Una morale fondata escusivamente sulla Bibbia
Una teologia morale completamentefondata sula Bibbia: In che misura interpreta e commenta autenticamente Gaudium et spes in linea con CastiConnubi?
Ho conseguito la Licenza in Teologia Dogmaticanel 1965 a Venegono con Mons. Carlo Colombo: entusiasta del Concilio Vaticano II con l'avvio di una teologia morale completamente fondata sulla Bibbia.
Mons. Giuseppe Carraro, inizialmente critico,guidando il decreto conciliare sulla formazione dei sacerdoti, Optatam totius n. 16, chiedeva una fondazione più biblica della teologia morale con queste parole: "Si ponga speciale cura nel perfezionare la teologia morale, in modo che la sua esposizione scientifica, più nutrita della dottrina della sacra Scrittura, illustri la grandezza dellavocazione dei fedeli in Cristo e il loro obbligo di apportare frutto nella carità per la vita del mondo".
Non era questa la teologia morale studiata, voluta da Mons. Carraro in teologia e all'inizio del Concilio con il cardinale Siri. Nelle ore di colloquio con Mons. Montini a Campodolcino, Chiavenna, non erad'accordo che si passasse dalle fonti della Rivelazione alla Rivelazione stessa, in cui nell'intreccio Scrittura e Tradizione si privilegi la Scrittura e il momento orale della trasmissione della Rivelazione – la Tradizione apostolica – fu visto in larga parte in funzione di quello scritto ispirato. Durante il Concilio si tacque il ruolo costitutivo della Traditio per la fede della Chiesa, privilegiando il suo ruolo sapienziale, interpretativo. La predicazione fu vista come preparatoria alle Sacre Scritture e le stesse Scritture come il momento della pienezza dellatrasmissione orale della Rivelazione. In tutto ciò giocò un ruolo importante l'evento ecumenico che si stava celebrando in particolare nel dialogo con il mondo protestante; ciò fino al punto di ritenere l'insufficienza materiale della Scrittura, dato di fede divina e unanime tra i teologi, almeno da Trento e dal Catechismo Romano in poi.
Il nuovo clima avvallato dalla Optatm totius e al mio vescovo mi resero difficile dati i punti forza con cui ero stato formato:
1.Una certa forma del pensiero giusnaturalistico, in cui la natura è vista come fonte normativa di conoscenza;
2. L'ancoraggio a una filosofia neoscolastica, specialmente nella sua metafisica che guarda all'essenza immutabile delle cose e al significato morale che vi risplende come un saldo, estremo punto di riferimento dell'argomentazione normativa;
3. La vicinanza al diritto canonico come modello esemplare per un linguaggio normativo nel quale concetti morali come legge, colpa, castigo, peccati gravi, lievi, ecc. si mutano in categorie di diritto;
4. la competenza sovrana del magistero in ambito morale come sicuro garante della giusta morale;
5. infine il pensiero barricato contro la corruttela dell'età moderna come humus socio-psicologico di una perseveranza sociale e culturae cattolica.
Questa teologia morale era piaciuta a mons.Montini ma con Bernard Haring "Viviamo in una dolorosa transizione da un'era costantiniana della 'chiesa dell'impero', dove le persone diventavano soggetti della Chiesa mediante la nascita e un'era di fede mediante una decisione libera e un impegno verso la comunità di fede come membri attivi e corresponsabili. Ma nel colloquio col prof Ratzingermi ricordo che nella corresponsabilità ci sono beni che sono indisponibili. Ci sono valori che non è mai lecito sacrificare. Dio è di più anche della sopravvivenza fisica. Una vita che fosse acquistata a prezzo del rinnegamento di Dio, della natura creata è una non vita e se ne va l'essenza stessa del cristianesimo.
Segretario dello Studio Teologico San Zeno dal 1967 al 1969 ricordo la prima causa della crisi della teologia morale la reazione all'interno della Chiesa anche veronese all'enciclica Humanae Vitae.
Per iniziare questo breve escursus, dobbiamo fare riferimento alla dottrina dei beni del matrimonio di matrice agostiniana, ripresa da S. Tommaso e fatta propria da Casti Connubi. "Tutti questi – dice Sant'Agostino – sono i beni per i quali le nozze sono buone: la prole, la fede, il Sacramento". Questi tre punti a giudizio di Pio XI contengono uno splendidocompendio di tutta la dottrina sul matrimonio cristiano. Fra questi tre beni, tuttavia, afferma Casti connubi, occupa il primo posto la prole. Il matrimonio è voluto dal Creatore e restaurato ed elevato dal Redentore per propagare la vita e per arricchire la Santa Chiesa di nuovi concittadini dei Santi e familiari di Dio (Ef 2,19). Al discorso sui beni si affianca e si intreccia quello sui fini del matrimonio (e sulle sue proprietà): quello primario, che è la prole, e quello secondario, che è il mutuo aiuto in relazione al bene della fedeltà (bona fidei) e il rimedio della concupiscenza in relazione al bene dell'indissolubilità (bona sacramenti), schema quest'ultimo diventato consueto dalla teologia di S. Isidoro di Siviglia in poi. Il CIC del 1917 privilegia la formulazione dei tre fini del matrimonio, primario e secondari (can. 1013,§ 1), facendo tesoro di una lunga tradizione scolastica e controversistica. A livello teologico la manualistica correva parallelamente a questa impostazione canonistica, impostando il discorso sui beni del matrimonio. Ciò su cui si attesta Casti Connubi.
