Nella liturgia natalizia tuffarsi nell'Amore di Dio

Joseph Ratzinger in "per Amore" da pag. 43 a p. 49

Tra gli usi più antichi della liturgia cristiana si annovera il piccolo gesto che si compie all'inizio della preparazione delle offerte: nel calice con il vino viene versata una piccola goccia d'acqua. In origine questo risale semplicemente all'antico uso dei popoli del Mediterraneo di non bere mai il vino senza mischiarlo con l'acqua. Così questa goccia d'acqua ci lega all'origine dell'Eucarestia: facciamo quello che ha fatto Gesù. Anche attraverso un segno così piccolo diviene evidente che l'Eucaristia non è una nostra invenzione e non è nella nostra disponibilità, ma è agire con ed essere con Gesù Cristo che ce l'ha donata. Con l'acqua è come se ritornassimo nel Cenacolo per fare quello che ha fatto il Signore. 

Nel corso della storia si è continuamente riflettuto su questo piccolo gesto. Ad esempio dall'XI secolo si iniziò a vedere in esso un'immagine del mistero del Natale, la preparazione natalizia, per così dire, di Croce e Risurrezione, che nell'Eucaristia divengono presenti in mezzo a noi. Il mescolare l'acqua con il vino sembrò un'interpretazione del grande mistero del quale parla il Natale: il diventare Dio e l'uomo una sola cosa; il mistero di Cristo, nel quale avviene il mirabile scambio: Dio assume la natura umana, in modo tale che l'umo possa prendere parte alla natura divina. La povera gocciolina d'acqua, che sprofonda nel vino forte e prelibato, appare come immagine del farsi uomo di Dio. L'uomo, povero essere, è assunto nell'oceano della divinità. L'uomo sta nel cuore di Dio.

In ogni messa si cominciò dunque ad accompagnare l'atto del mescolare l'acqua e il vino con una preghiera di Natale di Leone Magno, che nella Chiesa antica è stato il grande teologo della Festa del Natale. Così Betlemme, il momento del farsi uomo quale inizio del mistero di Cristo, fu posta al principio della vera e propria azione della Messa. E così avviene sino ai giorni nostri; anzi la riforma liturgia ha approfondito questa relazione. Infatti nella Messa di Natale abbiamo ripreso a recitare la preghiera di Leone Magno. Così il fatto di mescolare l'acqua e il vino è collegato in modo ancor più evidente che in passato con il contenuto del giorno di Natale.

Se ci soffermiamo con un po' di attenzione su questa preghiera, possiamo portare qualcosa dello splendore del Natale dentro la vita quotidiana e al contempo possiamo imparare a comprendere meglio la ragione più profonda della gioia che sentiamo a Natale. La preghiera dice così: "O Dio, che in modo mirabile ci hai creati e in modo più mirabile ci ha rinnovati e redenti, fa' che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana"

Cosa apprendiamo qui sul Natale? Anzitutto questo: che Natale è al contempo e in primo luogo una festa, una liturgia della gioia per la creazione. Dio ha "mirabilmente creato" l'uomo. Solo perché è così, egli può essere redento. Solo perché è creato mirabilmente, può assumere in sé l'intero universo e l'intero universo può portarlo. Dio non sarebbe potuto diventare un bambino, se nel bambino, se nell'uomo non ci fosse la capacità di Dio. Il messaggio della redenzione dell'uomo non è una condanna del mondo e della creazione, bensì la loro più forte affermazione. L'uomo è capace di redenzione, è capace di Dio, è "mirabilmente creato" Chi vede il cristianesimo solo come paura del peccato, come autocondanna dell'uomo, lo scambia con la sua rivale, la gnosi. "Lo spirito che dice sempre no" non è lo Spirito di Gesù Cristo. La creazione è mirabile; merita il nostro "sì", in noi stessi, nel prossimo, in tutto ciò che è creato. Il Natale vuole aprire il nostro cuore alla creazione; solo così esso si apre a Cristo. Cerchiamo di riscoprire la bellezza, la speranza, la purezza e la grandezza dei bambini! Oggi c'è un numero paurosamente alto di bambini che non sono felici della loro vita perché sentono che non sono voluti, che sono percepiti come seccatori, che per la loro libertà, che si contrappone alla nostra, non c'è più spazio in un tempo in cui vogliamo solo ciò che è regolabile, ciò che obbedisce totalmente ai nostri desideri. "Mirabilmente creato": accogliere queste parole significa rispetto per la creazione. Ci è stata affidata, non per depredarla a piacimento, ma per custodirla. Il termine colere, dal quale deriva "cultura", originariamente significa il rapporto dell'uomo con la terra, con gli avi e con il divino.  Il cristianesimo ha dovuto operare delle distinzioni a questo livello, ma resta il fatto che senza rispetto per la terra, senza rispetto per la creazione non c'è alcuna autentica cultura.

