Le radici dell'altare cristiano

Don Enrico Finotti: "Per comprendere in profondità la natura e la funzione dell'altare nella liturgia cattolica è indispensabile una adeguata indagine storica sulla sua origine e sul suo coerente sviluppo. Essa tuttavia non basterà. Infatti, si potranno capire le successive scelte storiche in ordine all'altare approfondendo la teologia sottesa, in base alla quale l'altareassunse forme e arredi consoni alla visione teologica che si voleva trasmettere"

Don Enrico Finotti: LA LITURGIA ROMANA NELAL SUA CONTINUITA' – Da pagina 174 a pagina 183

Mensa, ara e croce

È normale che venga individuata l'origine dell'altare cristiano nella mensa del cenacolo, sulla quale nostro Signore istituì il Sacrificio eucaristico e il Convivio sacro del suo Corpo e del suo Sangue. Veramente la mensa dell'ultima cena è il referente originario e originante dell'unico e definitivo Sacrificio del Nuovo testamento. Da qui partequell'oblazione pura che dall'Oriente all'Occidente è offerta fra le genti e in ogni luogo (Ml 1,11). Occorre tuttavia approfondire e non fermarsi ad una facile visione superficiale, che potrebbe svuotare quel Sacrificio della sua profonda sostanza per fissarsi nella debole espressione di un ordinario convito umanitario ed usuale. In realtà, quando la famiglia ebraica si riuniva per la cena pasquale si relazionava in modo intimo e indissolubile con l'altare del tempio di Gerusalemme, sul quale in antecedenza veniva immolato l'agnello, che portato sulla mensa domestica consentiva la celebrazione della Pasqua. Senza quella vittima sacrificata sull'ara del tempio e trasferita poi sulla mensa delle case, la cena pasquale perdeva la sua identità di convito e ara.

La relazione all'immolazione dell'agnello era tanto necessaria che, per celebrare la Pasqua, si doveva alloggiare a Gerusalemme o nelle vicinanze. Non era, infatti, possibile stare fuori Gerusalemme, ossia lontani dal tempio, perché dal tempio veniva l'agnello immolato e ad esso rimandava. La cena pasquale ebraica era dunque una cena sacrificale, un banchetto mediante il quale si partecipava dellavittima sacrificale. Ed ecco che mensa ed ara si trovano intimamente unite, geneticamente e indissolubilmente interiori l'una all'altra. Tolta l'ara è compromessa totalmente la natura di quellaspecifica mensa imbandita per la cena pasquale. Nel cenacolo però il Signore opera la novità e crea la realtà di quello che fino ad ora era figurato nelleantiche profezie e nel sacrificio dell'agnello. Egli immola incruentemente sé stesso nel contesto ancora visibile del segno profetico dell'agnello, che come ombra sta ormai per scomparire e cedere il posto alla realtà, Cristo Gesù, col suo Corpo e il suo Sangue immolati nelle specie sacramentali del pane e del vino.

È evidente che, nel mentre lo sguardo del Signore si ritrae ormai dalla figura dell'agnello che passa e dall'ara del tempio su cui fu immolato, si fissa con divina preveggenza e immedesimazione mistica sull'ara della croce, che lo attende sul calvario. Egli, infatti, anticipa sacramentalmente sulla mensa dellacena e nella forma del convito il sacrificio cruento che avrebbe offerto di lì a poco sull'altare della croce. La croce, quindi, entra nel cenacolo, si pianta sulla sua mensa e, mentre l'Antica ara del tempio si ritira, avendo assolto la sua funzione profetica, si erge sovrana quale sostanza interiore di ciò che si compie nell'ultima cena e che si ripeterà per tutti i secoli fino alla fine del mondo per comando del Signore: fate questo in memoria di me. Mensa, ara e croce, ecco i tre simboli interiori e indissolubili del mistero grande che si compie nell'stante consacratorio quando il Signore, pronunziando le parole divine – Questo è il mio Corpo … Questo è il mio Sangue …, istituisce il Sacrificio perenne, senza più tramonto.

