Meditazione del Vescovo alla Corona
Intervento del Vescovo Domenico Santuario della Madonna della Corona: Pescatori e non soltanto pastori (Mc 1,16-20)
Giovedì 6 giugno 2024
Rileggere il senso della visita di papa Francesco a Verona e, in filigrana, il cammino che stiamo vivendo è lo scopo di questa meditazione. Essa trae spunto dalla medesima pagina di Marco da cui eravamo partiti (ricordate?) nell'ottobre scorso. In tal modo diamo seguito alla lettera pastorale "Sul silenzio", nel quale è insito un meraviglioso potere di osservazione, di chiarificazione, di concentrazione sulle cose essenziali (pag. 9). Papa Francesco si è introdotto con queste parole: "All'inizio del suo ministero in Galilea, Gesù passa lungo la riva del lago e posa il suo sguardo su una barca e su due coppie di fratelli pescatori, i primi che gettano le reti e gli altri che le rassettano. Si avvicina e li chiama a seguirlo (cfr Mt 4,18-22; Mc 1,16-20)". Sotto la volta a carena di san Zeno il papa ha valorizzato l'immagine della barca (della nave) e quella del pescatore, alludendo al nostro patrono, colto nell'atto di pescare nell'Adige. A dire il vero, la parola 'pescatore' è quasi assente nel Primo Testamento dove vi compare solo tre volte, in contesti poco significativi ed occasionali. Maggior rilievo assume nel Nuovo Testamento, proprio per il fatto che alcuni apostoli esercitavano questo mestiere prima di seguire Gesù. In ogni caso, il termine non può certo reggere il paragone con quello di 'pastore', che anche nel contesto della cultura greca era una delle metafore preferite per designare il sovrano saggio e, addirittura, Dio stesso. Per contro nella rivelazione cristiana Dio non si definisce mai 'pescatore', e nemmeno Gesù. Eppure, considerando le quattro scene nelle quali alcuni apostoli appaiono nell'atto di pescare, è possibile cogliere alcune dimensioni fondamentali del ministero. Le quattro scene, una per ciascuno dei Vangeli, hanno alla base probabilmente solo due episodi: una chiamata di Gesù ai primi discepoli e un'apparizione del Risorto ad alcuni di loro. Mc 1,16-20 e Mt 4,16-22 sono perfettamente sinottici e raccontano che Gesù, passando lungo il mare di Galilea, chiama successivamente due coppie di fratelli pescatori: Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni. Lc 5,1-11 e Gv 21,1-14, invece, presentano l'episodio della pesca miracolosa ma in maniera piuttosto diversa: per Lc la scena si svolge all'inizio del ministero di Gesù e coincide, in parallelo con Mc 1 e Mt 4, con la chiamata dei primi discepoli (compresa l'espressione 'pescatore di uomini'); in Giovanni, al contrario, la scena si svolge dopo la risurrezione di Gesù ed è una delle sue apparizioni. La chiamata dei primi apostoli è segnata da almeno due tratti che danno a pensare. Un primo aspetto della vocazione apostolica sottolineato da Mc e Mt è l'ordinarietà. Gesù li chiama "mentre camminava", mentre essi "gettavano la rete in mare" e "riassettavano le reti". Tutta la scena è connotata da gesti ordinari. Il Signore non ha bisogno di creare uno spazio sacro per chiamare; non va a cercare i primi apostoli nella vicina sinagoga né tantomeno al Tempio di Gerusalemme; li prende dal luogo di lavoro quotidiano (il mare di Galilea), mentre compiono i comuni gesti di ogni giorno. Ma è soprattutto un altro aspetto che qui viene sottolineato, con l'espressione "pescatori di uomini" (Mt. Mc e Lc): la vocazione non è per mortificare ma per riempire l'umano. Gesù ha davanti dei pescatori, e non pensa di stravolgerne la natura; non promette qui, come dirà più avanti, di farli "pastori" o "operai" per la messe di Dio. No: sono pescatori, e Gesù li prende così: promette di elevare la natura, non di cancellarla. La loro umanità verrà posta a servizio del Regno, non annichilita e frustrata. Un secondo aspetto della metafora del pescatore è che essa, diversamente da quella del pastore, è