'Spe salvi' nella Casa di riposo per sacerdoti di Negrar alla vigilia della meta eterna

"Spe salvi" nella Casa di riposo per sacerdoti di Negrar, in preparazione del momento eterno di vita con ogni bene senza più alcun male

Qui nella Casa di riposo per sacerdoti, Casa di riposoper morire nel Signore non Ospedale per guarire, c'è l'ambiente per pensare e pregare l'affermazione di Paolo "Abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente" (1 Tm 4,10) e la domanda del giovane ricco a Gesù: "Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?" (Mc 10,17). Una domanda suggerita dai genitori conducendomi bambino dopo le funzioni sul cimitero e soprattutto in
Seminario a lasciarmi plasmare da Lui per essere messaggero di fede e dell'amore divino, capace di costruire un futuro di speranza di vita eterna per tutta l'umanità. La questione della speranza è stata al centro della mia vita di essere umano, di cristiano, di sacerdote. Con la Fede e la Carità ho sempre avvertito il bisogno della Speranza, ma non una Speranza qualsiasi bensì una Speranza salda e affidabile. Da giovane quante speranze, guardando al futuro con varie aspettative. Da giovane, anche povero contadino, ho nutrito ideali, sogni e progettitemporali. Ero consapevole di dover maturare scelte decisive per il resto della vita. Quante domande di fondo: perché sono sulla terra? Che senso ha vivere? Che sarà della mia vita? Come raggiungere la felicitàpiena? Che cosa c'è oltre la morte? Per me sono stati interrogativi pressanti quando 16 anni la tubercolosi, di fronte a incomprensioni in famiglia,alla difficoltà di pagare la retta di Seminario, pur senza difficoltà negli studi crisi nelle relazioni di amicizia. Quante volte mi sono chiesto: come tener viva nel cuore la fiamma della speranza nella vita eterna anche nel tempo?

Le qualità personali non mi bastavano ad assicurare quella speranza che il mio animo umano era in costante ricerca. E osservando bene da povero contadino vedevo che la politica, la scienza, la tecnica, l'economia e ogni altra risorsa materiale, pur tanto sognate e attese nella vocazione, da sole non erano sufficienti per offrire la grande speranza a cui tutti in fondo aspiriamo. Il papà e la mamma, nel pomeriggio di ogni domenicami portavano sul cimitero, ripetendomi che la speranza vera può essere solo Dio che abbraccia l'universo e che può proporcicon il copro, non l'anima, in polvere e donarci ciò che, da soli, non possiamo raggiungere. Ecco perché una delle conseguenze principali dell'oblio di Diotralasciando la Messa della Domenica, le preghiere del mattino e della sera, prima di mangiare e non obbedire a Lui che mi raggiunge attraverso il Parroco, i genitori, i maestri porta allo smarrimento con risvolti di solitudine e violenza, di insoddisfazione e perdita di fiducia che non raramente sfociano nella disperazione: chiaro il richiamo educativo: "Maledetto l'uomo che confida solo nell'uomo e pone nella carne il suo sostegno, allontanando il suo cuore dalla continua presenza del Signore soprattutto nel tabernacolo. Sarà come un tamerisco nella steppa; non vedrà venire il bene" (Ger 17,5-6).

E oggi che la crisi di speranza colpisce più facilmente le nuove generazioni che, in contesti socio-culturali secolarizzati privi di Dio e quindiprivi di certezze, di valori e di solidi punti di riferimento, si trovano, come nella laicista Francia, privi di certezze, di valori e di solidi punti di riferimento anche nei rapporti sociali, si trovano ad affrontare difficoltà che appaiono superiori alle loro forze. E vedo giovani feriti dalla vita, condizionati da una immaturità personale che è spesso conseguenza di un vuoto familiare, di scelte educative permissive e libertarie e di esperienze negative e traumatiche.Per alcuni – e purtroppo non sono pochi – lo sbocco obbligato è una fuga alienante verso comportamenti arischio e violenti, verso la dipendenza da droghe e alcool, e verso tante forme di disagio   giovanile. Eppure, anche in chi viene a trovarsi in condizioni penose per aver seguito i consigli di "cattivi maestri", non si spegne il desiderio di amore vero e di autentica speranza, poiché Dio ama, fino al termine della vita, anche chi non lo ama perché si renda conto e si converta.

