La riflessione ecclesiologica tra XX e XXI secolo nel pontificato di Benedetto XVI
Roberto Regoli nel suo libro Oltre la crisi della Chiesa. Il Pontificato di Benedetto XVI, da pagina 128 a pagina 136. Va letto nella luce di ciò che Benedetto XVI ha detto sulla Chiesanell'Udienza generale del 27 febbraio 2013: "Ho sempre saputo che in quella barca c'è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è Sua. E il Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. Questa è stata ed è una certezza, che nulla può offuscare"
Roberto Regoli da pagina 128 a pagina 136
"La riflessione ecclesiologica è fondamentale per la Chiesa tra XX e XXI secolo perché si confrontano visioni con accenti ben diversi in relazione al ruolo del romano pontefice, dei vescovi, delle Conferenze episcopali e dei laici. Tutte tali concezioni si richiamano all'ecclesiologia fuoruscita dal Vaticano II, che ha completato il discorso del Vaticano I. Il richiamo allo stesso evento storico, però, non è indice di unità di interpretazioni. Tutt'altro. Dopo il 1965 nella Chiesa si sono intrecciate e scontrate diverse visioni ecclesiologiche, che in realtà mostravano diverse concezioni del potere nella Chiesa. Se è da riconoscere la cristallinità delle riflessioni e dele esigenze ecclesiologiche di tanti teologi e vescovi, allo stesso tempo è innegabile un conflitto permanente della diversità delle concezioni del potere di insegnamento e di governo nella stessa Chiesa. Inevitabilmente di conseguenza è da registrare una divaricazione tra magistero e prassidegli individui. L'arcivescovo di Trieste, mons. Giampaolo Crepaldi, parla addirittura di "due pastorali molto diverse tra loro, che non si comprendono ormai quasi più, come se fossero di due Chiese diverse e procurando incertezza e smarrimento in molti fedeli". A partire dal livello dogmatico si passa poi a quello morale e disciplinare. Qual è il volto della Chiesa oggi?
Un contributo fondamentale alle tensioni in atto tra XX e XXI secolo in relazione alla autocoscienza della Chiesa viene fornito dal papa a partire proprio dalla ermeneutica del Concilio Vaticano II. Rimane memorabile il discorso di Benedetto XVI alla Curia romana in occasione del suo primo Natale da papa (22 dicembre 2005). In esso il pontefice presenta una Chiesa che lungo la storia si sviluppa "rimanendo però lo stesso, unico soggetto", ancorando così il Concilio alla Tradizione della Chiesa e al vivo Magistero. Di fronte a decisioni rivelatesi nel tempo inopportune Benedetto XVI ritiene che a situazioni contingenti, furono date risposte contingenti. Esattamente delle dichiarazioni pontificie bisogna prendere il nocciolo, cioè i princìpi più profondi. Si può commentare che realmente ciò non è sempre immediatamente comprensibile. A volte, infatti, il primo impatto può essere più drammatico della realtàsignificata nel testo. Altre volte alcuni enunciati di principi e intenti sono poi disattesi dalla stessa Sede Apostolica e dalla Chiesa.
In questo discorso si toccano la valenza e le dinamiche del Concilio Vaticano II, così come sono interpretate e proposte da Benedetto XVI non solo alla Curia, ma a tutta la Chiesa. Il punto non è la contrapposizione tra una "ermeneutica delladiscontinuità e della rottura" e una "ermeneutica della continuità", quanto fra la prima e una "ermeneutica della riforma". La differenza non è secondaria. La PAROLA "RIFORMA" è "TANTO SOGGESTIVA QUANTO PROBLEMAICA E AL TEMPO STESSO FECONDA". Come è da intendere? Come lo stesso papa la presenta: "Rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino. L'ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare". Ancora nello stesso discorso:
All'ermeneutica della discontinuità si oppone l'ermeneutica della riforma, come l'hanno presentata dapprima Giovanni XXIII nel suo discorso d'apertura del Concilio l'11 ottobre 1962 e poi Paolo VI nel discorso di conclusione del 7 dicembre 1965. Vorrei qui citare soltanto le parole ben note di Giovanni XXIII, in cui questa ermeneutica viene espressa inequivocabilmente quando dice che il Concilio "vuole trasmettere pura e integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti" e continua: "Il nostro dovere non è soltanto di custodire questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo unicamente dell'antichità, ma di dedicarcicon alacre volontà e senza timore a quell'opera che la nostra età esige…È necessario che questa dottrina certa e immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo. Una cosa infatti è il deposito della fede, cioè le verità contenute nella nostra veneranda dottrina, e altra cosa è il modo col quale sono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata".
Il cardinale Ruini riconosce in questa interpretazione del Concilio l'unico modo "teologicamente e pastoralmente fruttuoso". Questa impostazione papale susciterà a seguire moti dibattiti e avrà ricadute in più ambiti, come quello liturgico. A livello della disciplina storica, nel merito si hanno dei distinguo, perché la continuità, la discontinuità e la riforma sono elementi costantemente e a volte contemporaneamente presenti negli uomini e nelleloro azioni nel tempo. La preoccupazione teologica è diversa da quella storica.