essenzialmente 'comunitaria'. Con buona pace di san Zeno, non si andava a pescare con la canna, ma con la rete; e perciò ci si andava assieme, perché la rete si doveva gettare e tirare a riva in più persone, e la sua stessa lavatura e sistemazione dopo la pesca era impossibile ad uno solo. Mc e Mt presentano i primi apostoli che lavorano in coppia, a cui si aggiungono anche Zebedeo e i garzoni (questi ultimi in Mc); Lc parla inizialmente della "barca che era di Simone", ma poi alla fine dell'episodio saltano fuori altri "che erano insieme con lui per la pesca" e inoltre due "soci di Simone", Giacomo e Giovanni; nell'episodio giovanneo i discepoli menzionati sono sette, e tutti impegnati nella pesca. Gli apostoli sono stati chiamati non per essere degli "eroi solitari", ma per fare parte di una comunità. Forse è sempre stato vero, ma oggi - grazie a Dio - sta diventando coscienza comune dei cristiani e dei preti: è insieme che si cammina dietro a Cristo. Se un prete stringe relazioni significative con i laici e specialmente con alcuni confratelli, oltre che con il vescovo, può affrontare gli ostacoli del cammino: le delusioni pastorali, le aridità spirituali, le difficoltà affettive. Ma se cammina da solo, basterà poco per fermarsi. Si parla oggi delle quattro vicinanze del prete: quella con Dio, con il vescovo, con i confratelli, con la gente. La relazione è così importante, che quando è carente o malata porta alla crisi. Papa Francesco, dopo la chiamata ha evidenziato la missione che ne scaturisce, con queste parole: "Quando questa esperienza di ricordare la prima chiamata è ben radicata in noi, allora possiamo essere audaci nella missione da compiere. E penso 2 ancora al mare di Galilea, stavolta dopo la risurrezione di Gesù. Egli, sulla riva di quello stesso lago, incontra nuovamente i discepoli e li trova delusi, amareggiati da un senso di sconfitta, perché erano usciti a pescare "ma quella notte non avevano preso nulla (cfr. Gv 21,3)". Viviamo anche noi un senso di sconfitta e di fallimento che aumenta la delusione e qualche volta la contrapposizione. A pensarci, però, è questa la storia di sempre. Non soltanto di questo ultimo tornante che in effetti ha cambiato i connotati alla nostra cultura diffusa. Mi colpisce quel che scriveva già negli anni '50 del secolo scorso d. Primo Mazzolari che viveva non molto distante da noi nella sua Bozzolo. "La crisi della parrocchia è un fatto avvertito anche in quelle zone ove la tradizione è tuttora viva. In quelle depresse, poi, che sono moltissime, la parrocchia è poco più di una memoria, cui è legato un breve ripetersi di riti occasionali, senza o con scarsissima influenza sull'educazione e l'elevazione dell'animo e del costume, che seguono ormai indicazioni prettamente materialistiche…. Nella festa patronale d'un paese, nella sagra più o meno mondana d'una città, fra una luminaria e una fiera, fra gli uragani dei mortaretti e gli inviti delle bancarelle, un'aliquota sufficiente a riempire la parrocchia durante la Messa cantata forse si trova. Ma in quale proporzione rimane sempre tale aliquota con la folla che sganascia, canta, rumoreggia, s'annoia fuori?" (ID, La parrocchia, 8, 1958). E ancora. "Il povero prete della parrocchia – non quello di parata – ha spesso l'impressione che la sua fatica non prenda più. Nessuna comprensione, nessuna risposta, nessuna reazione. La distanza aumenta; la solitudine intorno alla parrocchia, nonostante il moltiplicarsi delle iniziative, aumenta. C'è nel popolo una resistenza silenziosa. Di quanta fede ha bisogno questo povero parroco per resistere alla tentazione di scappare in convento o di rimanere con gli occhi e il cuore chiusi!" (ID, idem, 18). E, infine: "La parrocchia è costituita dal cuore e dalla casa del parroco, dalla chiesa di pietra, dal cuore e dalla casa dei parrocchiani". Occorre ripartire da questi luoghi per reagire alla sensazione