Le tre figure di riferimento – mensa, ara e croce -prima ancora di trovare espressione fisica nell'altare cristiano sono presenti nella sostanza stessa dell'atto sacrificale di Cristo e costituiscono, ancor prima di trovare la loro traduzione materiale nella liturgia, la forma interiore dell'atto sacrificale del Signore. Nel Cenacolo è visibile solo la mensa, l'ara del tempio èrichiamata dall'agnello immolato, la croce ancoranon si vede, ma tutto è presente e unitario nellamente divina e nel cuore amante del Salvatore.

A questo punto si comprende bene perché la Chiesa, avuta la libertà religiosa (IV secolo), poté procedere alla costruzione dell'altare cristiano nel modo che la storia e l'arte ci attestano. Appena possibile la semplice mensa lignea, usata nelle case nei secoli della persecuzione, divenne l'altare marmoreo in tutto simile all'ara sia ebraica che pagana, ma eloquente per esprimere ciò che l'Eucarestia era in realtà, il Sacrificio di Cristo. Al contempo tale ara monumentale e preziosa non abbandonò la mensa, ma la assunse in sé ad adattandosi ad accogliere i santi doni conviviali e rivestendosi con una candida tovaglia. Infine, quando la croce gloriosa del Signore  poté essere  rappresentata con un vessillo di vittoria  e annunziare al contempo la sua Morte, la sua Risurrezione, la sua Ascensione e la sua visibile Venuta nella gloria, non tardò a trovare il suo posto più logico  e conveniente proprio sulla mensa di quell'ara sulla quale il Sacrificio  della croce  si attualizza sacramentalmente.  

Ed ecco che mensa, ara e croce possono costituireanche in modo visibile, nello splendore delle basiliche monumentali e nella solennità dei riti pontificali, il segno materiale e prezioso del Mistero che si compie sotto la coltre del sacramento. Non si trattò certamente di una corruzione della semplicità delle origini, ma di uno sviluppo necessario e legittimo, coerente con la struttura interiore del mistero e che si esprimerà nel pensiero cristiano nellasuccessiva sistemazione teologica relativa al dogma eucaristico. In tal senso, la mensa, l'ara e la croce sono talmente collegate alle dimensioni costitutive del Mistero fin dalla sua istituzione da essere primiingredienti liturgici insopprimibili nell'edificazione dell'altare cristiano. Esso, infatti, per esprimere in modo completo ed equilibrato l'intero Mistero del Sacrificio conviviale dell'Eucaristia, dovrà avere la monumentalità dell'ara, la dignità della mensa e la gloria del vessillo della santa croce.

La posizione alta dell'altare

L'altare stin alto e se non eleva perde la sua natura più vera. Si può in tal modo affermare una semplice regola: all'altare si ascende come al battistero di discende. Se l'etimologia "alta-ara" potrebbe essere ancora discussa e non da tutti accettata, la gloria dell'altare cristiano, e ancor prima di quello ebraico e pagano, afferma la sua posizioneelevata. In particolare, non potendo accedere all'altare mediante i gradini per questioni di purità cultuale, nel tempio di Gerusalemme si saliva medinate una rampa (Es 20,24-26). Ma è soprattutto nell'approfondire l'atto liturgico che si celebra sull'altare, il sacrificio, che merge in tutta chiarezza la necessità della posizione alquanto elevata dell'altare. Nell'offerta del sacrificio si cerca il rapporto con Dio, ci si eleva a Lui e tutta la ritualità porta a proiettarsi verso il cielo, lì dove l'intuito religioso contempla il trono di Dio: il corpo sale i gradini dell'altare, le mani si elevano verso l'alto, lo sguardo fissa le profondità sideree dei cieli. Ecco le movenze spontanee che il sacerdote assume nell'azione sacrificale, ed è logico che tale spinta interiore sia tradotta visibilmente nei gesti del corpo e fissata materialmente nella posizione alta e maestosa dell'altare.

