IL SACERDOTE, UN GRANDE DONO PER LA CHIESA E PER IL MONDO
Come parlarne ai giovani in vista della vocazione: "Mi sono fatto tutto a tutti, per guadagnare ad ogni costo qualcuno" (1 Cor 9,22)
Don Gino Oliosi dal suo libro "Spiritualità Evangelizzatrice dei sacerdoti diocesani" da pag. 81 a pagina 101
LE RELAZIONI DEL PRESBITERO NELL'APAPRTENENZA ALLA SUA DIOCESI
Poiché la nostra identità di presbiteri è di sua natura ecclesiale e relazionale, la carità pastorale non ha solo una dimensione interiore e individuale, ma per la fraternità generata dal sacramento dell'Ordine, si attua in concrete relazioni vitali. La nostra regola di vita personale dovrà riflettere le esigenze che nascono da tali relazioni e dalla necessità di tenerle insieme nella loro reciproca connessione, poiché convergono tutte nel rapporto di appartenenza reciproca e stabile donazione alla nostra Chiesa particolare.
Come figli chiamati senza nostro merito al ministero, facciamo esperienza della maternità dellasanta Chiesa veronese tanto più intensamente quanto più viviamo la reciprocità di legami con il Vescovo e col presbiterio, pur diversi per formazione, con la comunità che ci è affidata e in continuità con la beata schiera di quanti ci hanno preceduto in cielo.
A questa stessa maternità partecipiamo con tutti i fratelli di fede, mossi dal desiderio bruciante di accendere e irradiare la vita divina nei cuori di tutatla gente della nostra terra veronese, prnell'attuale situazione di debolezza della proposta cristiana, incapaci come siamo, per la drammatica frattura tra Vangelo e cultura, di mostrare l'implicazione antropologica, sociale e cosmologica dei misteri della nostra fede.
Essendo il mondo salvato da Cristo, la Chiesa non può non puntare ad essere segno trasparente e vitale di questa salvezza, recependo, dalle della vita di tutti i giorni, la "carne" della sua proposta. Infatti l'evangelizzazione non è riducibile a dei contenuti che abbiamo già in tasca e che dobbiamo trasmettere, ma passa attraverso le imprevedibili circostanze personali, comunitarie e sociali con lequali ci confrontiamo. "Voi siete – scrive san Giovanni Crisostomo - i miei concittadini, i miei genitori, i miei fratelli, i miei figli, le mie membra, il mio corpo, la mia luce, più amabile della luce del giorno".
Al momento della nostra ordinazione abbiamo accolto una specifica chiamata: dedicarci stabilmente, come fraternità sacramentale presbiterale, al sevizio della Chiesa di Verona. Se, come ricorda il Concilio, in ogni Chiesa particolare"è presente e agisce la Chiesa di Cristo una, santa, cattolica e apostolica", cioè Gesù Cristo crocifisso e risorto, oggi unito ai suoi, allora il vincolo dell'incardinazione, prima e più che un dato giuridico, diventa un fatto teologico e spirituale: la vocazione a servire fraternamente da presbiteri il continuo incarnarsi del Corpo di Cristo nella nostra terra, inculturando dinamicamente la fede.
Questa vocazione siamo chiamati a viverla fraternamente, collegialmente, in quanto all'atto dell'ordinazione, siamo stati cooptati a far parte del presbitero veronese, costituendo una vera "fraternità sacramentale o famiglia ministeriale" col Pastore della nostra comunità diocesana.
Il rapporto con il Vescovo nell'unico presbitero, la condivisione della sua sollecitudine ecclesiale, la dedizione alla cura evangelica del popolo di Dio nelle concrete condizioni storiche e ambientali della nostra terra, devono diventare la fonte prima e imprescindibile dei nostri criteri di discernimento e di azione.
L diocesanità non configura quindi un ideale di prete generico, una sorta di contenitore che ciascuno può riempire a suo piacimento, con criteri suoi, ma una modalità specifica di esistenza presbiterale, che si propone come una via autentica e originale di vita cristiana.
Il nostro amore per la Chiesa universale si concretizza nell'amore per questa nostra Chiesa di Verona, da amare con la sua storia, con la sua tipica umanità, con le sue ricchezze e i suoi limiti, nella meravigliosa eredità dei suoi beati e santi, dei suoi pastori, dei suoi operosi testimoni del vangelo, dei suoi eroi della carità, nell'appassionata condivisione della sua missione in questa stagione della storia che la Provvidenza ci ha assegnato.
La stessa apertura missionaria che è intrinseca al nostro ministero, perché siamo ordinati per la Chiesa, si attua come partecipazione al compito apostolico che compete a tutta la Chiesa veronese come ad ogni Chiesa particolare. Con cuore e mentalità missionaria siamo chiamati a operare nella comunità cristiana di cui siamo responsabili e a collaborare all'evangelizzazione diocesana "ad gentes", cui dare sostegno, senza escludere la disponibilità personale diretta nella modalità della "Fidei donum".
È necessario ravvivare la coscienza di essere presbiterio, e quindi imparare a pensare e scegliere, pur nel rispetto delel proprie caratteristiche pubblicamente riconosciute, come "unum presbyterium" presieduto dal Vescovo,convertendoci da una mentalità liberale individualista, o di opzione teologico pastorale di parte, a uno stile di comunione, cioè di unità nella diversità e cercando insieme le forme che meglio possono concretizzarlo.
Poiché questa coscienza collegiale e diocesana non è solo un fatto formale o un dato di efficienza operativa, ma un'esigenza intrinseca alla nostra identità, deve investire la vita concreta di ognuno di noi, dalla disponibilità al servizio pastorale che ci è richiesto, all'essere parte viva nelle decisioni e nella corresponsabilità con il Vescovo e con gli altri preti, fino al momento delle dimissioni per anzianità, che sono dimissioni da un incarico, ma non dal presbiterio, dalla fraternità sacramentale dell'Ordine.
Tale coscienza, attivata nelle sue basi umane, teologiche e spirituali fin dalla formazione in seminario, assimila progressivamente nei primi anni di ministero, viene espressa e promossa in diverse maniere: dalle convocazioni liturgiche annuali di tutto il presbiterio (specialmente la celebrazione della "messa crismale", la solennità delladedicazione della Chiesa cattedrale, le ordinazioni presbiterali e la festa della Madonna del popolo l'8 settembre), dai vari organismi di partecipazione, in particolare il Consiglio presbiterale diocesano, alle Congreghe, dai momenti di formazione teologica e spirituale come i ritiri mensili, e di aggiornamento e programmazione pastorale, agli incontri dei primi anni per i giovani sacerdoti.
