Giuseppe Zenti, alla scoperta della Città di Dio

Mons. Giuseppe Zenti: "Nella Città di Dio, Agostino ha concentrato sostanzialmente il suo sapere. Le altre numerosissime opere ne anticipano o ne confermano i contenuti, magari approfondendoli" (Giuseppe Zenti, "ALLA SCOPERTA DELLA CITTA' DI Dio di Agostino", Marcianum Press, p.374)


Mons. Giuseppe Zenti, Vescovo di Verona, presso Marcianum Press ha parecchie pubblicazioni: La libertà del credente (2013), Cercate il suo volto (2014), il Travaglio della verità in Agostino (2016), La comunione ecclesiale in Agostino (2016), Agostino, un amico affidabile (2017), Alla scoperta delle Confessioni di Agostino (2020). Con Alla scoperta della Città di Dio di Agostino (2021) ha concentrato sostanzialmente il suo sapere e mons. Zenti così lo descrive: "Con la consegna all'umanità del suo capolavoro, la Città di Dio, Agostino le ha fatto il regalo di essere interprete autorevole dell'uomo, dei suoi interrogativi esistenziali, dei suoi dubbi tormentosi, dei suoi travagli. Per così dire, ha messo a disposizione dell'umanità, nei riguardi della quale mostra un amore smisurato e incondizionato, l'acutezza della sua mente geniale e il bagaglio della sua sensibilità valoriale, offrendo sé stesso come uno specchio, in cui essa può riflettersi. Forse non è azzardato affermare che, con la Città di Dio, Agostino ha scritto le Confessioni dell'umanità intera, nel travaglio della storia della sua civiltà".

Io, don Gino Oliosi, mi trovo a 87 anni qui alla Casa del Clero di Negrar, e ho potuto leggermela e gustarmela rivivendo gli anni di Direttore dello Studio Teologico san Zeno dove Zenti ha vissuto per cinque anni da chierico studente. Apparteneva alla classe più numerosa. Sono stati ordinati nel 1971 29. E nella lettura mi hanno colpito soprattutto due punti: Liturgia e non uscire fuori, rientra in te stesso: la verità dimora nell'uomo interiore.

Per tutta la mia vita, per il mio insegnamento, per il ministero pastorale in più parrocchie, per l'ultimo servizio come esorcista, ruolo a dir poco fondamentale perché la Parola di Dio non finisca in gnosi è stata la Liturgia. Nella sua straordinaria enciclica liturgica Mediator Dei, papa Pio XII ha scritto che il dovere fondamentale dell'uomo è di orientarsi in privato e in pubblico verso Dio. Sant'Agostino, a conclusione dei suoi sermoni liturgici, soleva dire ai fedeli: conversi ad Dominum cioè "rivolti al Signore". Il grande vescovo di Ippona, appressandosi a terminare la Liturgia della Parola con la conclusione dell'omelia, si approntava a salire all'altare del Sacrificio senza del quale il rischio di cadere nella gnosi da lui combattuta. E perciò diceva: "E ora, rivolgiamoci al Signore!". Questo rivolgersi all'attualizzazione sacramentale del Sacrificio della Croce, alla presenza di Cristo, era indicato con il verbo latino convertere. Il verbo indica esattamente il voltarsi, inteso fisicamente "girarsi". Naturalmente, si include anche il senso figurato "cambiare vita". Perciò conversi ad Dominum non significa mai solo una casa, ma implica sempre due spetti. Bisogna girarsi fisicamente verso la presenza sacramentale del Signore per celebrare il divino sacrificio della Messa; e bisogna anche voltarsi figurativamente, cioè bisogna lasciarsi convertire sempre più dalla presenza sacramentale di Cristo. Tra questi due aspetti della stessa parola sono stati spesso contrapposti nella mentalità recente, mentre invece dovrebbero andare sempre insieme, essendo inseparabili secondo il pensiero della Chiesa. Lo stesso Agostino, in uno dei suoi sermoni, dice che non basta girarsi solo fisicamente verso la presenza Sacramentale del Signore, perché questo tutto sommato è facile.  Bisogna voltarsi sia fisicamente, impossibile alla televisione, sia spiritualmente. Attenzione. Sant'Agostino non dice: "È inutile voltarsi fisicamente; giratevi solo interiormente", No! Egli non oppone gli aspetti e dice: "Fate entrambe le cose!". È oggi una lezione di grande attualità anche pastorale.

L'altro punto collegato è spesso l'eccessivo spazio all'omelia pensando di incontrare il divino scendendo solo nel profondo della propria interiorità. È vero che Sant'Agostino sembra dire cose simili a questa, per esempio nella sua celebre espressione noli foras ire, in te ipsum redi: in interiore homine habitat veritas (non uscire fuori, rientra in te stesso: la verità dimora nell'uomo interiore). Questa frase, però non va fraintesa. Per intenderla correttamente, essa va inserita nell'insieme del pensiero agostiniano. E non a caso la troviamo nell'opera De vera religione (39,72). Per sant'Agostino è chiarissimo che solo il Cristianesimo è la vera religione e che noi abbiamo ricevuto e riceviamo la vera religione da Dio. Per Agostino è evidente che il cristianesimo non è il frutto gnostico delle nostre riflessioni umane. Infatti, egli per tanti anni aveva inseguito le filosofie, ma trovò la pace del cuore inquieto solo nella nostra religione sacramentale data "dall'alto". Quando il Dottore africano dice che non dobbiamo cercare al di fuori bensì al di dentro di noi, egli sta solo dicendo che Dio si fa conoscere, ancor più che nelle creature esterne, nella nostra anima. È un metodo spirituale che chiaramente risente di una visione platonica. In nessun modo, però, Agostino – mi sono rifatto anche al cardinale Robert Sarah nel A servizio della verità p.102 – suggerisce che troviamo il Cristianesimo con tecniche di concentrazione. Dice solo che Dio si trova nella profondità del cuore, là dove non solo vediamo con l'intelligenza ma sentiamo il gusto della verità.



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