Il Canone Romano non pone accanto a Cristo figure a caso, ma si vede la presenza eucaristica di Cristo attraverso la storia

L'ho tratto da "per Amore" di Joseph Ratzinger - da pp.119 a 126  

  Nella prima lettura del Corpus Domini appare in mezzo a noi la figura di Melchisedek, il sacerdote di Salem, quasi per stare insieme con noi alla mensa del Signore, per accompagnare insieme con noi la processione dei popoli verso Cristo. In Melchisedeh, si palesa ancora una volta e più profondamente l'ospitalità di Dio, alla quale molti da Nord e da Sud, da Oriente e da Occidente sono chiamati. In Melchisedek divengono visibili i due spetti necessari e inscindibilmente legati dell'ospitalità eucaristica: l'aspetto religioso-spirituale e quello corporale. Melchisedek era sacerdote, ma non apparteneva alla stirpe di Abramo e alla sua religione. Anche spiritualmente egli era un estraneo per Abramo. E tuttavia Abramo riconosce in questo sacerdote del Dio altissimo quella stessa fede che è divenuta stella polare anche della sua vita, riconosce che è divenuta stella polare anche della sua vita, riconosce una comunanza di chiamata e di sequela. Così in Melchisedek incontriamo una figura autenticamente ecumenica. Contro il fanatismo delle ideologie, contro l'auto-indurimento del cuore, che finisce nel fanatismo, di compagini religiose, egli incarna la grande magnanimità della fede che abbraccia tutti quelli che sono alla ricerca dell'eterno e che si sforzano di plasmare il mondo a partire da esso. Abramo e Melchisedek potrebbero oggi rappresentare un richiamo continuo per noi, per tutti i cercatori di Dio di questo nostro tempo, ad accettarsi a vicenda, a sostenersi vicendevolmente nella comune ricerca dell'eterno, a sostenersi vicendevolmente nella comune ricerca dell'eterno; a contrapporre alla comune caduta nel materialismo, anche se con forme e nomi diversi, un unico stare insieme, la magnanimità del cuore che scaturisce dallo stare insieme con Dio.  Abramo diede a questo sacerdote straniero la decima come se fosse uno del suo popolo. Nell'Antica Alleanza, le prerogative del sacerdote erano simili a quello dello straniero e del povero. Si sapeva che è in persone di questo tipo che avviene l'incontro con Dio; che per mezzo dello straniero, del povero e del sacerdote, Dio vuole entrare in questo mondo. L'Antico Testamento condivide una convinzione originaria dell'umanità, quella per cui uno straniero Dio potrebbe sedersi alla mia tavola; nell'incontro con lo straniero si decide il mio rapporto con Dio. In effetti Melchisedek si presenta ad Abramo un precursore di Gesù Cristo.

Credo che questo ci riguardi moltissimo, in un Paese con problemi legati a lavoratori stranieri e richiedenti asilo, con problemi legati alla convivenza tra stranieri e nativi. Ci sono certamente richieste di asilo che scaturiscono da ragioni sbagliate, il rincorrere il benessere materiale. Ma per chi ha veramente bisogno del nostro aiuto, ci deve sempre essere posto. In tutti i poveri, i sofferenti e i perseguitati è Cristo, il Signore, che continua a bussare alla nostra porta. Così da noi non deve esserci un indurimento su ciò che è nostro e ostilità per gli stranieri. L'essere cristiani si manifesta proprio nell'apertura reciproca, nell'accettarsi vicendevole, nella disponibilità a crescere insieme e ricevere gli uni dagli altri.

Torniamo a Melchisedek! Secondo un'antichissima tradizione cristiana l'Antico Testamento partecipa alla festa del Nuovo. La nostra processione del Corpus Domini ha sempre voluto essere partecipazione al grande pellegrinaggio dei popoli verso l'eterno. Nella grande processione del Corpus Domini di Monaco di Baviera del 1582, ad esempio, vennero rappresentate 59 scene bibliche e quasi 4000 personaggi, come dire l'intero Antico e Nuovo Testamento. L'intera storia della salvezza camminava per le strade della nostra città. Certo, una rappresentazione così sfarzosa è espressione anche della sensibilità teatrale e del gusto per la rappresentazione scenica tipiche di quell'epoca. Ma il tema che qui viene in luce appartiene al deposito originario della fede cristiana e delle fede eucaristica espressa bene dal Canone Antico. Nel Canone Romano, la prima preghiera eucaristica della santa Messa, preghiamo Dio di accettare la nostra offerta così come ha voluto accettare i doni di Abele, l'oblazione di Melchisedek, il sacrificio di Abramo. Abele, Melchisedek e Abramo rappresentano tre epoche della storia delle religioni e della storia dell'umanità a cui ci uniamo in ogni celebrazione dell'Eucarestia.