Il dono, la necessità e il grave dovere reciproco della presenza e della partecipazione attiva agli appuntamenti comuni costituisce il primo modo di accrescere e fortificare la nostra fraternità evangelica e sacramentale originata dall'Ordine e garanzia di fecondità per il nostro ministero.
Oltre e a partire da questi appuntamenti possono sorgere, come del resto avviene, ulteriori iniziative di incontri fraterni e di condivisione spirituale a cui attingere, amicizie e collaborazioni teologico-pastorali, a cominciare dai preti dello stesso vicariato, di gruppi e movimenti carismatici, senza escludere la possibilità di varie forme di vita comune.Si tratta di alimentare e favorire vissuti fraterni e di comunicazione della fede tra preti, per poterne gustare il valore in sé e vivere con questo spirito anche i momenti istituzionali della vita del presbiterio.
Su queste basi sarà più facile affrontare solidamente il rinnovamento pastorale richiesto dalla "nuova evangelizzazione" e tanti problemi pastorali e pratici, come una più equilibrata ripartizione del carico pastorale, i tempi della formazione permanente e per il giusto riposo settimanale e annuale da rendere possibile a tutti, l'aiuto materiale ed economico, il necessario sostegno nella malattia e nella vecchiaia.
Un'attenzione speciale merita la convivenza tra parroco e vicario parrocchiale, luogo delicato e privilegiato di iniziazione al ministero e a uno stile di fraternità e collaborazione. Si tratta di un compito che richiede innanzitutto un clima di fiducia reciproca. È necessario che il vicario parrocchiale sia accolto nella canonica a pieno titolo, si lasci positivamente coinvolgere nella "storia" che lo ha preceduto, venga associato a tutta la pastorale con qualche ambito specifico riservato a lui, e si prevedano oltre ai pasti, momenti di preghiera e di programmazione comune.
La partecipazione alla vita del presbiterio attua e alimenta quella relazione di filiale rispetto e obbedienza nei confronti del Vescovo che siamo chiamati a vivere come una famiglia ministeriale. La comune passione per l'edificazione della Chiesa veronese e per l'inculturazione della fede nella nostracittà ci chiede di alimentare tale relazione con l'impegno a un'accoglienza cordiale del suo magistero, al costante ricordo nella preghiera e alalricerca di momenti periodici di incontro e di verifica personale.
A sua volta il Vescovo è chiamato a considerare i suoi preti " come fratelli e amici", a prendersi curadel "loro bene materiale e spirituale" e della loro "formazione continua" e, riconoscendo in essi "dei necessari collaboratori e consiglieri nel ministero", "ad ascoltare il presbiterio, anzi, a consultarlo e a esaminare insieme i problemi riguardanti la necessità del lavoro pastorale e il bene della diocesi".
Uno stile di autentica comunione, ricco di accoglienza e ascolto reciproco, di confronto aperto e collaborazione costruttiva, di preghiera comune e fraterna convivialità, diventa così la nostra prima testimonianza, che fa crescere la comunione in tutta la nostra Chiesa e lascia realmente trasparire che, sia sacramentalmente sia esistenzialmente, rimandiamoalla presenza di Cristo presente anche oggi, unico nostro grande pastore.
Ognuno di noi è inviato dal Vescovo a vivere la dedizione alla Chiesa di Verona in una comunità parrocchiale oppure in un settore particolare della vita diocesana.
La parrocchia, a motivo del suo radicamento territoriale, è l'espressione più immediata e visibile della Chiesa, chiamata ad accogliere tutti, e acontribuire, con la sua presenza, a dare un'anima e un volto al tessuto umano del territorio.
Una delle caratteristiche del ministero parrocchiale è quella di incarnare l'amore di Cristo Buon Pastore che si fa compagno di viaggio e guida nel cammino della vita, condividendo le ore gioiose e quelle tristi, contribuendo a rendere la comunità cristiana quella "fontana del villaggio" a cui tutti possono attingere per trovare ristoro e speranza nei tormenti dell'esistenza e sperimentare l'inesauribile e sorprendete paternità di Dio.
All'ingresso in una nuova comunità è necessario mettersi in atteggiamento di ascolto per salvaguardare innanzitutto la continuità, cioè perconoscere la sua tradizione viva e la sua storia, con le sue luci e le sue ombre, così da innestare ogni eventuale cambiamento in un clima di fiducia e direciproco arricchimento fra pastore e comunità,
Il nostro ministero richiede di essere pensato e vissuto non come una pura gestione di un apparto ecclesiastico, ma come iniziazione alla fede e servizio all'incontro salvifico di ogni persona con alpresenza di Cristo crocifisso e risorto, vivo Sigore, datore di ogni bene qui e ora; non come un'agenzia di servi religiosi individuali, ma come edificazione della comunità cristiana, di vissuti fraterni di comunione ecclesiale autorevolmente guidata, con una sollecitudine continua perché sia una fraternità orante, apostolica e missionaria, in cui è promossa la santità della vita e la piena valorizzazione dei doni di grazia di ciascuno e dei movimenti eventualmente presenti.
PROBLEMI CON CUI
NON POSSIAMO NON CONFRONTARCI
Ogni iniziativa dovrà essere vissuta in modo da educare i fratelli, e prima di tutto i più stretti collaboratori, a sentirsi comunità nel nome del Signore e ad agire sempre in questo orizzonte di fede, ecclesiale e missionario.
L'attenzione a tutti, anche ai cristiani non più praticanti e a tutte le presenze del territorio, dovrà ispirare un approccio sapiente e una capacità disfruttare le varie occasioni di incontro.
Anche quando ci sentiamo interpellati solo per ottenere risposte a bisogni immediati, dobbiamo saper leggere di là dalle apparenze e aiutare ciascuno a faer emergere la sete di Dio e di salvezza che si porta dentro.
Questi incontri ci impongono un lavoro su noi stessi, per liberarci da linguaggi, abitudini mentali, atteggiamenti pastorali inadeguati, per proporre con coraggio il cuore del Vangelo in tutta la sua originalità e bellezza mostrando l'implicazione antropologica, sociale e cosmologica dei misteri della nostra fede.