Possiamo allora individuare nellstruttura interiore (metafisica) dell'altare due movimenti profondamente correlati e concordi nell'esprimere la direzione ascendente. L'altare sale verso la Maestà divina e segue lvolute dell'incenso che ascendono in sacrificio di soave odore. Esso guarda certamente il popolo, ma non per muoversi verso di esso, quanto per attrarlo nella sua scesa cultuale. Per questo l'altare assumerà una posizione otticamente centrale,ben visibile da tutta l'assemblea liturgica, per poter trinare dolcemente il popolo di Dio nel movimento ascendente dell'oblazione, che sulla sua mensa si compie il mistero sacramentale. È quindi consono alla natura più intima dell'altare salire e far salire tutti coloro che all'altare volgono lo sguardoadorante verso la contemplazione della Gloria divina

Il moto esattamente inverso, invece, si produce per al mensa. Essa deve discendere e rivolgersi fisicamente il più possibile verso i fedeli. Essa, infatti, porge la vittima immolata quale cibo e bevanda di salvezza. Questo moto del discendere e del rendersi prossima all'assemblea liturgica le è quindi necessario e connaturale ed è pienamente conforme al suo stesso essere mensa che nutre. Questo duplice ruolo di altare che ascende e attrae e di mensa che discende e si avvicina ai fedeli si esplica nella liturgia eucaristica che distingue laprece consacratoria in cui si compie il sacrificio dai riti di comunione in cui la vittima immolata è data in cibo ai commensali.

Posiamo allora rilevare che gli altari storici esprimevano la loro natura scendente-sacrificale, senza mai rinunciare alla mensa in essi incorporata, anche se talvolta un po'esigua.  Gli altar postconciliari, invece, sembrano aver abbandonata il loro moto saliente in favore di una totale riduzione al loro ruolo di mensa. In tal modo essi non sono più in alto, ma in piano e fisicamente il più possibile prossimi all'assemblea. Il moto discendente e rivolto al popolo proprio della mensa è diventato esclusivo e totalizzante. Tale realtà si nota anche negli altari resi definitivi e anche dedicati, certamente solidi nellaloro struttura marmorea, ma sempre e solo mensa. Inaltri termini si potrebbe dire che l'intera celebrazionedel sacrificio eucaristico è ridotta al rito di Comunione. Certamente il Sacrificio si compie, ma la nuova configurazione dell'altare non lo esprimepiù come prima avendo rinunciato a modellare in séstesso le caratteristiche classiche che sono proprie dell'ara sacrificale. Per questo fu facile anche larimozione così vasta della balaustra, avendo l'altare stesso assunto la sua funzione.  Ebbene, oggi si ode l'allarme del Magistero sulla crisi della dimensione sacrificale dell'Eucaristia. Non potrebbe essere opportuna allora una nuova e più profonda riflessionesulle modalità liturgiche dell'altare? È da ritenere ormai ed insuperabile la conformazione dell'altare alla sola forma della mensa, senza più recuperare anche quella dell'ara elevata e maestosa? Non potrebbe nel tempo questa riduzione dell'altarecondizionare l'equilibrio del dogma eucaristico, che si trasmette nel cuore dei fedeli primariamente nellacorrettezza del rito e dei luoghi liturgici che ad esso sono connessi? Gli altari storici sino da congedare definitivamente e il loro ruolo è ormai del tutto museale? La storia della Chiesa e della sua liturgia non forse ancora aperta ad uno sviluppo coerente ed organico, che potrebbe trovare per l'altare nuove sintesi in perfetto accordo con la tradizione die secoli? Credo che il santo Pare Benedetto XVI ha richiamato alla Chiesa proprio queste problematiche e in tal senso il suo Magistero ha la forza della profezia.

L'altare nella storia

La storia dell'altare cristiano è molto varia e manifesta la ricchezza insondabile del mistero della nostra fede. Ogni epoca presenta caratteristiche proprie e si esprime con genialità, secondo le diverse sottolineature e sensibilità teologiche dell'identico dogma della fede. Possiamo catalogare quattro fasi dell'altare: l'altare antico, medioevale, barocco e attuale.

L'altare antico col ciborio. Il ciborio conferisce all'altare antico una dignità speciale senza intaccarne la struttura, ma circondandola di venerazione e di solennità. Mediante il ciborio la piccola massa dell'altare si impone nello spazio vasto e solenne della basilica e ne è assicurata la centralità. Le sue colonne rimandano all'immagine biblica della Sapienza che si è costruita la casa e ha intagliato le sue sette colonne [ …] ha preparato il vino e ha imbandito la tavola" (Pr 9,1-2) e la loro staticità afferma la solidità del mistero dell'Incarnazione..