di essere cercati non in quanto preti, ma in quanto potenziali aiuti per risolvere alcuni bisogni materiali e anche immateriali. La passione oggi di un pastore, cioè quel che lo tocca, lo ferisce, lo deprime, anzi lo delude, è questo uso strumentale che fa sbottare alcuni: "Non sono un babysitter né un assistente sociale!". Come appassionarci senza perdere il gusto e il sapore del vangelo e insieme senza separarsi dalla gente? Occorre accorciare le distanze tra la chiesa e la casa, affacciate sulla strada. Qui ci vengono incontro alcune azioni puntuali che possono aiutare ad azzerare le distanze. La prima è l'ascolto delle persone nella forma dell'ascolto personale, del discernimento, della coscienza, della riconciliazione personale. In questo modo la strada entra dentro la casa del prete. Una seconda è la visita alle famiglie. Ancora una volta si descrive un percorso che va dalla casa e dalla chiesa verso l'abitazione della gente. La 3 cura dei poveri infine porta la polvere della strada nella casa del prete, spesso suonando al campanello nelle ore più impensate. E la casa del prete sobria, intima, accogliente si lascia abitare. Papa Francesco non ha dissimulato la crisi che stiamo attraversando ma le ha dato una prospettiva con queste parole: "Avanti, coraggio! A noi il compito di accogliere la chiamata e di essere audaci nella missione. Come diceva un vostro grande santo, Daniele Comboni: «Santi e capaci. […] L'uno senza dell'altro val poco per chi batte la carriera apostolica. Il missionario e la missionaria non possono andar soli in paradiso. Soli andranno all'inferno. Il missionario e la missionaria devono andare in paradiso accompagnati dalle anime salvate. Dunque, primo: santi, […] ma non basta: ci vuole carità» (Scritti, 6655), ambedue le cose. Questo auguro a voi e alle vostre comunità: una "santità capace", una fede viva che con carità audace semini il Regno di Dio in ogni situazione della vita quotidiana". Il riconoscimento del prete veronese "santo e capace", dunque non solo faticone, ma anche spirituale aiuta a decifrare meglio il nostro agire pastorale sotto una doppia luce. Per un verso confermare questa attitudine concreta all'agire e al proporre che porta tanti a stare sempre in via di programmazione. Per un altro verso la necessità di ancorare tutta questa movimentazione in una capacità di ascolto e di ricerca di Dio che giustifica e dà senso alla nostra vita e a quella di coloro che incontriamo sul nostro cammino. La gente cerca sia pure in modo distorto e confuso una qualche risposta alla sua sete di assoluto che questo mondo piatto e scontato non offre. L'esempio di una serie di figure sociali come san Daniele Comboni, ma si potrebbe far riferimento a Gaspare Bertoni, a Nicola Mazza e poi a Maddalena di Canossa e santa Domenica Mantovani delineano una sensibilità spiccata per l'azione e per la vita cristiana. In tale contesto, cioè nell'orizzonte di una "santità capace", si è definito in che consiste propriamente "riassettare le reti"1. All'interno dei diversi cantieri dell'anno sapienziale si è scelto di concentrarsi su quello dell'alleggerimento delle strutture e dei servizi. Il cammino è stato creativo perché rispetto a quanto condiviso ad ottobre 2023 con la proposta di una ridefinizione della Curia si è giunti ad una più ampia rivisitazione 1In Mt 4,18-22 al V. 21 e in Mc 1,60-20 al v. 19. Si usa il verbo greco "Katartizo": riparare, aggiustare, per dire di "riparare le reti". Potevano scucirsi e si doveva riannodarle. In un piccolo museo del lago di Tiberiade sono conservate delle spine di pesce che fungevano da aghi, per ricucire le reti spezzate. In Lc 5,1-11, al v. 2 Si usa il verbo "pluno" nel senso di "mettere a lavare". Le reti andavano lavate perché le acque del mare di Tiberiade avevano un minimo grado di salinità e si dovevano lavare le reti in acqua pulita e corrente, Le espressioni fanno parte delle azioni della manutenzione delle reti: ricucire e lavare. La traduzione del 1974 aveva utilizzato "riassettare", nel caso di Mt 4,21 e Mc 1,19 Dove è stato corretto nel 2008 con il più preciso riparare (ricucire). 