In vista dell'edificazione di una comunità orante, fraterna, ministeriale e missionaria, siamo chiamati a fare dell'Eucaristia il cuore pulsante della vita parrocchiale e a promuovere i doni, i carismi di ciascuno, educando a un grande amore alla Chiesa e alla comunione con il Vescovo, favorendo un clima di reale corresponsabilità e non solo con le parole e l'esempio a irradiare in tutti i campi dell'esistenza la grazia rinnovatrice del vangelo.
Un posto particolare va riconosciuto alla famiglia, per la sua intrinseca rilevanza. Luogoprivilegiato dell'esperienza dell'amore della trasmissione della vita e della fede, naturale anello di congiunzione tra Chiesa e persone, tra uomo e donna e tra le diverse generazioni, la famiglia si pone come riferimento indispensabile per la vita della comunità e la sua missione.
Su queste basi la parrocchia, famiglia di Dio come fraternità animata nell'unità, può diventare un terreno propizio alla trasmissione della fede alle giovani generazioni e alla maturazione di risposte vocazionali generose, sia nella vita del matrimonio che del ministero presbiterale e nella vita consacrata.
Ulteriore segno della vitalità della comunità sarà il sorgere della grazia del diaconato, che andrà promosso insieme alle diverse forme di corresponsabilità laicale suscitate dallo Spirito, tra le quali i ministri istituiti (lettori e accoliti) e quella particolare forma di ministerialità laicale che è l'Azione Cattolica.
Nel servire la nostra parrocchia non possiamo esimerci dalla partecipazione alle iniziative diocesane e vicariali e dalla collaborazione con le parrocchie vicina. Lo esigono sempre più il calo del numero dei presbiteri e le modalità delle persone, ma anche la qualità delle proposte formative e dei cammini differenziati da attivare, e i tanti ambiti di missione presenti nel territorio, che trascendono i confini parrocchiali. Ciò richiede una lettura comunitaria e coraggiosa delle esigenze specifiche del territorio, in cui coinvolgere i Consigli pastorali parrocchiale e vicariale, e il superamento di una visione autarchica, autoreferenziale della parrocchia, per convertirci a una collaborazione di respiro diocesano e alla valorizzazione di tutti i carismi di consacrati e laici.
Impegnati in prima linea nell'evangelizzazione, ci scontriamo ogni girono con la frattura tra vangelo e cultura, dramma che segna la nostra epoca e da cui bisogna cercare di uscire.
Non raramente ci domandiamo: quale incidenza hanno il nostro ministero e l'azione evangelizzatrice della Chiesa su persone segnate da un altro linguaggio, non religioso, e da latri modelli di pensiero e di vita? Come comunicare con gioia la fede ai giovani?
La cultura che si esprime nel modo di pensare della gente si mostra in gran parte ormai estranea alla visione cristiana della vita, se non addirittura in gran parte in aperta contraddizione. Nelle sue espressionipiù diffuse sembra andare prevalentemente nelladirezione di un soggettivismo esasperato e tendenzialmente nichilista, che produce in tutta la società un relativismo disorientante.
Per evitare quelle paure che creano ansia e isolamento e ingenerano atteggiamenti paralizzanti e frustanti, il Papa e i nostri Vescovi ci invitano da una parte ad essere comunque fiduciosi nella presenza di Cristo e nella sua parola, e dall'altra ci spronano al coraggio di "abitare" la storia con un amore attento al discernimento personale, comunitario e istituzionale, senza complessi e pieno di speranza: nessuna situazione con Lui è fatale!
Se vogliamo accogliere la sfida culturale che pone anche la nostra Chiesa veronese, soprattutto nella localizzazione parrocchiale in stato di missione, non possiamo non prefiggerci la sapienza e la fatica di discernere, del progettare insieme e del rinnovamento degli stessi mezzi di formazione e comunicazione.
E la fedeltà all'oggi di Dio che lo esige. È la nostra spiritualità evangelizzatrice di pastori che lo reclama.
Di qui la necessità di valorizzare le occasioni e gli strumenti per valutare con obiettività i problemi e le sfide culturali di oggi. Ciò aiuterà ad evitare letture riduttive o approssimative, che di solito inclinano al pessimismo, ingenerando arroccamenti e chiusure, e a coniugare alla luce di Cristo la stima verso quanto c'è di buono nel nostro mondo con la salvaguardia di un'identità cristiana senza incertezze.
Le tendenze problematiche e preoccupanti della cultura dominante non devono comunque farci dimenticare le persone, ogni persona, in cui lo Spirito Santo non smette di operare. Come Chiesa dobbiamo lasciarci interpellare dai desideri e dalle inquietudini dei nostri contemporanei, e saper cogliere eventuali germi di verità anche nei cuori più apparentemente lontani, senza temere di farne pure affiorare le contraddizioni profonde, e leggere nei coinvolgimenti più provocatori i segnali di un inconsapevole grido di aiuto e di una insopprimibile nostalgia di Dio.
A penarci bene questa consapevolezza, unita alla certezza che "tutto concorre al bene di coloro che amano Dio" (Rm 8,28), ci induce ad affrontare le ele sfide culturali e le difficoltà di oggi come un'occasione favorevole, una sorta di provocazione a ritrovare l'essenziale della fede, la sua bellezza e la sua forza liberante, e cioè le ragioni insieme della nostra gioia e della nostra passione missionaria. Da ciò scaturisce un'evangelizzazione piena di stupore, indipendentemente dai risultati che possono venire enon venire, capace di arrivare davvero alla mente e al cuore die nostri contemporanei, il nostro prossimo comunque da amare, non attardata da metodi desuetie inutilmente anacronistici.
L'AIUTO CHE CI VINE
DALL'ALTO
Per custodire nella fiducia e nella speranza questa impegnativa e improrogabile opera di inculturazione della fede e di rinnovamento pastorale è indispensabile non perdere mai di vista come stanno realmente le cose, cioè la faccia nascosta della verità, ravvivando anche l'attenzione al mondo invisibile, la consapevolezza dell'effettiva estensione del Regno dei cieli, popolato di angeli e di santi, nostre guide, ricchi di quella vita divina da cui viene senza sosta investita la terra.
Di fronte a questa affollatissima comunione, dove con le tre divine Persone, palpitano e gioiscono miriadi di creature beate, si dilegua ogni paura e tristezza do vita al sentirci "piccolo gregge". E anche quando ci sentiamo circondati da forze ostilicrediamo, aldilà delle apparenze, che il vero "assedio" è quello benefico operato sui cuori e sulla storia dall'azione guida dello Spirito Santo, effuso in continuazione dal Crocefisso risorto. Le nostre chiese piene di statue, di tele e di affreschi sono un continuorichiamo a questa consolante realtà.