La liturgia ovvero la restaurazione innovativa
Uno dei dossier che più stato a cuore a Benedetto XVI è relativo alla liturgia, perché intrinsecamente ed essenzialmente legata alla fede, cioè al suo annuncio e alla sua celebrazione. Sulla materia sono conosciute le posizioni pubbliche del cardinale Ratzinger. Ad esempio, già nel 1985, in una famosa intervista con il saggista e giornalista Vittorio Messori, manifestava il suo fastidio e le sue difficoltà verso lo stato attuale della liturgia cattolica, ridotta al "rango di circolo di villaggio", abbassata a "un livello fumettistico", tanto da apparire opaca, noiosa, banale e mediocre. Va ricordato anche il suo testo Introduzione allo spirito della liturgia, uscito nel 2000 in Germania e che riprende il titolo di un famoso libro di Romano Guardini. Non fa meravigliache, una volta giunto al soglio papale, Ratzinger voglia mettere mano proprio nell'ambito liturgico. Non a caso, pochi mesi dopo l'avvio del pontificato, nomina un nuovo segretario per il culto divino, mons. Ranjith, e successivamente anche un nuovo maestro delle cerimonie pontificie (2007), mons. Guido Marini.
Si può individuare una vera e propria coerenza tra il pensiero del teologo Ratzinger (con le sue radici nel momento liturgico tedesco e nel pensiero di Guardini) e la sua successiva azione papale. L'orizzonte è fornito dal già citato discorso alla Curia romana del dicembre del 2005 intorno alla comprensione del Concilio Vaticano II (che trova anche tinteggiature personali nel ricordo pubblico a fine pontificato), secondo il quale la corretta ermeneutica della Chiesa nell'epoca contemporanea è legata alla logica della riforma, in continuità con ciò che precede, evitando forzate rotture (chiamate discontinuità, attualità in rapporto al passato). La liturgia latina con la crisi della sua riforma segue tale modello. Secondo Ratzinger teologo la crisi della Chiesa e della fede sono in stretta correlazione con il "crollo della liturgia, che talvolta viene addirittura concepita "etsi Deus non daretur" cioè senza la consapevolezza della sua presenza e azione nella liturgia: come se in essa non importasse più se Dioc'è presente e se ci parla e ci ascolta Lui". E dunque per rilanciare la fede bisogna necessariamente affrontare un rinnovamento liturgico.
Il primo segnale di presa in carico dell'ambito liturgico per il grande pubblico avviene il 22 febbraio 2007, quando esce un'importante esortazione apostolica del papa sulla liturgia, la Sacramentum caritatis, frutto delle discussioni e dei suggerimenti del precedente Sinodo dei vescovi sull'eucarestia (svoltosi nell'ottobre 2005). Si tratta del primo documento del pontificato. L'esortazione apostolica si pone in continuità con il magistero di GiovanniPaolo II (lettera apostolica Mane nobiscum Domineed enciclica Ecclesia de Eucharistia), con L'introduzione dello spirito della liturgia del cardinale Ratzinger e andrebbe letta e compresa con l'enciclica Deus caritas est, nel momento in cui si mostra una relazione fondamentale tra l'amore cristiano e l'eucarestia. Il documento, eminentementeteologico, tocca aspetti anche più ordinari in merito alla celebrazione liturgica: il rispetto per i libri liturgici, per i gesti e i silenzi, le parole, i canti, i movimenti del corpo e i colori liturgici dei paramenti. Prende posizione per l'architettura sacra (che deve saper dare unità agli elementi propri del presbiterio), la musica liturgica (valorizzazione del canto gregoriano), la struttura della celebrazione liturgica (dall'omelia ben preparata allo scambio sobrio della pace e non solo), fino alla denuncia degli abusi liturgici e alla riproposizione del latino, soprattutto in occasione di raduni internazionali e nella formazione liturgica nei seminari. La rivalorizzazione del latino durante il pontificato benedettino riceve diverse reazioni, che vanno dagli apprezzamenti (ad esempio dall'inglese Latin Society), all'incomprensione nell'ambito liturgico (c'è chi parla di errore del papa). In tale contesto va ricordata la fondazione della Pontificia Accademia di Latinità (10 novembre 2012).
Il Papato riprende in mano in maniera più attiva la direzione della liturgia, con un'attitudine propulsiva e creativa. Allo stesso tempo e senza contraddizione, approva, sostiene e difende la celebrazione la tina nella sua forma così detta straordinaria (motu proprio Summorum Pontificum, 7 luglio 2007) ne va incontro alla maniera di celebrare delle Comunità Neocatecumenali (anche se rimangono alcune questioni aperte). Due stili tra loro molto lontani, ma entrambi cattolici. E la garanzia della loro cattolicità viene proprio dalla Santa Sede, che in tal caso è forza centripita nella propria funzione di unità.