Tutto questo si realizza veramente nel sacro convito dell'Eucaristia. La sua copertura ispira anche l'epiclesi visiva dello Spirito Santo, che è invocazione sempre presente nel divin Sacrificio e la sua cupola apre all'orizzonte celeste e sovrana dell'altare sul quale veramentein mysterioil cielodiscende sulla terra.

L'altare medioevale col dorsale. L'elezione del dorsale che si sviluppa dall'epoca gotica fino ai nostri giorni dimostra visivamente la necessità di descrivere con il genio dell'arte l dimensioni del mistero che sull'altare si compie. Sia gli eventi della vita del Signore, come di quelle della Madonna e dei santi non sono che aspetti parziali e applicazioni particolari dell'unico sacrificio di Cristo che viene attuato sacramentalmente nella celebrazione. La varietà dei temi descritti nellpale degli altari e nellemonumentali strutture dorsali che si sviluppano e salgono dalla mensa dell'altare sono la proclamazione visiva dei mirabili e molteplici frutti dell'unico Sacrificio di Cristo. Il mistero eucaristico si traduce medinate il genio dell'arte nell'infinprisma dei santi, che ne sono i frutti eccelsi e il segno glorioso  della sua intima ed inesauribile vitalità.

Ciò che l'Occidente ha espresso col dorsale dell'altare, l'Oriente lo esprime con l'iconostasi. Mentre il primo mostra al popolo le meraviglie della grazia sovrastando il sacerdote nell'atto di compiere il divin Sacrificio, l'iconostasi orientale comunica al popolo lo splendore dei misteri e dei santi velando ilsacerdote che celebra la divina liturgia. Oriente e Occidente quindi si trovano d'accordo nella necessità di educare al mistero con la bellezza dell'arte, che a guisa di viticci nasce dall'altare, lo circonda e lo sovrasta offrendo i tanti capolavori secolari dei nostri altari.

L'altare barocco col tabernacolo. Col Concilio Tridentino il tabernacolo viene permanentemente intronizzato sull'altare e in altro modo si sana la secolare bipolarità tra altare e tabernacolo dei secoli precedenti.  Effettivamente il tabernacolo ha il suoluogo proprio sulla mensa dell'altare dove il Sacramento nasce, il Sacrificio è offerto e il Pane santo è donato. Nessun luogo è più consono dell'altare stesso, che così rimane sempre vivo e "acceso" anche fuori della celebrazione.

Nienet può conferire maggior dignità ed identità all'alatre come il Santissimo Sacramento. Infatti, mentre l'altare rimane our sempre un simbolo sacro, il Sacramento è la presenza viva e personale di Colui che è realmente e permanentemente "altare, vittima e sacerdote". A livello di principio quindi il legame altare e tabernacolo è indissolubile e ogni separazione è sempre precaria e fonte di possibile squilibrio.

L'altare attuale verso il popolo. L'intento pastorale della recente riforma liturgica ha offerto la possibilità della celebrazione verso il popolo. Essa permette certamente molte opportunità, soprattutto pastorali. E consente di evidenziare aspetti che arrrichiscono il modo di celebrare il divin Sacrificio. È tuttavia necessario non assolutizzare  questa concessione e non indulgere ad un nuovo fissismo su una forma ancora recente in via di valutazione. L'apertura mentale ai secoli di storia liturgica, unita ad una inevitabile indagine teologica, deve rendere disponibile la Chiesa a soluzioni varie w prospettive di nuove sintesi.

Fino al Vaticano II le diverse tipologie degli altari, espressioni delle diverse epoche storiche, di differenti visioni etologiche, di diverse prestazioni liturgiche e di gusti e tecniche artistiche succesivesono vissute insieme in pace. I sacerdoti e i fedeli non avevano difficoltà a riconoscere in forme diversedi altari e in stili differenti l'unico altare cristiano che, dall'origine, cammina nel tempo assumendo il genio dei secoli. Si celebrava con spontaneità e senza percepire difficoltà alcuna sull'altare antico, su quello rinascimentale, su quello barocco e su quello di recente costruzione.