Di fronte a questa affollatissima comunione, dove con le tre divine Persone, palpitano e gioiscono miriadi di creature beate, si dilegua ogni paura e tristezza dovuta al sentirci "piccolo gregge". E anche quando ci sentiamo circondati da forze ostili crediamo, aldilà delle apparenze, che il vero "assedio" è quello benefico operato sui cuori e sulla storia dall'azione guida dello Spirito Santo, effuso in continuazione dal Crocefisso risorto. Le nostre chiese piene di statue, di tele e di affreschi sono un continuo richiamo a questa consolante realtà.
Tra i vincoli beati che, per il, mistero della comunione dei santi, ci legno al mondo invisibile, quello con la Madre di Dio ha un ruolo peculiare.Come presbiteri, continuatori dell'opera salvifica disuo Figlio Gesù, siamo invitati ad amarla teneramente e a sentirla vicina con il suo amore e la suaprotezione. Attraverso questo affidamento generazioni di sacerdoti hanno sperimentato una particolare effusione dello Spirito: la grazia di esserecondotti a un più forte realismo di fede nel saper cogliere nel volto di ogni donna una sentinella dell'invisibile e a una speciale protezione materna dai pericolo, dalle stanchezze e da ogni male.
Tra le preziose espressioni della devozione mariana vanno ricordate, oltre alla recita quotidiana dell'"Angelus" e di una parte del rosario, le varie feste mariane dell'anno e specialmente la devozione alla Madonna del Popolo con l'appuntamento dell'8 settembre e i ritiro di giugno alla Madonna della Corona.
Insieme alla Madre di Dio ognuno di noi è chiamato a guardare alle figure sacerdotali eminenti della storia della Chiesa e in particolare a quelle del presbiterio veronese degli ultimi tre secoli che, con il loro esempio e con la loro intercessione, costituiscono una vera scuola id santità e un forte motivo di identità, di ispirazione e di incoraggiamento tra le fatiche e le sfide del ministero. È cambiato il contesto in cui viviamo la nostra esperienza presbiterale, ma in questo diverso contesto dobbiamo immettere la stessa carica di fede, di amore e di zelo sacerdotale che ha animato quei nostri fratelli che ci hanno preceduto ed hanno toccato le vette della santità. La carità, cioè l'amore di Cristo in noi e attraverso di noi, sarà tanto più riconoscibile nella nostra dedizione pastorale quanto più ci lasceremo dinamicamente conformarci a Lui come hanno fatto schiere di santi sacerdoti.
PENSATI, AMATI E PRESCELTI
DALL'ETERNITA
La sequela di Gesù umile, obbediente, povero e casto interpella ogni cristiano. In questi tratti, che svelano l'amore del Figlio per il padre e sono riflesso dell'amore infinito che lega le tre divine Persone, trova luce la stessa originaria vocazione dell'uomo. In Cristo il Padre "ci ha scelti prima della creazionedel mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci ad essere suoifigli adottivi per opera di Gesù Cristo" (Ef 1,4-5). Siamo condotti da queste divine parole all'origine del nostro esserci, alla sua radice eterna: "ci ha scelti", ciascuno di noi è stato pensato e voluto fra tante altre possibili persone umane. Lo sguardo del Padre si è posato su di te, a preferenza di tanti altri sei stato "scelto". Quando è accaduto questo? "prima della creazione del mondo".
Il mondo, questo universo immenso entro cui ti senti come un granello di polvere, non esistevaancora e il Padre ti ha pensato evoluto liberamente, ha scelto te. Se dunque esisti, non è senza una ragione. Ma ci ha pensati e voluti e scelti in Cristo. Cioè quando il Padre ha pensato evoluto Cristo, ha pensato e voluto anche ciascuno di noi. Con lo stesso pensiero e con la stessa volontà con cui ha pensato e voluto Cristo, ha pensato e voluto ognuno di noi, singolarmente presi, predestinandoci ad essere suoi figli, nella modalità di una vocazione specifica: quella del presbiterato che, in forza della consacrazione del sacramento dell'Ordine, ci pone inuna particolare e specifica relazione col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo. La nostra identità ha la sua sorgente ultima nella carità del Padre. Al Figlio da Lui mandato, Sommo sacerdote e Buon Pastore, siamo uniti sacramentalmente con il sacerdozio ministeriale per l'azione dello Spirito Santo. Tutti i fedeli, destinati dall'eternità a divenire figli nel Figlio, formano un sacerdozio santo e regale.
Uniti in un solo corpo, scelse alcuni come ministri, inviando gli Apostoli come Egli stesso era stato inviato dal Padre, e quindi resi partecipi della sua consacrazione e della sua missione i loro successori, i Vescovi, la cui funzione ministeriale con e di fronte alla Chiesa è trasmessa in grado subordinato ai presbiteri.
Perciò la nostra regola di vita personale deve prendere in considerazione queste radici, queste esigenze radicali perché trasformano l'esistenza umana alla radice, nei suoi assi fondamentali: figli nel Figlio fin dal Battesimo e rappresentanza sacramentale di Cristo capo della Chiesa per l'Ordine, sentiamola necessità di lasciarci progressivamente assimilare a Lui come segno della priorità assoluta e della gratuità della grazia, che alla Chiesa viene continuamente donata dal Cristo Risorto. Per mezzo del sacerdote ministeriale, la Chiesa prende coscienza, nella fede, di non essere da sé stessa, ma dalla grazia di Cristo nello Spirito Santo. Gli Apostoli e i loro successori, quali detentori della presenza sacramentale di Cristo Capo e Pastore, col loro ministero sono posti di fronte alla Chiesa come prolungamento visibile e segno sacramentale di Cristo nel suo stesso stare oggi di fronte alla Chiesa e al mondo, come origine permanente e sempre nuova di salvezza, "Lui che è Salvatore del suo Corpo" (Ef 5,23).
Ci lasciamo assimilare a Lui come figli nel Figlio secondo la specifica fisionomia pastorale che ci caratterizza: l'obbedienza apostolica per testimoniare con tutti i fratelli la liberante signoria di Cristo, uno stile di vita semplice e povero che ci permetta uno sguardo puro e gratuito verso tutti, la sceltavolontaria della gratuità celibataria per una tenerezza di comunione con Cristo e con tutti, con una preferenza per i piccoli, i peccatori, i poveri.