Senza entrare nello specifico della Summorum Pomtificum… qui si fa semplicemente notare che tramite quel motu proprio viene dato libero spazio nella Chiesa cattolica alla così detta messa tridentina, quale forma straordinaria dell'unico rito romano, secondo il principio della continuità invocato dal papa nel campo teologico.
Va ricordato che prima del pontificato (alla fine degli anni '90) Ratzinger era già stato chiaro sullamateria:
Personalmente ritengo che si dovrebbe essere più generosi nel consentire l'antico rito a coloro che lo desiderano. Non si vede proprio che cosa debba esserci di pericoloso e inaccettabile. Una comunità mette in questione sé stessa, quando considera improvvisamente proibito quello che fino a poco tempo prima le appariva sacro e quando ne fa sentire riprovevole il desiderio.
In quegli anni era intervenuto in difesa della messa tridentina.
Con il nuovo motu proprio tale messa può essere celebrata da ciascun sacerdote ovunque e in qualsiasi tempo liturgico nelle così dette messe senza popolo, a cui i fedeli possono comunque spontaneamente partecipare. Nelle parrocchie, dove esiste un gruppo stabile di fedeli tradizionalisti, il parroco è invitato a provvedere tale messa. Se il parroco non soddisfa al richiesta, tali fedeli possono rivolgersi al vescovo e, se neanche questi può provvedere, i fedeli possono riferire alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei.
Componenti dell'episcopato mondiale sono ben favorevoli, altre mugugnano, altre ancora sono pubblicamente contrarie. Non sono pochi coloro che pongono degli ostacoli non solo tra i vescovi, ma anche tar i parroci e i teologi, come non mancano tra questi ultimi gli apertamente favorevoli. Un consenso più generalizzato si trova tar i seminaristi e il giovane clero. Nel giro di pochi mesi, escono con una certa rapidità pubblicazioni di fronti opposti sulle decisioni papali. La liturgia rientra nel centro delle discussioni ecclesiali dell'epoca, dopo un lungo periodo di marginalità.
Se gli interventi del papa non sono per l'uniformismo liturgico, allo stesso tempo voglionosuperare quel che lui definisce "confusionismo" e "frammentazione". Sul lungo periodo, si prevede un rientro della coesistenza delle due forme rituali (ordinaria e straordinaria). Il cardinale Koch ha scritto liberamente: "Benedetto XVI sa bene che, a lungo termine, non possiamo fermarci a una coesistenza tra la forma ordinaria e al forma straordinaria del rito romano, ma che la Chiesa avrà nuovamente bisogno nel futuro di un rito comune". Probabilmente si prevede che le due forme debbano subire un processo di reciproca osmosi. Nei primi anni della riforma però ciò non è avvenuto.
In ogni caso, tra il 2007 e il 2010, le maggioririchieste di celebrazione del rito romano antiquior riguardano l'Europa, l'America del Nord e l'Australia, secondariamente alcuni paesi dell'America Latina, ben poche dall'asia e dall'Africa. Tale problematica liturgica sembra riguardare allora solo il mondo occidentale. Tanto rumore per così poco? Non propriamente, guardando la mappa del cattolicesimo d'inizio XXI secolo.
Il ruolo propulsivo del Papato entra in gioco anche nelle linee teologiche da dare alle traduzioni in lingue moderne della liturgia latina. Si manifesta appieno la visione di Ratzinger. Le parole dellaconsacrazione eucaristica, che nella lingua italiana così risuonano: "Questo è il calice del mio sangue … versato per voi e per tutti in remissione dei peccati" dovrebbero trasformarsi per fedeltà al testo evangelico in "versato per voi e per molti in remissione dei peccati". Si hanno così dei cambiamenti nelle lingue inglese e spagnola, non inquella francese, perché la traduzione è già fedele ("pour vous e la multitude"), né in quella italiana, perché il progetto si arena tra la Conferenza episcopale nazionale e procedure dellaCongregazione per il culto divino. I cambiamenti in inglese e spagnolo suscitano non pochi dibattiti. Il papa interviene sulla questione del pro multis direttamente in Germania e nelle aree di lingua tedesca con una lettera del 2012 ai vescovi, nella quale tenta di convincerli per il cambio della traduzione. Vuol convincere e non imporre. Qui appare una caratteristica di Ratzinger, che è allo steso tempo forza e la debolezza del suo pontificato.
La riforma della riforma liturgica passa anche per i gesti. Nelle liturgie papali, a partire dal 2008, Benedetto XVI distribuisce la comunione non sulla mano, ma direttamente in bocca, a persone inginocchiate. Soprattutto quest'ultima postura è caratterizzante la visione liturgica del pontefice: Dio presente e operante nel sacramento è da adorare.
La riforma liturgica rispecchia le idee passate del cardinale Ratzinger e non è da legare alla Summorum pontificum. L'insieme di questi cambiamenti liturgici mira a includere maggiormente i tradizionalisti, unendoli però pure alle frange creative presenti nel cattolicesimo. Si tratta di un gioco di equilibri, che però più che essere fondato su una semplicemente politica ecclesiastica, è motivato da ragioni teologiche perenni.
o.
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