Ma come annunciare la vera speranza a questi giovani? In tutta la vita, fin dalle visite domenicali al cimitero con i genitori, ho saputo e affettivamente creduto che solo in Dio ogni essere umano trova la sua vera realizzazione. L'impegno primario che tutti ci coinvolge è pertanto quello di una nuova evangelizzazione in Casa di riposo di fronte a tutte le sofferenze, che aiuti le nuove generazioni di medici, infermieri, operatori a riscoprire nel vissuto il volto autentico di Dio, che è amore anche nella morte del corpo ma non dell'anima. E a quei giovani che vengono a trovarmi chiedendomi come sto rispondo bene con le stesse parole che san Paolo indirizzava ai cristiani perseguitati nella Roma di allora: "Il Dio della speranza vi riempia, nel credere e amare, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo" (Rm 15,13). Sapendo accettare malattie e limiti di anzianità e ambiente diventiamo testimoni credibili della speranza cristiana soprattutto ai giovani. Trovandosi immerso in difficoltà e prove di vario genere, Paolo scriveva al suo fedele discepolo Timoteo: "Abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente" (1 Tm 4,10) cioè attraverso Cristo sempre presente e operante temporalmente, consapevole che tutto è relativo, non solo la salute ma anche la malattia e le prove finali. Come era nata in lui questa speranza anche di fronte al martirio? Per rispondere a tale domanda dobbiamo partire dal suo incontro con Gesù risorto sulla via di Damasco. All'epoca Saulo era un giovane, di circa venti o venticinque anni, seguace radicale della Legge di Mosè e deciso a combattere con ogni mezzo quelli che egli riteneva nemici di Dio (Atti 9,1). Mentre stava andando a Damasco per arrestare i seguaci di Cristo, fu abbagliato da una luce misteriosa e si sentì chiamare personalmente per nome: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?". Caduto a terra, domandò: "Chi sei, o Signore?". E quella voce rispose: "Io sono Gesù, che tu perseguiti!" (At 9,3-5), perseguitando i miei che appartengono al mio corpo di risorto. Dopo quell'incontro, la vita di Paolo mutò radicalmente: ricevette il Battesimo per inserirsi anche Lui nel copro di risorto, la Chiesa e divenne apostolo di questo lieto annuncio, delVangelo. Sulla via di Damasco, egli fu interiormente trasformato dall'Amore divino incontrato nellapersona presente di Gesù Cristo. Un giorno scriverà: "Questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato sèstesso per me" (Gal 2,20). Da persecutore diventeràdunque testimone e missionario della grande speranza;  fondò comunità cristiane in Asia Minore e in Gracia, percorrendo migliaia di chilometri e affrontano ogni sorta di peripezia, fino al martirio a Roma raggiungendo la vita eterna, la grande speranza. Tutto per amore di Cristo e la sua grande speranza di vita eterna.

La grande speranza è in Cristo

Per Paolo e per tutti la grande speranza non è solo un ideale o un sentimento, ma una persona viva da incontrare presente e operante: Gesù Cristo, il Figlio di Dio Padre, concepito umanamente in modo verginale per opera dello Spirito santo in Maria, crocefisso, sepolto per quaranta ore e risuscitato, dopo l'ascensione presente e operante tra suoi, il suo corpo, la Chiesa per tutti. Pervaso intimamente e affettivamente da questa certezza, potrà scrivere a Timoteo: "Abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente" (1 Tm 4.10). Il "Dio vivente" è Cristo risorto, presente e operante nel mondo. È Lui la vera speranza in vita e in morte: il Cristo che vive liturgicamente e fraternamente con noi e in noi e che ci chiama in ogni momento alla sua stessa vita eterna subito nell'anima che non muore e quindi nel corpo che verrà ricreato. Se non siamo mai soli, se Egli è con noi, anzi, se è Lui il nostro presente ed il nostro futuro, perché temere con la liturgia e l'aiuto fraternoin Casa di riposo verso chi è colpito più di noi? La speranza del cristiano, di noi sacerdoti è dunque desiderare in ogni momento "il Regno di Dio e la vita eterna come nostra totale felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull'aiuto della grazia dello Spirito Santo", la comunione d'amore tar il Padre e il Figlio (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1817). 