Vivendo l'esercizio della nostra libertà nello sguardo totalmente libero in rapporto ai beni materiali e alla relazione uomo-donna riceviamo, secondo la promessa di Gesù, già "cento volte tanto"in vissuti fraterni liberi dalle potenze del mondo e che, superando la morte in tutte le sue forme possibili, dona un presentimento della vita da risorti. Nonostante tutte le apparenze, come Gesù in Croce, il presbitero vive di questa certezza di fede non si sente mai antropologicamente, sociologicamente, cosmologicamente inutile nel mondo nuovo inaugurato dalla Pasqua.
Tutto questo senza dimenticare che l'assimilazione piena a Cristo Capo e Buon Pastore, Figlio obbediente, fratello dei piccoli, dei poveri e dei peccatori, sposo del popolo-sposa che è la Chiesa, solo Lui può donarla in pienezza.
Se teniamo fisso lo sguardo su Gesù, di cui siamo ripresentazione sacramentale oggi, su quel Gesù "che si è fatto obbediente fino alla morte di croce" (Fil 2,8), comprendiamo che non possiamo sperimentare la libertà piena che Cristo ci dona e tanto meno cooperare alla sua missione salvifica senza tentare e ritentare di condividere la sua totale obbedienza al Padre.
Questo comporta un atteggiamento interiore di intelligenza e di volontà di ricerca costante della volontà di Dio, la vigilanza del cuore di chi è sempre pronto a riconoscere gli appelli nelle circostanze della vita di ogni giorno, conformi o non conformi ai propri gusti e desideri e, infine, un impegno ascetico continuo.
E tale esigenza è tanto più decisiva per noi che abbiamo la missione di aiutare tutti i figli nel Figlio ad aprirsi alla volontà salvifica divina e a vivere nell'obbedienza della fede.
Per educare alla fede e al discernimento personalee comunitario, sottoponendo tutto a quello istituzionale, per individuare "ciò che è buono, a Dio gradito e perfetto" (Rm 12,2), dobbiamo innanzitutto testimoniare in maniera limpida e gioiosa la radicale dipendenza di tutta la Chiesa da Cristo: "senza di menon potete fare nulla", disse Gesù. Egli solo è il suo Signore, e da Lui si riconosce edificata nella potenza dello Spirito per mezzo della Parola, dei Sacramenti, dei vari carismi e ministeri necessari alla sua vita e alla sua missione. In questa duplice, a Cristo come fonte e ai fedeli come ministero, il presbitero appare essenzialmente riferito alla Chiesa, nel senso che esso non va definito in modo "anteriore alla Chiesa", non va neppure definito in "modo posteriore alla comunità ecclesiale", quasi che essa possa essere concepita come già costituita senza tale sacerdozio.
In realtà la Chiesa nella sua triplice dimensione:
^ di "mistero", perché in essa si attuano i segni sacramentali della presenza della presenza del Cristo crocefisso e risorto,
^ di "comunione", come luogo di unità nell'armonia delle diverse vocazioni, carismi e servizi,
^ di "missione", come comunità che porta agli uomini la verità e la garzia del Signore.
Non può realizzare pienamente sé stessa senza il servizio di quel sacerdozio che partecipa intimamente e sacramentalmente alla unzione e missione di Cristo per la Chiesa stessa e per il mondo.
L'obbedienza apostolica è ben diversa da alter forme di obbedienza (al capo, al partito, ecc…) e occorre difenderla dal disprezzo con cui la guarda il secolarismo ateo-laicista. Nessuno obbedisce se non perché è libero e nessuno è libero se non perché si riconosce creato e redento da Dio. L'obbedienza apostolica consiste nel riconoscere la presenza sacramentale del Crocefisso risorto nelle relazioni che configurano la nostra identità ecclesiale, così da viverle gioiosamente nell'obbedienza della fede.
IL PRESBITERO NELLA CHIESA PRTICOLARE
E NELLA CHIESA UNIVERSALE
Siamo dunque consapevoli che è volontà del Dio vivente, Padre, Figlio e Spirito Santo, che non ci sottraiamo al Vicario di Cristo nella Chiesa particolare, ma assumiamo con umiltà, con fede e carità il rapporto con il Vescovo e con chi lo rappresenta ai vari livelli, senza però confondere la semplicità dell'obbedienza filiale con un atteggiamento dimissionario di pura passività; anche se e soprattutto col Vescovo è doveroso che alla carità si unisca la schiettezza.
Obbedire da presbiteri significa infatti credere che il nostro contributo dato con fiducia, semplicità e rispetto – soprattutto valorizzando gli ambiti in cui si esprime la collaborazione tra Vescovo e presbitero -è anch'esso doveroso e necessario al discernimento della volontà di Dio per la nostra Chiesa. Essere inseriti in una Chiesa particolare costituisce un elemento qualificante per vivere la spiritualità evangelizzatrice.
Questo orizzonte diocesano non andrà mai dimenticato, per vivere la propria dedizione aperti agli avvicendamenti richiesti dal bene dei fedeli e dalle esigenze ecclesiali e disponibili alle forme nuove di coordinamento delle parrocchie sul territorio, come le unità pastorali.
Se l'identità del presbitero dipendesse solo da criteri di discernimento personale, aspetto che comunque non va trascurato, potrebbe essere sradicata dal contesto locale; ma se seguendo il Concilio e il Magistero successivo, il presbiterato va considerato come essenzialmente "ministeriale", perché intrinsecamente riferito al ministero dell'essere rappresentazione sacramentale di Cristo, Colui che il Padre ha inviato per servire, allora il riferimento ad una Chiesa locale, con il suo Vescovoe presbiterio, appare essenziale ed è da questo spessore teologico della Chiesa locale che guadagna valore l'apertura alla Chiesa universale.
Così non si può dire che il presbitero prima viene ordinato e quindi inerito nella Chiesa locale e dentro il suo presbiterio; viene invece ordinato "nella" Chiesa locale e "dentro" il suo presbiterio. È comunque scontato che se sul piano concretol'appartenenza alla Chiesa locale costituisce un passaggio obbligato, la Chiesa universale va vista come una realtà ontologicamente e temporalmente anteriore ad ogni singola Chiesa particolare, perché non è la somma delle Chiese particolari a costituire la Chiesa universale, ma è questa a rendersi presente nelle Chiese particolari che, nella e a partire dalla Chiesa universale, devono essere sempre aperte ad una realtà di vera comunione di persone, di carismi, di tradizioni spirituali, senza frontiere geografiche, intellettuali o psicologiche. Una sola è la "Chiesa"! L'universalità, ovvero la cattolicità, deve riempire di sé la particolarità.
