Veglia Pasquale mella notte santa e Domenica di risurrezione

La materia prima del mondo è buona, l'essere stesso buono. E il male non proviene dall'essere che è creato da Dio, ma esiste solo in virtù della negazione da parte del libero arbitrio sin dalle origini. A Pasqua, al mattino del primo giorno della settimana, Dio ha detto nuovamente; "Sia la luce!". Prima erano venute la notte del Monte degli Ulivi, l'eclissi solare della passione e morte di Gesù, la notte del sepolcro. Ma ora è di nuovo il primo giorno – la creazione ricomincia tutta nuova. "Sia la luce!", dice Dio, "e la luce fu". Gesù risorge dal sepolcro e il cero pasquale ce lo ricorda per cinquanta giorni. La vita è più forte della morte. Il bene è più forte del male. L'amore è più forte dell'odio. La verità è più forte della menzogna. IL buio dei giorni passati è dissipato nel momento in cui Gesù risorge dal sepolcro e diventa, Egli stesso, pura luce di Dio. Questo, però, non si riferisce soltanto a Lui e non si riferisce solo al buio di quei giorni. Con la risurrezione di Gesù, la luce stessa è creata nuovamente. Egli ci attira tutti dietro di sé nella nuova vita della risurrezione e vince ogni forma di buio facendoci rinascere con il Battesimo figli nel Figlio e quindi fratelli. Egli, con la Confessione e Comunione, è il nuovo giorno di Dio che vale per tutti noi. Anche costretti a celebrare alle 19,30 è tutta la liturgia della notte la celebrazione della Veglia che prepara la domenica di risurrezione

 

"Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!" (1 Cor 5,7). Risuona in questo giorno l'esclamazione di San Paolo, che abbiamo ascoltato nella seconda lettura, tratta dalla prima Lettera ai Corinzi. È un testo che risale ad appena una ventina d'anni dopo la morte e risurrezione di Gesù, eppure – come è tipico di certe espressioni paoline – contiene già, in una sintesi impressionante, la piena consapevolezza della novità cristiana. Il simbolo centrale della storia della salvezza - l'agnello pasquale – viene qui identificato in Gesù, chiamato appunto "nostra Pasqua". La Pasqua ebraica, memoriale della liberazione dalla schiavitù d'Egitto, prevedeva ogni anno il rito dell'immolazione dell'agnello, un agnello per famiglia, secondo la prescrizione mosaica. Nella sua passione e morte, Gesù si rivela come l'Agnello di Dio "immolato" sulla croce per togliere i peccati del mondo. È stato ucciso proprio nell'ora in cui era consuetudine immolare gli agnelli nel Tempio di Gerusalemme. Il senso di questo suo sacrificio lo aveva anticipato Egli stesso durante l'Ultima Cena, sostituendosi – sotto i segni incruenti del pane e del vino e anticipando il darsi cruento della Croce – ai cibi rituali del pasto nella Pasqua ebraica. Così possiamo dire veramente che Gesù ha portato a compimento la tradizione dell'antica Pasqua e l'ha trasformata nella sua Pasqua che sacramentalmente continua in ogni Messa.

A partire da questo nuovo significato della festa pasquale si capisce anche l'interpretazione degli "azzimi cioè pane non lievitato" data san Paolo. L'apostolo si riferisce a un'antica usanza ebraica: quella secondo la quale, in occasione della Pasqua, bisognava eliminare dalla casa ogni più piccolo avanzo di pane lievitato. Ciò costituiva, da una parte, un ricordo di quanto accaduto agli antenati al momento della fuga dall'Egitto: uscendo in fretta dal paese, avevano portato con sé focacce non lievitate. Al tempo stesso, però, gli "azzimi" erano simbolo di purificazione: eliminare ciò che è vecchio per fare spazio al nuovo. Ora, spiega san Paolo, anche questa antica tradizione acquista un senso nuovo, a partire dal nuovo "esodo" appunto, che è il passaggio di Gesù dalla morte alla vita dopo morte, alla vita eterna. E poiché Cristo, come vero agnello, ha sacrificato sé stesso per noi peccatori per rendere possibile la conversione, il cambiamento, anche noi, suoi discepoli -grazie a Lui e per mezzo di Lui nella Confessione pasquale – possiamo e dobbiamo essere "pasta nuova", "azzimi", liberati da ogni residuo del vecchio fermento del peccato: niente più malizia e perversità nel nostro cuore.

"Celebriamo dunque la festa …con azzimi di sincerità e verità". Quest'esortazione di san Paolo, che chiude la breve lettura che poco fa è stata proclamata, risuona ancor più forte nel contesto: accogliamo l'invito dell'Apostolo; apriamo l'animo alla presenza sacramentale della Comunione pasquale a Cristo morto e risuscitato perché ci rinnovi, perché elimini dal nostro cuore il veleno del peccato e della morte e vi infonda la linfa vitale dello Spirito Santo cioè dell'amore che solo ci accompagnerà nel momento della morte: la vita divina ed eterna. Nella sequenza pasquale, quasi rispondendo alle parole dell'Apostolo, abbiamo cantato o detto: "sappiamo che Cristo è veramente risorto dai morti". Sì! È proprio questo il nucleo fondamentale della nostra professione di fede; è questo grido di vittoria che tutti oggi ci unisce. E se Gesù è risorto, e dunque è vivo, si fa presente; è questo il grido di vittoria che tutti oggi ci unisce. E se Gesù è risorto, e dunque è vivo, presente, chi mai potrà separarci da Lui? Chi mai potrà privarci del suo amore che ha vinto e vince l'odio e ha sconfitto e sconfigge la morte anche da covid-19?

L'annuncio della Pasqua, che ci fa affrontare tutte le precarietà di questa vita temporale, si espanda nel mondo con il gioioso canto dell'Alleluia. Cantiamolo con le labbra, cantiamolo soprattutto con il cuore affrontando tutte le precarietà della vita, con uno stile "azzimo", cioè semplice, umile, e fecondo di azioni buone anche di fronte a cattiverie. "Cristo mia speranza è risorto e vi precede in Galilea": Con il Risorto c'è la sua e la nostra mamma corredentrice che ci precedono e ci accompagnano per le strade del mondo. Con Lei è Lui la nostra speranza, la pace del mondo.

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