformato in roccia dalla rivelazione divina e dalla sua fede in tale rivelazione. Quando non agisse con fede non è roccia.

Gesù poi aggiunge: "A te darò le chiavi del regno dei cieli (cioè il munus petrino), e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli". Nessun altro uomo ha ricevuto una missione e un potere simili. Pertanto Pietro è l'apostolo che ha la precedenza su tutti gli altri e ha autorità, per il servizio della Chiesa e di Dio. Egli riceve da Gesù questa missione veramente straordinaria.

Possiamo ammirare la generosità divina: la generosità di Cristo, che affida a Pietro e ai suoi 266 successori fino ad oggi, una missione e un potere così importanti anche in uomini fragili, peccabili.

La missione di Pietro si doveva compiere attraverso molte difficoltà e ostacoli, come ogni sequela di Cristo crocefisso. La prima lettura ci riferisce le circostanze molto preoccupanti nelle quali sembra che Pietro debba essere condannato a morte e giustiziato. Il re Erode decide di arrestarlo, per fare una cosa gradita ai giudei, diventati ostili alla comunità cristiana. È una situazione angosciosa. Pietro non è più in grado di dirigere la Chiesa, e la sua missione sembra destinata al fallimento.

Ma la Provvidenza veglia. Anche la Chiesa veglia, perché Luca ci riferisce che "una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui". La Chiesa capisce che Pietro le è necessario per seguire Cristo, che la missione affidata a lui da Gesù non è finita, ma deve continuare. Da qui la preghiera incessante per permettere a Dio di intervenire.

La provvidenza veglia e opera questa liberazione meravigliosa, che Luca racconta in modo molto interessante e appassionato. Mentre Pietro, piantonato da due soldati e legato con due catene, sta dormendo, una luce sfolgora nella cella. Un angelo gli tocca il fianco e gli dice: "Alzati, in fretta!".

Poi tutte le cose si realizzano con una facilità veramente sorprendente e miracolosa: le catene cadono dalle mani di Pietro, le porte si aprono al suo passaggio…Pietro allora si rende conto che non si tratta di un sogno, che egli è uscito veramente dalla prigione, ed è libero per continuare la sua missione fino a Roma. Dice: "Ora sono veramente certo che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che si attendeva il popolo dei giudei contrari a Cristo".

Pietro, liberato, può continuare la sua missione, e la porterà a termine a Roma dove alcuni anni dopo fu di nuovo incarcerato. La Chiesa di Roma come quella a Gerusalemme certamente pregò, ma egli non fu liberato, fu ucciso martire, testimone.

Questa differenza tra Gerusalemme e Roma solleva molte questioni: Perché Dio è intervenuto la prima volta e non la seconda? A che scopo liberare Pietro dalla morte, se alla fine doveva essere giustiziato lo stesso?

Il contrasto fra la liberazione a Gerusalemme per dargli la possibilità di giungere a Roma e il martirio a Roma è più apparente che reale. Il martirio non fu per Pietro una disfatta; a Roma doveva giungere da Gerusalemme e il Signore non abbandonò Pietro. Anzi, il martirio fu anch'esso una liberazione, una vittoria del Signore e di Pietro. Nel suo amore per la Chiesa e per Pietro, il Signore chiamò Pietro a confermare la fede nella sede dei suoi successori non più soltanto a parole, ma con la testimonianza del sangue e gli diede la forza d'animo necessaria per questa difficile e magnifica missione. 

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