In concreto, l'obbedienza presbiterale ci domanda la piena conformità con la fede della Chiesa,l'adesione sincera anche al Magistero ordinario, il convinto rispetto delle somme liturgiche e in generale della disciplina ecclesiale. Essa comporta altresì l'impegno a vivere con generosità i compiti affidati dal Vescovo, a contribuire alle scelte pastorali cercando poi di sintonizzarci con le indicazioni maturate attraverso le varie forme di corresponsabilità diocesana, a aturate attraverso le varie forme di corresponsabilità diocesana, a coniugare lo spirito di iniziativa e la creatività personale con una sapiente armonizzazione alla tradizione e alle iniziative comuni.
L'obbedienza presbiterale non si riduce a un'obbedienza individuale all'autorità episcopale, ma si esprime nella solidale appartenenza all'unico presbiterio con e sotto il Vescovo. L'abbandono di conduzioni pastorali solitarie e soggettivistiche e l'impegno nella comunione e collaborazione trapresbiteri, oggi così diversi per sensibilità e nella formazione, non sono quindi atteggiamenti facoltativi, ma esigenze intrinseche nostro ministeroe condizioni per un discernimento autentico della volontà di Dio e quindi dell'efficacia del proprio ministero.
IL DIALOGO TRA AUTORITA
E RESPONSABILITA
Anche il rapporto e il discernimento con la comunità è un luogo di obbedienza apostolica. Tutto nella Chiesa è ricondotto alla sfera soprannaturale, dove preminente e decisiva è l'azione dello Spirito Santo. Il senso della fede, la capacità soprannaturaledi tutta la Chiesa di penetrare il mistero della rivelazione, è da tale azione sorretto e guidato "possesso di tutta la verità". È ovvio che ciò non comporta la soppressione dei livelli e delle funzioni: l'infallibilità "in docendo" non può identificarsi con l'infallibilità "in credendo", anche se non deve assegnarsi un ruolo soltanto attivo all'una, ed uno soltanto passivo all'altra: bisogna puntare all'universalità comprendente ambedue, anche se non sempre è possibile. Esercitare il proprio ministero nell'obbedienza apostolica comporta quindi il dialogo tra autorità e responsabilità, il saper maturare le decisioni in un clima di ascolto del discernimento comunitario e di confronto quindi, il lasciarsi "mangiare" dai fratelli nella piena disponibilità al servizio, senza tuttavia rinunciare a dare le giuste priorità e avendo cura di armonizzarel'attenzione al discernimento delle singole persone e situazioni con il discernimento complessivo della famiglia parrocchiale nell'orizzonte diocesano.
Il nostro discernimento istituzionale in comunione con il presbiterio, con il Vescovo e con il Papa, dopo l'ascolto di quello personale e comunitario, costituirà un punto di riferimento perché l'intera comunità viva e testimoni l'unica e liberante signoria di Cristo Buon Pastore.
LIBERI DALLE COSE
PER POTER SERVIRE IL SIGNORE E I FRATELLI
Fin dalle origini la Chiesa ha sentito la necessità di provvedere al sostentamento di coloro che Gesù ha chiamato a divenire gli "operai" del Vangelo.Come l'Apostolo ricorda con chiarezza: "il Signoreha disposto che quelli che annunziano il vangelo vivano del vangelo" (1 Cor 9,14). Dobbiamo essere grati al Signore e alla comunità cristiana che oggi ci assicurano il sostegno economico e le garanzie di previdenza sociale necessari per dedicarci con sguardo gratuito, con libertà evangelica e serena fiducia al nostro ministero pastorale.
Le consegne missionarie rivolte da Gesù agli Apostoli, però rimangono per noi un forte richiamo a verificare il nostro rapporto con le cose e i beni materiali, sia quelli che ci derivano dal ministero che quelli personali, di cui possiamo e dobbiamo servirci amministrandoli in maniera onesta e previdente, ma rendendo trasparente l'assoluta gratuità del nostro agire e la beatitudine dei "poveri in spirito". Qui è in gioco non soltanto la nostra perfezione o esemplarità morale, ma anche e soprattutto la credibilità stessa del nostro annuncio.
Ne consegue la necessità di vivere come cristiani liberi dal denaro e da ogni altro interesse umano di successo, amanti della semplicità e della essenzialità, fiduciosi nella Provvidenza e generosi nellacondivisione, serenamente impegnati anche quandosperimentiamo qualche precarietà di mezzi, di riuscita e di salute, attenti ai peccatori, ai poveri e solidali con loro.
La nostra peculiare via di assimilazione a Gesù, "che da ricco si fece povero per arricchirci con al sua povertà" (2 Cor 8,9), è quella indicataci dall'Apostolo: farci "tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno" (1Cor 9,22), il che richiede il coraggio di liberarci da quanto può ostacolare la nostra missione, confortati dalla promessa di Gesùche ci garantisce "cento volte tanto di beatitudine" pur fra tribolazioni, per porre le nostre risorse a servizio della Chiesa e della sua missione con uno sguardo totalmente gratuito, liberi da motivazioni di sesso, di possesso, di successo.
CCHIAMATI AD ESSERE "DONO"
PER OGNI FRATELLO
Il primo passo consiste nell'accoglienza piena e cordiale di ogni persona concreta, comunque ridotta,che non abbiamo scelto ma ci è stata affidata, manifestando spirito di adattamento, di magnanimità, di affetto s8incero e una dedizione – almeno intenzionalmente – irreversibile, pur con la disponibilità ai distacchi richiesti dalle esigenze complessive della diocesi.
A questa accoglienza andranno uniti l'esempio di uno stile sobrio e dignitoso, paziente e pieno di speranza in tutta al nostra vita; la diligenza manifestata nella cura e manutenzione degli ambienti parrocchiali, a cominciare dalla Chiesa o dalle chiese; l'amministrazione corretta e trasparente dei beni materiali della comunità, evitando ogni confusione tra i nostri beni personali o di famiglia e quelli parrocchiali, coinvolgendo laici esperti nel Consiglio per gli affari economici e portando a conoscenza del Consiglio pastorale parrocchiale il bilancio annuale.
