Amoris laetitia. Accompagnare discernere integrare

Pubblichiamo di seguito un ampio stralcio dell’articolo pubblicato sul settimanale Tempi da monsignor Livio Melina, preside emerito del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia. Si tratta di una recensione al libro dei professori José Granados, Stephan Kampowski e Juan José Perez Soba, intitolato “Amoris laetitia. Accompagnare discernere integrare” (Ed. Cantagalli).
di Mons. Livio Melina
(…) L’integrazione [di quelle persone che vivono segnate da un amore smarrito (AL n° 291)] dovrà mirare ad una rigenerazione delle persone, perché, come nel caso dei divorziati entrati in nuove unioni, si ristabilisca una condotta
di vita in armonia col vincolo indissolubile del matrimonio validamente celebrato. Per questo non si dovrà mai parlare di «situazioni irreversibili».
Coscienza e fedeltà
Contro l’idea individualistica e spiritualistica di una “chiesa invisibile” in cui tutto è risolto nel foro insindacabile della coscienza privata, gli autori richiamano i criteri oggettivi di appartenenza al Corpo di Cristo: la confessione pubblica della stessa fede, la comunione visibile con la Chiesa, la condotta di vita in armonia con i sacramenti. In tal senso ciò che nei divorziati entrati in una seconda unione si oppone alla piena integrazione, anche eucaristica, non è tanto il “fallimento” del matrimonio validamente celebrato, quanto la seconda unione stabilita in contraddizione col vincolo sacramentale indissolubile.
Per questo la bella formula impiegata da papa Francesco di «discernere il corpo» (AL 185, che cita I Cor 11,29) rimanda non ad un esame puramente interiore della propria coscienza, ma al modo concreto di vivere le relazioni e in particolare la fedeltà al vincolo coniugale.
Così le indicazioni pastorali dell’esortazione post-sinodale invitano a riscoprire il sacramento della Penitenza come un vero itinerario sacramentale, che si svolge nel tempo, che accetta e valorizza i piccoli passi, che invita a ritrovare l’unità narrativa di una storia frantumata unendola alla storia di Gesù, il Testimone fedele, in cui fu solo il “sì” alle promesse. Proprio per questo il proposito serio di uscire dalla situazione obiettivamente contraddittoria con il vincolo coniugale validamente contratto è condizione necessaria per la validità dell’assoluzione sacramentale.
Il foro sacramentale infatti non può essere la semplice legittimazione della coscienza individuale, magari erronea, ma aiuto alla conversione per una autentica integrazione al Corpo visibile della Chiesa, secondo le esigenze di coerenza tra proclamazione della fede e condotta di vita (fides celebranda et moribus applicanda). In tal senso vengono anche proposte delle spiegazioni delle note 336 e 351, rispettivamente dei nn. 300 e 305 di AL, che ne mostrano la continuità col magistero precedente della Chiesa, in particolare di Familiaris consortio 84 e di Sacramentum Caritatis 29. È questa la novità che il documento di papa Francesco porta alla pastorale ecclesiale: la misericordia non è semplice compassione emotiva, né può confondersi con una tolleranza complice del male, ma è offerta sempre gratuitamente e generosamente proposta alla libertà di una possibilità di ritorno a Dio, che ha la natura di un itinerario sacramentale ed ecclesiale.
Matrimonio e Eucarestia
Il terzo momento della riflessione pastorale è dedicato al discernimento, che non può avere come oggetto né lo stato di grazia delle persone, su cui la Chiesa sa di dover lasciare il giudizio solo a Dio (cfr. Concilio di Trento, DH 1534), né può vertere sulla possibilità di osservare i comandamenti di Dio, per i quali sempre è donata la grazia sufficiente a chi la chiede (Concilio di Trento, DH 1536). Il giudizio della Chiesa di non ammettere all’Eucaristia i divorziati risposati civilmente o conviventi non equivale al giudizio che essi vivano in peccato mortale: è piuttosto un giudizio sul loro stato di vita, che è in contraddizione oggettiva con il mistero dell’unione fedele tra Cristo e la sua Chiesa.
Contro ogni individualismo e spiritualismo, la tradizione magisteriale della Chiesa ha proclamato la realtà pubblica e sacramentale del matrimonio e dell’Eucaristia: per accedervi il non aver coscienza di peccati mortali è condizione soggettiva necessaria, ma non sufficiente.
Gli autori ricordano opportunamente come sant’Ignazio di Loyola, maestro del discernimento degli spiriti, affermasse che su due cose non poteva esserci discernimento: sulla possibilità di compiere atti cattivi, già condannati da comandamenti di Dio, o sulla fedeltà ad una scelta di vita già effettuata e suggellata da un sacramento o da una promessa pubblica. E il comandamento di «non commettere adulterio» non è mai stato considerato dalla Chiesa un consiglio, ma un precetto di Dio che non ammette eccezioni.