Dopo il Vaticano II sembra che quella continuità pacifica e normale si sia interrotta. Tutti gli altariprecedenti improvvisamente sono stati congelati come inadatti. Essi sono ancora ammirati ma dichiarati inutilizzabili. Da questo momento si deve rigorosamente rifare l'altare e su questo nuovo  altare si deve necessariamente celebrare. Vi è quindi una frattura fra il prima e il dopo, fatto che non si era verificato in passato, ma le forme nuove degli altari non cancellavano le precedenti e con esse convivevano in pace. Ed ecco che nelle nostre chiese storiche dalle più piccole alle grandi basiliche 'altare maggiore di sempre domina sovrano, ma resta muto e spoglio di ogni sua insegna. Osserva dall'alto dellasua maestà una struttura debole, spessissimo mobile, di dimensioni ridotte che riceva ormai da anni gli onori liturgici e offre la sua mensa alla celebrazione del gran Sacrificio.

Cosa è avvenuto? Come mai questo congedo illimitato di tutti gli altari storici? Saranno licenziati per sempre? Essi ricevono la visita guidata dei turisti, sono fotografati, ammirati, descritti in appositi opuscoli e suscitano tanto stupore, sia nella loro architettura monumentale, come nella preziosità dei loro materiali e nella genialità dele loro sculture e pitture, ma il loro sguardo sembra triste. Essi non sono più l'altar maggiore e non possono più pretendere né gli onri liturgici, né accogliere la funzione più grande per cui furono edificati., il Sacrificio divino. La loro splendida arte li assicura almeno in ordine alla loro sussistenza. Ma non tutti ebbero tale sorte: alcuni furono mutilati o anche del tutto rimossi. Per fortuna i loro migliori amici sembrano essere fuori della chiesa. Coloro che stanno in chiesa li guardano piuttosto male e se potessero  … Ma quelli che in qualche modo li osservano da lontano e li visitano quasi da ospiti, li valutano e sempre più si sono organizzati per evitare la loro estinzione. Perché è successo e succede questo fenomeno?

Certamente hanno influito due cause, che se buone nel principio, hanno degenerato in applicazioni estreme: la possibilità di celebrare rivolti al popolo e l'intento pastorale di essere il più possibile vicini all'assemblea. Ed ecco che estremizzando queste indicazioni ci si risolse in modo fanatico e univoco a celebrare assolutamente sempre e in ogni chiesa verso il popolo. Dalla possibilità si giunse alla obbligatorietà della celebrazione verso il popolo. Praticamente dopo il Concilio si deve assolutamente far così, si dice, e non c'è altra modalità per chi vuol essere fedele al Concilio. Inoltre si intese la vicinanza al popolo come una prossimità fisica a tutti gli effetti. Ossia la visibilità ottica, che richiede distanza ed è più efficace in ordine alla partecipazione, era ritenuta insufficiente e ogni maestà doveva essere del tutto rimossa dalla forma dell'altare. Esso doveva assumere al rigorosa ed esclusiva forma di unacomune mensa. Sguardo al popolo e vicinanza fisica ad esso intesa in modo plebiscitario non poté che congedare ogni altro altare precedente e renderlo inutilizzabile.

Con questi criteri  l'altare con dorsale è del tutto giudicato inabile, ma anche l'antico altare con ciborio può essere lasciato in ombra perché troppo lontana dalla gente. Ma fissare in modo assoluto e insuperabile i due criteri sopra esposti e dichiararli gratuitamente dettati conciliari è difforme dalla realtà. Né il Concilio ha imposto la celebrazione verso il popolo, né ha dichiarato l'inabilità degli altari storici, né ha ordinato una vicinanza fisica all'assemblea ottenuta ad ogni prezzo. Si tratta allora di uscire dal pregiudizio così diffuso ed egemone  nel post concilio e di ripensare ad unaopportuna riconciliazione.

Credo che non sia possibile relegare nell'inutilità e nell'abbandono i grandi altari storici, ma la liturgia stessa ne avrebbe giovamento se, rispettando dovutamente e intelligentemente il genio e la tipologia delle diverse chiese, si celebrasse in modo diversificato. Allora non vi sarà frattura, ma continuità e, soprattutto, si potrà uscire da quellasituazione provvisoria di altari fragili e inadatti, che da decenni ormai occupano le zone presbiterali.

Credo che il messaggio del papa Benedetto XVI nel celebrare sull'altare della Cappella Sistina sia stato su questa linea per suscitare una mentalità al riguardo più equilibrata, possibilista e meno fissista.   

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