Quel che ha mirabilmente creato. Dio l'ha "ancor più mirabilmente rinnovato". Come avviene questo rinnovamento dell'uomo che tutti oggi reclamano, per quanto contrastanti siano le diverse prospettive? Papa Leone Magno ha evidenziato soprattutto la grandiosità di questo rinnovamento. La Lettura e il Vangelo ci orientano nella medesima direzione. Dio, che già nella creazione ha compiuto l'audace passo di porre qualcosa fuori di sé, di porre in essere creature dotate esse stesse di spirito e libertà, compie ora un passo ulteriore, ancora più grande: egli supera il fossato che separa Creatore e creatura: diviene creatura egli stesso. E la creatura diventa Dio. Il sogno originario dell'uomo si compie: uscire da sé, superare ogni limite, essere a tu per tu con Dio, sprofondare nel mare del divino. Dobbiamo di nuovo riflettere su questa grandezza, di più, su ciò che è assolutamente entusiasmante dell'avvenimento del Natale. Il cristianesimo non è un circolo per signore, non è intrattenimento per il tempo libero, un'associazione di beneficenza o un programma politico alternativo. È qualcosa di più. Dio ci ha interpellato. Dio ci vuole. Se tralasciamo questo, il nostro cristianesimo diviene troppo modesto e l'umano troppo piccolo. La causa di tutte le disperazioni del presente in fin dei conti sta nel fatto che ci siamo disabituati anche soltanto a pensare Dio, e tanto meno a considerarlo come realtà. Si può rispondere solo con la rivolta, con il grido totalmente altro, pur sempre, però, comunque indirizzato al vuoto. Il   sollevare, soprattutto nella liturgia, lo sguardo a Dio, che agli uomini di oggi sembra cosa tanto inutile, non può essere eliminato dal Natale, non può essere eliminato dalla nostra vita. 

"Mirabilmente rinnovati": questo rinnovamento è mirabile anche in un altro senso per noi, perché è completamente diverso dalla nostra idea di rinnovamento. Dio non ha creato strutture infallibilmente efficienti. Dio non ha creato un mondo utopico che in anticipo ci toglie il peso dell'essere uomini, dotati di libero arbitrio e quindi capaci di amare e non amare. Egli si è rivolto a noi, e gli ci ama ed attende di essere amato. Egli si consegna a noi diventando un bambino. Che significa? Significa che Dio si appella alla nostra umiltà, alla nostra semplicità, al nostro amore. Proprio di questo bambino la Lettura di oggi dice che è irradiazione della gloria di Dio e impronta della sua sostanza. "Sostiene tutto con la sua parola potente" (Eb 1,3). Senza questo ritorno alla semplicità, all'umiltà, alla fiducia, alla bontà, alla fede, non c'è accesso a Dio. Se vogliamo diventare come lui, se vogliamo redenzione, dobbiamo assumere come misura quel bambino. Non è un caso che a giungere per primi alla grotta furono i pastori, solo dopo e molto più tardi i saggi Magi, e per niente affatto il re, i dotti, i "sapienti". Senza un'ultima disponibilità alla semplicità di cuore, al "sì" che si china e ama, non c'è redenzione. Da qui dovrebbe derivare        il nostro grande rispetto per tutti i semplici e i poveri di questo mondo. Sono più vicini a Dio dei potenti, dei colti, dei sapienti.

E così emerge un'ultima cosa. Nella liturgia del Natale tuffandosi nell'Amore di Dio ritorna di continuo la parola "tutti": "Tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro Dio (Salmo 98,3). I Padri della Chiesa ne hanno dato un'interpretazione molto profonda. Dicono: Dio è diventato uomo, dunque, solo se entriamo in quello che è comune a tutti della natura umana, ci troviamo dove divino e umano si toccano. Ciò significa che posso avere Cristo solo se desidero avere la comunione con tutti gli uomini. Non posso averlo contro gli altri. Posso incontrarlo solo se non mi rinchiudo in me stesso ma mi muovo verso il fondamento comune. E è essere autenticamente uomo solo se accolgo quel che è comune a tutti gli uomini. Per questo la Chiesa è parte della fede e non un'aggiunta esterna in più. Per questo il mistero di Cristo è "cattolico" nel senso più profondo, vale a dire è mistero onnicomprensivo. Per questo fa parte dell'essere cristiani l'accettazione assolutamente concreta dell'altro, il rifiuto di ogni orgoglio razziale e di ogni odio di classe. Per questo la colletta promossa da "Adveniat" non è appiccicata alla festa del Natale, magari per sfruttare un'atmosfera di particolare commozione; una cosa di questo genere – andare incontro agli altri, non solo a parole o con i sentimenti, ma con il nostro agire – è richiesta, invece, dalla natura stessa della festa del Natale. E per questo oggi vi prego di cuore di dare questo segno reale della nostra fraternità, del nostro "sì" a Cristo: "Tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro Dio" (Sal 98,3).

Ritorniamo ancora per un momento alla goccia d'acqua nel vino eucaristico! Essa rappresenta il fatto che l'uomo e Dio diventano una sola cosa in Cristo. Essa è però anche un'indicazione molto concreta per questo giorno: lasciamoci semplicemente sprofondare nell'abisso di Dio, tuffiamoci nel vino del suo amore!

Questo dovrebbe essere il Natale: distesa libertà che si lascia cadere dentro il suo messaggio, che si lascia pervadere dalla grazia di questa festa, e così trova la "grazia" e la "verità" (Gv 1,14.17) che ci dà "vita" (Gv 1,4).

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