Tuttavia non di rado venne rilevata una certa tensione, che si sviluppò dopo Casti Connubi, tra una visione del matrimonio quale "istituzione data per natura" e quella invece di "comunione delle persone" fondata sull'amore die coniugi. Questa tensione sarebbe stata provocata dal pensiero neoscolasticoche soggiace all'enciclica sul matrimonio di papa Ratti, quando di fatto la stessa enciclica afferma:
"Una tale vicendevole formazione interna dei coniugi, con l'assiduo impegno di perfezionarsi a vicenda, in un certo senso verissimo, come insegna il Catechismo romano [cap. VIII, q. 13], si può dire anche primaria causa e motivo del matrimonio, purché si intenda per matrimonio, non già nel senso stretto, l'istituzione ordinata alla retta procreazione ed educazione della prole, ma in senso più largo, la comunanza, l'uso e la società di tutta la vita".
Al sopraggiungere del Concilio Vaticano II, due sono di fatto le anime che si confrontano nellastesura di Gaudium et spes, L'una detta istituzionalista e l'altra personalista. La prima, forte della gerarchia dei fini del matrimonio, invocava il supporto costante della Sacra Scrittura, della Tradizione e del magistero; l'altra invece ancorata piuttosto alla centralità dell'amore coniugale,invitava a leggere i dati scritturistici e tradizionali in modo più ampio rispetto ai tre fini del matrimonio, chiedendo si inserisce anche l'amore e la sessualità nel disegno originario del Creatore, facendo scaturire da ciò le esigenze del matrimonio.
Intanto è opportuno notare che Pio XI nella Casti Connubi si richiama al Catechismo tridentino che già valorizzava l'amore al matrimonio. Per papa Ratti l'amore alla vita matrimoniale, che pervade tutti i compiti della vita coniugale, "tiene il primato della nobiltà". Per Casti Connubi non c'è di fatto un'opposizione tra natura e comunione delle persone, cioè tra aspetto naturale-sacramentale del matrimonio e dimensione comunione-personalista. Questa frattura invece, nata da una interpretazione piuttosto assoluta dell'amore, sarà accresciuta da una ermeneutica sbilanciata applicata a Gaudium et spes(e dal rifiuto di HV). È anche vero però che di fattola Costituzione della Chiesa nel mondo contemporanea si lascia interpretare nella direzione del personalismo dell'amore più che della gerarchia dei fini del matrimonio, avendo dato al primo una maggiore enfasi e avendo tralasciato la dottrina della gerarchia dei fini così come formulata in antecedenza.
In Gaudium et spes 47-52 si nota una chiara impronta della posizione personalista della maggioranza. C'è un intero paragrafo consacrato all'amore umano (n.47) e come notato non da ultimoda Goertz e Witting "viene fatta consapevolmente cadere la categoria di 'naturale' come criterio etico". In Gaudium et spes 48 si afferma che "per la stessa natura l'istituto del matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento". Ciò lo si ripete pure al n. 50. Mentre così si sottolinea che fine intrinseco (non primario, ma scaturente dal matrimonio "come intima comunione di vita e d'amore coniugale", GS ripresa da CIC 1985, can. 1055 & 1) è la procreazione, non si menziona più il fatto che ogni singolo atto coniugale è orientato per sua natura alla procreazione, come fa HV riprendendo espressamente Casti Connubi. Solo in una nota a piè di pagina al n. 51 di Gaudium et spes si rimanda alla dottrina di Casti Connubi relativa alle norme sulla regolamentazione del concepimento. In virtù, si aggiunge, sempre in nota, che alcuni problemi bisognosi di ulteriori approfondimenti erano demandati ad una apposita commissione per lo studio della popolazione, della famiglia e della natalità. Quindi il magistero conciliare non si pronunciava su soluzioni concrete da offrire nell'ambito della regolamentazione delle nascite. Come ben sappiamo, lo studio della Commissione sarà poi preparativo dell'enciclica di papa Montini sulla vita umana.
Ciò che appare da questo breve percorso è un punto importante: HV, mentre colma il vuoto lasciato da ciò che appare da questo breve percorso è un punto importante: HV, mentre colma il vuoto lasciato da Gaudium et spes, condannando la contraccezione e stabilendo il modo adeguato di comprendere il valore dell'amore umano legato alla paternità responsabile aperta sempre al dono della vita, unisce pure in modo armonico i due aspetti inscindibili del matrimonio, quello unitivo e quello procreativo (aspetti che nel Catechismo romano sono descritti come "ragioni dell'unione matrimoniale", n. 291, insieme al remedium concupiscentiae).Così perciò si riannoda Gaudium et spes a Casti connubi, sviluppando di fatto le virtualità di quest'ultima e innestando la verità dell'amore coniugale nel solco della procreazione quale cooperazione al disegno di Dio, fine di ogni singolo atto dell'amore coniugale. Si tratta perciò ancora una volta di un'unione procreativa. Per tale ragione sarebbe opportuno anche non tralasciare in un discorso di matrimoniocristiano i fini gerarchici del matrimonio, da essere innestati sempre e comunque in quello vitale e supremo -assimilante al Creatore e all'amore facendo di Cristo per la sua Sposa – della procreazione. L'amore unitivo dei coniugi trova il suo compimentonella procreazione anche quando sia naturalmente assente, perché l'amore o è fecondo – sempre a livello spirituale e soprannaturale – o semplicemente non è.
Commenti
Posta un commento