4 della vita della chiesa diocesana, valorizzando l'apporto dei diversi momenti di confronto. Questo esercizio di discernimento si è concretizzato in più di 100 appuntamenti (!) che hanno avuto il merito di definire l'identità di una chiesa consapevole della chiamata e della missione. Si sono così individuati due luoghi o tempi di ascolto e due luoghi o tempi di scelta. Nel primo caso si fa riferimento al Consiglio Pastorale Diocesano e al Consiglio Presbiterale Diocesano, entrambi peraltro da rinnovare nei rispettivi membri entro la prima domenica di Avvento. Nel secondo caso ci si riferisce al Collegio dei Vicari e alla Curia diocesana, articolata nei suoi diversi servizi. La definizione di questi differenti contesti di ascolto e di scelta è stata resa possibile da una revisione dei rispettivi Statuti per andare nella direzione di un lavoro concreto, agile, condiviso. In una prossima occasione avrò modo per iscritto di rendere partecipi tutti di questa opera di rimessa a punto degli organismi di partecipazione e di quelli di servizio per rendere le reti della pesca sempre più lavate e ricucite, cioè senza che trascinino con sé le scorie del passato e lascino venir fuori smagliature e strappi alla comunione. Ringrazio d. Ezio Falavegna e il suo gruppo di lavoro, composto da Giovanna Ghirlanda, Andrea Accordini, madre Luisa Silini, fratel Enzo Biemmi, d. Francesco Grazian per il lavoro svolto che mi hanno consegnato lo scorso 30 aprile. Rispetto al Consiglio Pastorale Diocesano molto se non tutto dipenderà dalla qualità dei suoi membri e dalla maniera di organizzare il lavoro in modo che sia ben pensato e possibilmente condiviso. Quanto al Consiglio Presbiterale anche qui sarà dirimente la scelta dei suoi membri come frutto di una elezione che per la gran parte è lasciata nelle mani dei singoli presbiteri. Quindi rispetto al Collegio dei Vicari, attesi i loro compiti di accompagnamento, di coordinamento e di orientamento, si immagina questo come lo spazio o il tempo per elaborare collegialmente col vescovo indicazioni e norme per tutti. Infine, la Curia ripensata attorno a tre ambiti che sono l'Annuncio e la Prossimità, con la serie dei Servizi, farà sì che ci sia da parte della chiesa locale un sopporto di idee e di proposte per le singole realtà parrocchiali ed ecclesiali. Lo spirito del "riassettare le reti" è quello enunciato sin dall'inizio che mira non a stravolgere, ma a rivelare la fisonomia di una chiesa che è caratterizzata dalla missione cioè al di là di sé stessa, in una modalità sinodale così da esprimere chiaramente la diaconia, cioè un servizio reso a tutti sia nell'ordine della fede che della carità, così da sorreggere la speranza oggi sempre più difficile. Resta da definire una cura particolare per le diverse componenti del popolo di Dio, a partire dal presbiterio e dal collegio dei diaconi. A tal riguardo posso anticipare che è 5 opinione condivisa quella di mettere in campo per l'immediato futuro una "Due giorni" del clero o se si preferisce una Assemblea del clero, da collocare poco prima dell'inizio dell'Anno pastorale (settembre/ottobre) per creare un momento qualificato, prolungato, pensato di confronto tra tutti. In secondo luogo è importante curare la formazione permanente di tutti, tenendo conto della specificità degli archi di età. Se le congreghe che vanno meglio definite nei loro obiettivi e nei loro metodi restano l'appuntamento per ogni vicariato di vivere l'appartenenza ad un territorio, occorre poi inventare momenti particolari archi di età. Non soltanto il Giberti può raccogliere quelli più giovani, ma anche altri tempi e momenti favorevoli possono educare i preti e i diaconi in