I funerali di Elisabetta II e l'incoronazione di Carlo III. Bagliori di sacralità nell'età della secolarizzazione

Roberto de Mattei, in "Corrispondenza Romana" – 14 settembre 2022

Lo spazio che hanno dato i giornali a questa notizia riflette l'interesse dell'opinione pubblica di tutto il mondo per la figura della Regina scomparsa e per ciò che ella ha rappresentato in 70 anni di regno. Quali sono le cause di questo consenso popolare e in che misura può essere condiviso? Per poter formulare un giudizio di insieme, occorre distinguere alcuni aspetti, diversi tra loro, anche se naturalmente connessi.

 

Il primo aspetto riguarda Elisabetta II come donna e come Regina. E' l'aspetto che ha più colpito l'opinione pubblica. Elisabetta, nella sua lunga vita, ha rappresentato un modello di femminilità, per la grazia, la discrezione, la cura verso la sua famiglia, da cui ha avuto più problemi che soddisfazioni. Inoltre, in un'epoca in cui la classe politica occidentale ha perso ogni credibilità, per la corruzione e l'arrivismo di cui ha dato prova, Elisabetta ha mostrato che cosa significa essere una Regina, anteponendo gli interessi della propria nazione a quelli personali. Ciò è dovuto non solo al suo carattere, ma alla forza della sua educazione, perché Re si nasce, non si diventa, grazie alla legge indistruttibile dell'ereditarietà. Ha impersonato dunque la distinzione e l'eleganza dei modi, ma soprattutto la dignità e il senso del dovere di una Regina. «Dichiaro davanti a tutti voi che tutta la mia vita, lunga o breve che sia, sarà dedicata al vostro servizio e al servizio della nostra grande famiglia imperiale alla quale apparteniamo tutti», disse ai suoi futuri sudditi durante un discorso radiofonico tenuto per il suo 21esimo compleanno, nell'aprile del 1947. Ha mantenuto questa promessa. Forse è esagerato dire che ha "salvato" la monarchia inglese, ma certamente l'ha sostenuta. Un tempo la debolezza degli uomini si appoggiava sulla forza delle istituzioni, familiari e politiche. Oggi, al contrario, è necessario un vero eroismo degli uomini e delle donne per portare sulle proprie spalle il peso delle istituzioni. Senza spirito di sacrificio, non si sorregge né una famiglia, né una dinastia. E nell'epoca postmoderna la figura di Elisabetta Windsor si staglia come quella di una donna che ha improntato la sua vita e il suo regno al sacrificio e alla dedizione al bene comune del suo paese, alimentando così l'attaccamento del suo popolo alla Monarchia.

 

Non va dimenticato che quindici anni prima della sua ascesa al trono, la Monarchia inglese era stata scossa dal caso del re Edoardo VIII, il duca di Windsor, che aveva abbandonato la missione storica a lui abbandonata, deponendo la corona per inseguire la favola di un amore piccolo-borghese con la spregiudicata Wallis Simpson, divorziata e addirittura non battezzata. Nel 1936, il primate di Canterbury, Cosmo Gordon Lang, era stato il più duro oppositore alle nozze di Edoardo, in nome del principio, condiviso dalla Famiglia Reale, secondo cui il matrimonio poteva essere sciolto solamente dalla morte. I suoi successori a Canterbury, soprattutto da Michel Ramsay e Robert Runcie fino all'attuale primate Justin Welby, hanno accettato non solo il divorzio, ma le "nozze gay" e l'ordinazione sacerdotale delle donne e degli omosessuali, riducendo al lumicino la chiesa anglicana, come il settimanale britannico The Spectator ha registrato in numerosi articoli. Elisabetta è stata formalmente il capo della chiesa anglicana, di cui ha dovuto seguire riluttante il processo di decadenza, ma è alle autorità ecclesiastiche e politiche del suo paese, non a lei, che bisogna rimproverare il processo di decadenza culturale e morale del Regno Unito.

