Domenica IV di Pasqua

Io, don Gino Oliosi, per le omelie attingo liberamente da "Benedetto XVI Commenti ai Vangeli a cura di Mattia Pittau (edizioni Palumbi)" e dal biblista "Albert Vanhoye S.I. Le letture Bibliche delle domeniche Anno B (Edizioni ADP)"

In questa domenica le letture ci parlano ancora di risurrezione cioè del mistero pasquale di Gesù, cuore della nostra fede, della nostra speranza, del nostro amore, della vita nel mondo.

La prima lettura è l'inizio del discorso di Pietro dopo la guarigione dello storpio. I capi del popolo e gli anziani gli chiedono di rendere conto del miracolo avvenuto, perché vedono in esso qualche influsso diabolico negando Cristo risorto, presente, operante tramite il sacerdote. Per Pietro invece è l'occasione per rendere testimonianza alla risurrezione di Gesù, alla sua presenza di Buon Pastore attraverso di lui.

La seconda lettura ci parla della nostra figliolanza divina, nella povertà della nostra vita. Ci rivela il grande amore che il Padre, l'Amante divino, ci ha dato per essere chiamati figli di Dio e quindi fratelli e la speranza che abbiamo in Gesù, l'Amato attraverso lo Spirito Santo, l'Amore: la vita oltre la morte che celebreremo nell'Ascensione, dono della Pentecoste.

Il Vangelo è quello della presenza sacramentale e dell'azione del Buon Pastore attraverso i suoi ministri, ogni sacerdote attraverso il quale Lui è presente e agisce soprattutto nella Messa domenicale come "il buon pastore che offre la vita per le pecore" che vi partecipano fisicamente nella propria parrocchia perché non è sufficiente seguire con i social media cioè radio, televisione.

Tra Lui pastore e le pecore accade una relazione vivente, reciproca, profonda, molto forte: "Io sono il buon pastore – dice Gesù -, conosco personalmente le mie pecore e le mie pecore conoscono me".

Questa relazione reciproca è una partecipazione alla relazione trinitaria che c'è tra il Risorto e il Padre: "Conosco personalmente le mie pecore – dice Gesù – e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre nello Spirito Santo". La relazione che Gesù fa accadere nella Messa alm[DG1] eno della domenica è come un prolungamento della sua vita nella Santissima Trinità.

A motivo di questa relazione profonda, personale, piena di amore fino al perdono il buon pastore offre la sua vita divina per le sue pecore umane. Non fa come il mercenario, che non ha una relazione profonda con le pecore. Al mercenario infatti le pecore non appartengono; egli vede in esse soltanto il profitto che può trarne e, quando vede venire il lupo, non lo affronta, ma fugge e abbandona le pecore; il lupo allora le può rapire e disperdere. Come è importante renderci coscienti di questo amore gratuito di Buon Pastore per poterlo realizzare in famiglia tra marito e moglie, tra genitori e figli e quindi nella società.

Il mistero della Croce, attualizzato nella Messa almeno domenicale, sta al centro del servizio di Gesù quale pastore di ogni uomo: è il grande, necessario servizio che Egli risorto rende a tutti noi e senza del quale non c'è amore e quindi felicità già cento volte tanto in vita e tutto oltre la morte. Egli dona sé stesso, e non solo in un passato lontano. Nella sacra Eucaristia ogni giorno, soprattutto la domenica realizza questo, dona sé stesso mediante le mani del sacerdote, dona sé a noi, a ciascuno di noi se ne è consapevole e accogliente. Per questo, a buona ragione, al centro del ministero sacerdotale sta la sacra Eucaristia, sempre valida se celebrata come vuole la Chiesa anche da sacerdoti indegni, nella quale il sacrificio di Gesù sulla croce rimane continuamente presente in modo non sanguinante, realmente tra noi come unica possibilità di salvezza, di amore, di solidarietà. E a partire da ciò impariamo anche che cosa significa celebrare e partecipare all'Eucaristia sapendo e pensando cosa avviene: è un incontrare il Signore che per noi si spoglia della sua gloria divina, si lascia umiliare sanguinante fino alla morte in croce e così in continuità nell'azione umile di un uomo-prete si dona a ciascuno di noi. È molto importante per il sacerdote l'Eucaristia quotidiana, più volte la domenica, nella quale si espone sempre di nuovo a questo mistero senza del quale non si riesce nella vita temporale ed eterna; sempre di nuovo nella Messa pone sé stesso e chi vi partecipa nella mani di Dio sperimentando al contempo la gioia di sapere che Egli è presente, mi accoglie e mi perdona sempre di nuovo mi solleva e mi porta, mi dà la mano nel mio libero-arbitrio perché avvenga l'amore cioè la felicità. L'Eucaristia è divenuta per me, dopo 62 anni di sacerdozio, una scuola di vita, nella quale ho imparato a donare la vita. La vita non la si dona solo nel momento della morte e non soltanto nel modo del martirio. La doniamo ogni giorno anche in una casa di riposo e con i limiti di un'ernia al disco che non si può operare. Occorre imparare giorno per giorno che io non possiedo la mia vita per me stesso; a tenermi a disposizione per quella cosa per la quale Egli, il Signore, sul momento ha bisogno di me nella celebrazione, anche se altre cose mi sembrano più belle e più importanti. Donare la vita fino all'ultimo, non prenderla. È proprio così che facciamo l'esperienza della libertà e quindi dell'amore, della felicità anche tra limiti, tribolazioni e malattie. La libertà da noi stessi, la vastità dell'essere soprattutto sacerdoti fino alla fine. Proprio così la Regina dell'amore, la Madre del lungo cammino mi ha fatto utile, una persona di cui c'è bisogno nel mondo per incontrare Cristo e quindi una vita importante e bella. Solo chi punta a donare la propria vita con Cristo e in Cristo, la trova nel momento terminale.

 


 [DG1]O della domenica

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