Così facendo promuoveremo nella comunità quel senso di appartenenza e corresponsabilità, che, se autentico, non può non manifestarsi anche nel generoso sostegno economico alle attività apostoliche e caritative della comunità stessa.
Nelle varie iniziative è bene impegnare i mezzi più adeguati e dar vita a strutture specifiche. Vigileremo, tuttavia, perché non si inneschi in noi e nella comunità una mentalità efficientista o puramente assistenziale, che farebbe perdere di vita il primato dell'evangelizzazione e dei mezzi poveri della grazia di Cristo e attenuerebbe quell'attenzione alle persone concrete e quello stile di condivisione, che caratterizzano l'amore di Cristo in noi.
In questa prospettiva acquista un valore particolare l'attenzione ai piccoli e ai sofferenti, agli ammalati e agli anziani, ai lontani e ai poveri nelle più svariate situazioni di bisogno. Essi, soprattutto i peccatori e i poveri che appartengono alla Chiesa, costituiscono un appello continuo che la presenza di Gesù crocifisso e risorto ci rivolge fino al suo ritorno visibile (Mc 14,7), perché a contatto con loro scopriamo la nostra stessa radicale povertà, e perché riconoscendolo e servendolo in loro (Mt 25,31-46) possiamo almeno un po' ricambiarlo del suo amore senza misura.
La carità totalmente disinteressata verso i peccatori, i piccoli e i poveri, attenta ai loro bisogni materiali e ancor più alla loro sete di verità e di speranza, fa risplendere nel mondo l'amore paterno e provvidente di Dio ed ha il potere, sotto la guida dello Spirito, di aprire i cuori nell'accoglienza del Vangelo. Questi atteggiamenti fraterni, non solo rendono visibile l'avvento del Regno di Dio, ma diventano una grande scuola di conversione e di autenticità cristiana, sia per noi che per le nostre comunità.
Il nostro desiderio, il tentare e ritentare di lasciarci assimilare a Gesù povero, non affidandoci a sicurezze puramente umane, materiali, politiche o psicologiche, è radicato in un abbandono fiducioso nelle mani del Padre e sostenuto da una vita di comunione tra presbiteri all'interno dell'unica comunità diocesana.
Il nostro desiderio, il tentare e ritentare di lasciarci assimilare a Gesù povero, non affidandoci a sicurezze puramente umane, materiali, politiche o psicologiche, è radicato in un abbandono fiducioso nelle mani del Padre e sostenuto da una vita di comunione tra presbiteri all'interno dell'unica comunità diocesana.
Si tratta di far crescere rapporti fraterni di vera condivisione e gratitudine nelle comunità e un autentico spirito di famiglia nel presbiterio, in modo da affrontare serenamente e insieme le difficoltà, cominciando dalla premurosa e concreta attenzione alle situazioni e ai bisogni dei preti delle parrocchie visine, soprattutto se ammalati e anziani.
Nello stesso spirito si collocano la vicinanza e il sostegno economico al seminario in cui coinvolgere le nostre stesse comunità come espressione di riconoscenza per quanto si è ricevuto e di sollecitudine per la formazione dei futuri presbiteri.
Al fine di evitare confusioni e dolorose tensioni è inoltre opportuno redigere al più presto il testamento, da depositare in curia o presso una persona fidata. Quanto sarebbe opportuno lasciare in favore della Chiesa almeno i beni legati al nostro ministero! Una scelta questa, che ci permetterebbe di dare testimonianza del nostro spirito di pastori anche con quest'ultima parola…"Fu un uomo totalmente dedito alla sua comunità e forse già pronto per la vita eterna".
CONSACRATI NELLA CASTITA
COME GESU
Come presbiteri abbiamo coscienza di ripresentare sacramentalmente il "mistero grande" dell'alleanza nuziale di Cristo crocifisso e risorto con il suo popolo-sposa cioè la Chiesa. Con la scelta di uno sguardo totalmente gratuito, cioè libero dalalricerca del possesso e del successo, ma anche del sesso, cioè col celibato, abbiamo accolto la chiamata a condividere, puntando all'autocontrollo dell'istinto genitale con tutti (castità perfetta) la totale donazione che Gesù ha fatto di sé all'umanità, non solo nell'esercizio del ministero, ma anche nel suo stato di vita verginale.
Il celibato apostolico si radica tuttavia sul carisma della verginità consacrata, in qunato esperienza di un amore senza misura di Cristo e preannuncio delle nozze eterne. Non si può presumere di farsi soggetto della carità pastorale di Cristo, ripresentazione sacramentale della sua presenza, se non si è accesa nell'animo e non si alimenta continuamente la volontà di aderire senza riserve a Lui e di diventare con Lui "una carne sola".
Gesù casto non era un uomo duro, al contrario amava con tenerezza infinita, soprattutto i bambini: sapeva capirli e attrarli a sé. Aveva un forte senso dell'amicizia con tutti i discepoli, in particolare con Pietro, Giacomo e Giovanni e, tra questi, soprattutto con Giovanni.
Anche il rapporto con le donne lo ha vissuto talvolta con amicizia, sempre con profondo equilibrio e con grande finezza: quelle che lo seguivano assistendo il gruppo apostolico, le sorelle Marta e Maria, la vedova di Naim, la donna samaritana, Maria DI Magdala, la donna adultera. Gesù amava profondamente il suo popolo. Si sentiva così ebreo che il pensiero della distruzione di Gerusalemme lo commosse fino al pianto.
Proprio perché casto Gesù è attento a tutti i particolari della vita, alle piccole cose, facendonedelle parabole, delle immagini, perché fosse colto e accolto il darsi definitivo di Dio che salva attraverso Lui. Anche una prostituta riesce a stargli vicino senza alcun turbamento: Gesù non si scompone, ma la porta a liberarsi da quella schiavitù e a lasciarsi assimilare a Lui.
Il nostro celibato, realizzando una particolare forma dell'originario significato sponsale di relazione tra l'uomo e la donna, non è per noi una solitudine che ci priva delle relazioni umane, ma è una forza che ci apre alla carità e fecondità pastorale in una ricca e profonda trama di relazioni di tenerezza in cui diamo e riceviamo amore, diamo e riceviamo gioia.