 

Veniamo qui al secondo punto. Non bisogna confondere la Regina Elisabetta con l'Inghilterra e la sua storia. L'Inghilterra, come tutte le nazioni europee, aveva una grande vocazione, a cui ha voltato le spalle nel XVI secolo con l'apostasia di Enrico VIII. Da allora, ma soprattutto tra il XVIII e il XIX secolo, l'Inghilterra si è messa alla testa del processo rivoluzionario che ha aggredito l'ordine sociale cristiano, L'Inghilterra perseguitò i cattolici, fu la patria della Massoneria e finanziò il nostro "Risorgimento". Il nuovo Stato unitario italiano, tra il 1861 e la Prima Guerra mondiale, guardò all'Inghilterra come un modello politico, capace di conciliare gli interessi della Monarchia con quelli della Rivoluzione liberale. Nel 1967 l'Inghilterra è stata, dopo la Russia, il primo paese ad introdurre l'aborto nelle sue leggi (oggi possibile anche attraverso l'invio per posta della pillola abortiva) e negli ultimi venti anni si è messa alla testa della diffusione della cultura edonistica e relativistica della morte, seppure con l'opposizione di forti movimenti pro-life.

 

Il popolo inglese ha mantenuto tuttavia, a differenza di altri popoli europei, certe qualità antiche, quali il coraggio, la determinazione, la tenacia, e anche la consapevolezza della propria identità e delle proprie tradizioni: una coscienza nazionale tanto più forte quanto l'Impero, divenuto Commonwealth delle nazioni, ha iniziato a disgregarsi.

 

E veniamo qui al terzo punto. Nelle tenebre del disfacimento morale del Regno Unito, una luce ancora brilla: è il riflesso lontano dell'Inghilterra che fu, l'Inghilterra cattolica, che ha tramandato nei secoli le antiche cerimonie medioevali che regolano la morte e l'incoronazione di un Re. Queste cerimonie erano comuni a tutti i regni cattolici, prima della Rivoluzione francese. Lo storico Marc Bloch, ha ricordato che, in Gran Bretagna, esse risalgono a Egbert, unto nel Concilio di Chelsea del 787, in presenza dei legati pontifici (Les Rois thaumaturges, Librairie Istra, Strasbourg-Paris 1924, pp. 464-467) e un altro storico, Percy Ernst Schramm, ha descritto la cerimonia dell'incoronazione dagli albori del Medioevo ai nostri giorni, secondo un rituale descritto da san Dunstan per l'incoronazione di re Edhar nel 973 (A History of the English Coronation, Clarendon Press, Oxford 1937).

 

La regina Elisabetta venne incoronata il 2 giugno 1953, pur essendo ascesa al trono il 6 febbraio 1952. I preparativi durarono cinque mesi. Non meno accurata sarà ora la preparazione dell'incoronazione del suo successore. Il Duca di Norfolk, primo Duca del Regno e Maresciallo ereditario d'Inghilterra, discendente da una famiglia sempre legata alla fede cattolica, ha il compito di organizzare i funerali di Elisabetta e l'incoronazione di Carlo III. Gli elementi essenziali dell'incoronazione non sono mutati nel corso dei secoli. Il sovrano viene unto con gli oli santi, investito dei simboli della sovranità e incoronato prima di ricevere l'omaggio feudale davanti ai circa mille pari del regno, con i loro mantelli di velluto ed ermellino. Tutto ciò ci riporta agli splendori del Medioevo, quando le vesti dai colori sfavillanti, il suono delle e trombe e dei tamburi, le acclamazioni e le proclamazioni, i cortei a piedi e a cavallo, facevano parte dello stile di vita della società.

 

Il prof. Plinio Corrêa de Oliveira salutò l'incoronazione della Regina Elisabetta, scrivendo che l'uomo contemporaneo, ferito e maltrattato nella sua natura da un tenore di vita costruito su astrazioni, chimere, teorie vane, si mostrava affascinato verso il miraggio di un passato aristocratico e anti-ugualitario così diverso dal terribile giorno d'oggi,  «non tanto per nostalgia del passato, quanto di certi princìpi dell'ordine naturale che il passato rispettava, e che il presente viola in ogni momento» (Catolicismo, 31 giugno 1953).

 

Con lo stesso apprezzamento saluteremo l'incoronazione di Carlo III, non per stima verso il nuovo sovrano, né per la storia inglese degli ultimi secoli, ma per ammirazione verso un cerimoniale antico che riflette la bellezza della Chiesa cattolica.

 

Mentre con papa Francesco il processo di secolarizzazione della Chiesa raggiunge il suo culmine, nei funerali della Regina Elisabetta e nell'incoronazione del suo successore, sopravvivono bagliori di sacralità, che proprio nella Chiesa cattolica hanno la loro fonte primigenia. E' l'amore per la Chiesa che ci spinge in ultima analisi a stimolare il nostro senso del meraviglioso, nel momento in cui un sovrano muore e a un altro ascende al trono regale.

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