Tutta la vita è stata ed è un cammino verso la grande speranza

Come un giorno il giovane Paolo, Gesù ha incontrato ed incontra anche ciascuno di noi nella fonte della sua presenza eucaristica e in ogni atto di carità fraterna! Pregare da soli in camera è bene, ancor più convenire e pregare insieme, poiché il Signore ha assicurato di essere presente soprattutto dove due o tre sono radunati nel suo nome (Mt 18,20). Prendere parte alla liturgia nella nostra Casa di riposo e nutrirci abbondantemente alla Fonte della Rivelazione cioè della parola di Dio nei Sacramenti. Culmine e centro è la presenza eucaristica, sacramento di salvezza in cui Cristo si fa presente e dona come cibo spirituale il suo stesso Corpo e Sangue per la vita eterna. Mistero davvero ineffabile!Attorno all'Eucarestia in cui Lui, crocefisso-risorto, agisce attraverso noi sacerdoti, nasce e cresce la Chiesa apostolica. Come è importante il desiderio di incontrarlo. Quando nella preghiera convenendo in chiesa o seguendo a letto esprimiamo la nostra fede, anche nell'oscurità del momento già lo incontriamoperché Egli si offre a noi come spiega sant'Agostino: Il Signore Dio nostro, unica speranza, vuole che nellepreghiere si eserciti il desiderio della vita eterna. La Casa di riposo è preparazione alla morte come via all'eternità e testimonianza la mondo della meta eterna.

Agire secondo la speranza cristiana

Nutrendoci di Cristo, vivendo immersi in Lui come l'apostolo Paolo, da sacerdoti non ci scoraggiano le difficoltà e le prove che incontriamo pazienti e perseveranti. Testimoniamo il Risorto di fronte a quelli che cercano la "grande speranza", spesso non consapevoli. Da residenti nella Casa di riposo, con la fede e l'amore fraterno, siamo pronti a rispondere "a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1 Pt 3,15), in un luogo non per guarire ma per morire nella grande speranza. Come è efficace per noi sacerdoti non essere mai tristi, anche dovendo affrontar prove di vario genere, perché la presenza di Gesù è il segreto della nostragioia e della nostra pace.

Maria madre della speranza

Modello di questo cammino di vita apostolica in Casa di riposo è per noi san Paolo, che ha alimentato la sua vita di costante fede e speranza seguendo l'esempio di Abramo, del quale scrive nella Lettera ai Romani "Gli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli" (Rm 4,18).

Su queste stesse orme del popolo della speranza – formato da profeti e dai santi soprattutto martiri di tutti i tempi – nel nostro cammino spirituale ci accompagna la Vergine Maria, Madre della Speranza. Colei che ha incarnato la speranza di Israele, che ha donato al mondo il Salvatore ed è rimasta, salda nella speranza, ai piedi della Croce, è per noi modello e sostegno. Soprattutto, Maria intercede per noi e ci guida nel buio delle nostre difficoltà all'alba radiosa dell'incontro con il Risorto. Bella l'esortazione di san Bernardo ispirata al titolo di Maria Stella maris, Stella del mare: "Tu che nell'instabilità continua della vita presente, ti accorgi di essere sballottato tra le tempeste più che camminare sulla terra, tieni ben fisso lo sguardo sul fulgore di questa stella, se non vuoi essere spazzato via dagli uragani. Se insorgono i venti delle tentazioni e ti incagli tra gli scogli delletribolazioni, guarda alla stella, invoca Maria …Nei pericoli, nelle angustie, nellperplessità, pensa a Maria, invoca Maria …Seguendo i suoi esempi non ti smarrirai; invocandola non perderai la speranza; pensando a lei non cadrai nell'errore. Appoggiato a lei non scivolerai; sotto la sua protezione non avrai paura di niente; con la sua guida non ti stancherai; con la sua protezione giungerai a destinazione" (Omelie in lode della Vergine Madre, 2,17).

Benedetto XVI ha scritto tre lettere encicliche. La prima, Deus caritas est, sull'amore di Dio e del prossimo, è la preferita da Ratzinger e di si è parlato pochissimo. Ma è la terza sua enciclica "Spe salvi" a rischio di dimenticanza: forse perché parla dellasperanza, una prospettiva positiva della vita e dellastoria alla luce della meta eterna che ai giorni nostri si fa fatica molto a mantenere e sperimentare. 