Il sentirci amati da Cristo ci riempie il cuore e l'anima fino a farci desiderare di ricambiarlo con un amore totale e di amare tutti gratuitamente, con cuore puro e, insieme con una specie di "gelosia divina" (2 Cor 11,2), con una dedizione forte ma anche piena di tenerezza (1 Ts 2,7-12), pronti a farci carico dei "dolori del parto" finché "non sia formato Cristo in tutti" (Gal 4,19).
Per ravvivare questa nostra dedizione è necessario saper percepire con gli occhi della fede, cioè gli occhi della presenza di Cristo crocifisso e risorto diventati i nostri, la bellezza della Chiesa in ogni momento storico (anche dimenticato, trascurato, abbandonato, perfino tradito, Lui Sposo non la dimentica, non la trascura, non l'abbandona, non la tradisce) e tentare e ritentare ogni giorno di amare gli uomini, che Dio ama comunque ridotti, con l'animo del Signore Gesù che vuole salvare tutti.
Tale dedizione genera impegnativi rapporti fraterni e paterni insieme, e promuove il costituirsi di autentici vissuti fraterni di comunione ecclesiale autorevolmente guidata. Occorre quindi vigilare sulla tentazione di isolarsi per sfuggire alla fatica e al rischio di relazioni aperte e mature con le persone, trincerandosi dietro visioni spiritualistiche e autoritarie del ministero. Come occorre vigilare sulla tentazione opposta, quella di lasciarsi confiscare da rapporti singoli gonfiati o con gruppi ritenuti più promettenti e rassicuranti.
La comunità ecclesiale a cui il Vescovo ci invia, nella semplicità della sua identità e della sua storia, aperta a tutti e oggi immerse anche in un mondo secolarizzato, non è per noi quel numero ristretto di persone che resta dopo una relazione operata magari in base al criterio della simpatia, ma è la totalità delle persone che ci sono state affidate e che diventano per noi casa e vera famiglia.
È chiaro che per custodire il nostro celibato in un clima di sereno equilibrio cioèe di spirituale progresso occorrono fede, assiduità con la presenza del Signore, dedizione convinta e generosa nel ministero, temperanza, esercizio ascetico, custodia del cuore, ma anche rapporti interpersonali sentiti, sia di tipo pastorale che amicale.
Come preti, con l'aiuto della grazia, noi puntiamo all'autocontrollo totale della genitalità, non legarci in relazioni affettive esclusive, cioè a una vita affettiva totalmente gratuita. Un ruolo importante lo svolgono vissuti fraterni e di amicizie presbiterali, che possono tradursi anche in qualche forma di vita comune flessibile e adatta alle varie sensibilità e necessità pastorali.
Certamente non si può andare contro dati elementari della psiche e del cuore umano e giocare col celibato al di là delle proprie forze. Chi manca di una sufficiente igiene spirituale rischia molto ed è un illuso se pensa di riuscire a vivere con gioia e fedeltà come "eunuco" per il regno dei cieli.
La prudenza è necessaria nei rapporti con le persone la cui eccessiva familiarità può mettere in pericolo la nostra castità o suscitare scandalo nei fedeli; ma comporta anche l'attenzione a discernere attentamente luoghi, spettacoli, mezzi di comunicazione, letture che possono creare un pericoloso appesantimento del nostro cuore.
Il Signore ha dato al nostro cuore di persone sole, che vivono con Dio solo, un'abbondanza tale di relazioni gratuite, una famiglia così grande e così bisognosa di attenzioni da farci tremare per una paternità spirituale he non riusciamo mai a realizzare pienamente. Tuttavia, nella nostra dedizione pastorale, non possiamo rinunciare a una giusta razionalità conforme a castità e diversa dei rapporti matrimoniali, che richiede un attento discernimento delle richieste delle persone, l'individuazione di sagge e corrette priorità ministeriali e una realistica coscienza dei limiti delle nostre forze.
Questo deve tradursi anche nella struttura delle nostre case canoniche, che debbono essere spazio accogliente per i parrocchiani e per colloqui anche personali con loro, ma debbono garantire anche il nostro spazio necessario per la riflessione, lo studio, lo starsene soli con la presenza del Signore e per il giusto riposo.
E questo non solo per esigenze facilmente comprensibili, ma anche pe ril mistero della vocazione alla "rappresentanza sacramentale di Cristo" nella Chiesa e di fronte alla Chiesa, che assimilandoci a Cristo, Sposo del suo popolo-sposa, ci rende insieme uomini della "beata solitudo", una solitudine riempita dalla presenza di Cristo che desidera "abitare" in noi, e uomini di comunione, una comunione con le persone i cui volti non possono non rimandare a Lui e che siamo chiamati a far "abitare" nel nostro cuore.
La nostra solitudine di celibi consacrati rischia oggi di essere in un certo senso raddoppiata e disorientata da un'altra solitudine: la solitudine della nostra condizione di credenti. Infatti, noi, assieme ai nostri fratelli di fede e talvolta anche dentro le nostre comunità, possiamo correre il rischio di sentirci isolati, spaesati, come fuori dalla storia, in un mondo secolarizzato in cui la fede sembra irrilevante, senza più spazi pubblici. A lungo andare questo, se non siamo sostenuti da una fede viva e dalla meta ultraterrena, può farci apparire insopportabilmente inutili e privo di senso il nostro impegno nel celibato.
Eppure, la solitudine che può nascere dall'incomprensione verso il nostro stato di vita, se accettata e non subita passivamente, da tentazione si trasforma in un formidabile luogo di contatto con Dio, in cui riscoprire che la fede è anche umanamente grazia, che la grazia è dono di vero amore, che questo dono di amore genera pace per la gioia che si prova nel sapersi votati con Cristo alla missione di redenzione, grazia che ci rende in Lui, Figlio di Dio e Figlio dell'uomo, solitari e solidali, inestricabilmente uniti a Dio e ad ogni uomodell'umanità intera, come Santa Teresa di Gesù Bambino che dalla sua cella si sentiva ed era pienamente missioonaria.
La solitudine della fede diventa così una sorta di sacramento per il mondo: una delle più profonde fenditure che, attraverso i credenti anche pochi, permette al Signore e alla sua necessaria redenzione di penetrare lentamente la terra. E per noi diventa occasione di una più grande intimità con la presenza di Cristo e con il mistero profondo della Chiesa, che ci spinge a un'accoglienza paterna più dilatata e a una intercessione che rende la nostra preghiera ancora più appassionatamente abitata dalla memori a dei fratelli con Maria.
Commenti
Posta un commento