rapporto alle diverse stagioni della vita. Da ultimo, ma non per ultimo, occorre immaginare di tornare ad una forma di Convegno Ecclesiale, o se si vuole di Incontro Pastorale che consenta a tutto il popolo di Dio di ritrovarsi insieme per mettere a punto annualmente il percorso che si sta compiendo. "Papa Francesco, al termine, ha formulato un ultimo invito, con queste parole: "L'audacia di una fede operosa nella carità, voi l'avete ereditata dalla vostra storia. E allora vorrei dirvi con San Paolo: «Non lasciatevi scoraggiare nel fare il bene» (2 Ts 3,13). Non cedete allo scoraggiamento: siate audaci nella missione, sappiate ancora oggi essere una Chiesa che si fa prossima, che si avvicina ai crocicchi delle strade, che cura le ferite, che testimonia la misericordia di Dio. È in questo modo che la barca del Signore, in mezzo alle tempeste del mondo, può portare in salvo tanti che altrimenti rischiano di naufragare". Ho percepito in quest'ultimo invito a "farsi prossimi" invece di scoraggiarsi uno stile che di quella straordinaria giornata, alla vigilia della Pentecoste, lo scorso 18 maggio, è stato forse il segreto. Il senso di gioia, di armonia e di festa che tutti hanno percepito è stato "il saluto" tra il papa e la gente. Un saluto ininterrotto, dall'alba al tardo pomeriggio, fatto di sguardi e di occhi lucidi, di voci che inneggiavano a "Francesco", di invocazioni e reciprocamente intessuto di occhi sorridenti, di mani tenere e di parole incoraggianti. Vien da chiedersi: cosa può un saluto? Quanto può un saluto? Eppure a ben guardare il saluto è il primo passo dell'evangelizzazione, dell'annuncio: "In qualunque casa entriate prima dite: pace a questa casa" (Lc 10,5). Gesù chiede di salutare, e di salutare per primi, come fece sua madre, entrando nella casa di Zaccaria (Lc 1,40). Luca si sofferma su questo dettaglio che evidentemente non ritiene banale. Di fatti l'azione di Maria produce un effetto travolgente se è vero che "Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo" A che cosa devo che la madre del mio Signore venga a me?" (Lc 1,416 43). Il semplice saluto di Maria fa sussultare l'intero corpo di Elisabetta, fino a coinvolgere il suo stesso grembo, abitato dal Battista. A sua volta, il corpo di Giovanni risuona, saltando di gioia. Non solo: il saluto di Maria produce l'irruzione dello Spirito Santo nell'anziana cugina che viene a conoscenza della gravidanza della giovane cugina, definita "madre del mio Signore". Quanto vale un semplice saluto! Poco più di 11 anni fa, una piovosa sera di marzo, rimasi spiazzato dinanzi al papa appena eletto che affacciatosi dalla loggia, impacciato nei suoi abiti pontificali, seppur ridotti all'essenziale, se ne uscì dicendo: "Fratelli e sorelle" e dopo una pausa che sembrò lunghissima, quasi prendendo la rincorsa, esclamò: "Buonasera!" Un gesto semplice che improvvisamente rese quella piazza sterminata un solo abbraccio, ben oltre il colonnato del Bernini. Un esordio insolito; in realtà non così nuovo. Come fa notare mons. G. Pagazzi nella sua prolusione al Dies academicus a Padova, lo scorso 13 marzo: "Una sera di circa duemila anni fa, un ebreo andò a trovare i suoi amici. Inatteso, arrivò in casa e salutò come tutti gli ebrei fanno: Shalom". Data l'ora, era come se avesse detto: "Una sera piena di pace!". "Buona sera" (Gv 20,19). Quell'ebreo era appena risorto dai morti. Eccome se era buona quella sera!". Riprendiamo, dunque, la storia secolare della chiesa di Verona, dopo la pausa tonificante della Pentecoste con papa Francesco, che diventerà un appuntamento fisso, quasi una sorta di festa della chiesa locale, per camminare, per costruire, per confessare. Per camminare nel nostro tempo, per costruire la pace, per confessare la fede in Gesù Cristo, figlio di Dio e figlio dell'uomo, unico Signore della nostra vita. Amen. 7
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