L'energia del pontificato

Il Covid ha spaventato l'Occidente scientifico, tecnico e informatico temporale più della guerra, tanto che anche di fronte al conflitto ucraino si hanno certezze maggiori: una guerra causata dall'uomo è più gestibile di una pandemia proteiforme giunta dall'ignoto. La lettera Spe salvi nella speranza eterna (siamo stati salvati) è invece una chiave per cogliere l'energia interiore del pontificato di Benedetto, rifuggendo dalle banalità che comporta  l'attendarsi nei mondi della ragione chiusa, piuttosto che navigare nei mari immensi della ragione aperta. Non considerarla per capire il messaggio lasciato in eredità da Ratzinger, sarebbe come per un'auto viaggiare con un faro solo in una notte oscura e tempestosa. "La fede è speranza" si legge nell'introduzione della Lettera. Ragionare di speranza cristiana aiuta in qualche modo a liberare Ratzinger dal superficiale accostamento del più innovativo prefetto del Novecento della Dottrina della Fede all'immagine del "pastore tedesco" per considerarlo come lui stesso si definì il giornodell'elezione: "Umile e semplice lavoratore nella vigna del Signore".

La profondità dell'animo

Adatto, tuttavia, a illuminare di luce vera il senso del vivere temporalmente e del morire umano corporale in prospettiva cristiana di vita eterna. "il mio intento di fondo – ha scritto una volta – è sempre stato quello di liberare dalle incrostazioni il vero nocciolo della fede, restituendogli energia e dinamismo. Questo impulso è la vera costante della mia vita" anche Prefetto della Congregazione dellafede. La conferma di ciò si ha proprio nella "Spe salvi" dove – tra l'altro – mette a confronto le grandi speranze storiche che si sono succedute nei secoli sino alla rivoluzione sociale che prometteva una sorta di paradiso in terra. La speranza cristiana non viene contrapposta alle speranze mondane ma pensata come la più capace di giungere a toccare laprofondità dell'animo umano con le sue paure, le sue angosce, i sogni impossibili di un mondo nuovo. Non si tratta infatti di speranze per cui grandi uomini come lo schiavo Spartaco o l'intellettuale Marx hanno consumato la vita lasciando i loro seguaci nella delusione di non poter vedere realizzate quue società di libertà, uguaglianza, giustizia e fraternità che hanno assorbito e motivato generazioni rimastedeluse senza esito. La speranza cristiana è una persona, Gesù di Nazaret, che costituisce il tassello di congiunzione dell'umano con Dio, l'unico che riscatta anche dalla morte.

Nessuno si salva da solo

Nell'epoca moderna e specialmente nell'Occidente progredito la speranza cristiana è sbiadita e rischia di lasciare il posto ad altre speranze storiche animate dalla scienza e dal consumismo, facendo la fine di speranze ora obsolete. Nessuno vive da solo, nessuno si salva e si realizza da solo, ricorda Ratzinger che chiarisce fino in fondo il concetto cristiano di vera speranza. "La nostra speranza è sempre essenzialmente anche speranza con e per gli altri; solo così essa  è veramente speranza anche per me in relazione. Da cristiani non dovremmo domandarci solamente: come posso salvare me stesso? Dovremmo domandarci anche: che cosa posso fare perché altri vengano salvati e sorga anche per gli altri la stella della speranza nella meta eterna? Allora avrò fatto il massimo anche per lòa mia salvezza personale". Questo è anche il modo di intendere il Dio cristiano per i confratelli della Casa di riposo, Dio cristiano che fonda la speranza e che Ratzinger pensa come "Colui che conosce anche la via che passa per la valle della morte e del purgatorio; Colui che anche sulla strada dell'ultima solitudine, nella quale nessuno può accompagnarmi, cammina con me guidandomi per attraversarla anche attraverso la purificazione del purgatorio: Egli stesso Dio-uomo ha percorso questa strada, è disceso con la sua anima per quaranta giorninel regno della morte del corpo, l'ha vinta ed è tornato risorto, asceso per accompagnare ciascuno di noi ora e darci la certezza che, insieme con Lui, un passaggio nella responsabilità del libero arbitrio lo si trova sempre nell'infinita sua misericordia. In preparazione di questo dono finale la casa di riposo per sacerdoti è un grande dono.

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