L’oggetto del discernimento può dunque riguardare tre fattori della vita: in primo luogo il proprio desiderio rispetto all’Eucaristia: desidero veramente la comunione con Cristo, cui è inseparabile l’impegno di una vita conforme al suo insegnamento, o piuttosto desidero qualcos’altro? L’Eucaristia infatti non è mai per nessuno un diritto ed essendo un sacramento della Chiesa non è una mera questione privata “tra me e Gesù”. In secondo luogo, oggetto del discernimento è il vincolo matrimoniale, che dev’essere anch’esso oggetto di una dichiarazione giuridica pubblica, riguardando un atto sacramentale di unione tra due persone.
Infine e soprattutto il discernimento auspicato da Amoris laetitia, che raccomanda una «pastorale vincolo» (AL 211), deve riguardare i passi concreti per un cammino di ritorno ad una forma di vita conforme al Vangelo: la riconciliazione è possibile? Difendendo il vincolo la Chiesa non solo è fedele alla parola di Gesù, ma anche è paladina dei più deboli e indifesi. La verifica può riguardare anche l’obbligo di lasciare l’unione non coniugale, cui ci si è impegnati, e se sussistano le «ragioni gravi» per eventualmente restarvi. Infine il discernimento può riguardare i modi per giungere a vivere l’astinenza e per riprendersi dopo eventuali cadute.
L’obiettivo del discernimento non è perciò quello di aggirare le leggi con eccezioni, ma di trovare i modi di un cammino di conversione realistico, con l’aiuto della grazia di Dio. Adattare la legge morale a quelle che percepiamo essere le capacità nostre o dei fedeli non sarebbe un’azione pastorale, ma piuttosto un’azione legale che finisce col rendere superflua l’azione pastorale.
Legittima, coerente, feconda
Come si vede, quello che i tre esperti dell’Istituto Giovanni Paolo II ci propongono è uno strumento di grande rilevanza pastorale, all’interno del dibattito odierno e soprattutto delle perplessità di tanti fedeli, sacerdoti e vescovi. Esso suppone un’interpretazione di Amoris laetitia, che si raccomanda per tre caratteristiche: è legittima, è coerente, è feconda.
È legittima, perché finora nessun intervento magisteriale è venuto a chiarire in forma indiscutibile i punti ambivalenti presenti nel capitolo VIII dell’esortazione apostolica. Risposte date dal Papa in interviste o lettere private riflettono infatti opinioni personali legittime, ma non vincolanti la Chiesa, mentre la decisione di non rispondere ai Dubia dei quattro cardinali è di per sé molto significativa. Non rispondendo infatti il Papa ha in qualche modo risposto: ha risposto di non poter rispondere. O meglio: ha risposto di non poter rispondere, in quanto Successore di Pietro, in contrasto con la dottrina e la prassi indicata dai suoi Predecessori. E così rimane perfettamente legittimo continuare a riferirsi alle loro disposizioni molte chiare in merito.
L’interpretazione non è però solo legittima. È anche l’unica davvero coerente sia con l’intero documento, che chiede di sviluppare una «pastorale del vincolo» (AL 211) e si centra sull’amore vero di cui parla san Paolo in 1 Cor 13 (AL, cap. IV); sia con il cammino sinodale, che non ha modificato la disciplina eucaristica della Chiesa (la relatio finalis del Sinodo, infatti, neppure menziona l’Eucaristia quando parla delle situazioni difficili); sia infine e soprattutto con il Magistero della Chiesa, antico e recente. Il cardinale Gerhard Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, in una dichiarazione del 1 dicembre 2016 ad un’agenzia cattolica austriaca, ha affermato che pur rispettando la decisione del papa Francesco di non rispondere ai Dubia, in ogni caso «questo documento [Amoris laetitia, ndr] non deve essere interpretato in modo tale da indicare che le precedenti dichiarazioni dei papi e della Congregazione della Dottrina della fede non sono più valide». Del resto sarebbe molto strano che proprio dopo aver proclamato solennemente san Giovanni Paolo II “il Papa della famiglia”, Francesco volesse poi allontanarsi dal suo chiaro insegnamento su un punto tanto rilevante, nel quale è in gioco l’unità di fede e vita, di sacramento e testimonianza. Impensabile poi che cercasse di farlo surrettiziamente, accreditando una prassi per poter poi mutare anche la dottrina.
Infelici e contenti?
Infine e soprattutto: quella proposta nel vademecum è un’interpretazione feconda, perché promuove strade e apre prospettive, certamente impegnative e talvolta ardue, ma sempre piene di vita, per i pastori e le persone, come confermano esperienze e testimonianze da tempo in atto, con cui i tre autori sono in contatto, quali quelle vissute nel Cammino Neocatecumenale, in “Mistero Grande”, nei “Separati fedeli” o nella “Communion Notre Dame de l’Alliance”, promossa dal P. Nourissat. Solo ciò che è vero può ultimamente essere anche pastorale. Non è pastorale quello che lascia vivere tutti “infelici e contenti”, ma quello che annuncia, invita alla conversione ed aiuta ad accogliere le esigenze del cristianesimo che – come disse il Beato Paolo VI nel messaggio pasquale del 1969 – «non è facile, ma felice».

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