A questo riguardo è stata sollevata naturalmente la domanda se una preghiera del genere sia veramente corretta; se non si contrapponga alla definitività del sacrificio di Cristo; se non si misconosca l'assoluta e completa sufficienza di quello che egli ha fatto, tentando di edificarvi accanto ancora una volta opere proprie; se non rappresenti un ritornare indietro a prima di lui, all'Antico Testamento.

Per trovare una risposta, osserviamo queste tre figure un po' più da vicino. C'è Abele che sacrifica l'agnello, ma poi è lui stesso sacrificato, divenendo "agnello" (Gn 4,3-8). In lui già risplende il mistero di chi è divenuto l'Agnello di Dio in questo mondo. In Abele l'umanità va incontro a Cristo e Cristo viene incontro a noi. E per questo il Canone della Messa gli ha attribuito anche due titoli di Cristo: "puer iustus", "servo di Dio" (che può significare anche "bambino di Dio"), e "il giusto".

Accanto ad Abele vediamo Melchisedek. Il suo nome significa: "Re di giustizia". È localizzato a Salem, che significa "pace". Melchisedek è il "re di giustizia" che vive nel luogo della pace e offre a Dio pane e vino, i doni della creazione, quale ringraziamento della creazione. Anche attraverso di lui si manifesta chi è il vero Re dell'universo; si manifesta chi è che ha creato la giustizia in mezzo a noi e il cui luogo è la pace. Pace è un'autentica designazione per l'Eucarestia, il luogo in cui Cristo regna e porta gli uomini nella pace di Dio. Attraverso Melchisedek  si manifesta chi è che ha fatto del pane del vino i doni della creazione, il segno della sua presenza in mezzo a noi, perché egli stesso è il chicco di grano morto, l'uva calpestata e divenuta vino. Così ancora una volta, anche in Melchisedek, l'umanità va incontro a Cristo e Cristo viene incontro a noi.

poi Abramo. Il suo autentico sacrificio consiste nella disponibilità a donare, in suo figlio, il suo futuro, a privarsi del futuro, a mettere il suo futuro nelle mani di Dio (Gn 22,1-19). Se pensiamo che allora si riteneva che l'immortalità dell'uomo, il suo futuro, consistesse nel continuare a vivere nei discendenti, allora Abramo, in suo figlio, dava via la promessa ricevuta, la sua benedizione, dava via se stesso. L'intero itinerario di Abramo fu un itinerario verso il futuro Agnello. Anche in lui si manifesta Cristo, l'Agnello di Dio.

Questa breve panoramica ci mostra che il Canone Romano soprattutto nella forma nella forma della liturgia antica, non pone accanto a Cristo figure a caso. Si vede invece come Cristo attraversi tutta la storia, come egli, lungo tutta la storia, vada incontro all'uomo e come in tutti i tempi ci siano uomini che sono la sua strada attraverso il tempo. In tutti loro avviene la processione dei popoli verso il Signore cioè il Padre, l'Amante, il Figlio, l'Amato, lo Spirito Santo, la Comunione d'amore del Padre con il Figlio e con l'umanità nel cosmo.

Così Abele, Melchisedek e Abramo rendono evidente a cosa rimanda la processione del Corpus Domini. Nella processione del Corpus Domini si vede cosa siamo: popolo di Dio in pellegrinaggio verso la terra del futuro. E nella Chiesa si vede che cosa è l'umanità, che cosa è la storia: l'essere in cammino verso le cose future, l'essere in cammino incontro al Signore che ha creato, redento il mondo e lo chiama affinché diventi il suo Regno. Di certo nell'Antica Alleanza c'è qualcosa di antico e nella Nuova qualcosa di nuovo rispetto all'antico. Sulle figure dell'Antica Alleanza aleggia ancora un certo desiderio insoddisfatto, addirittura una certa tristezza, se pensiamo ad Abele ucciso, se pensiamo allo sguardo d'attesa di Abramo. Tutti loro tendono la mano verso il futuro e lo invocano prima ancora che esso ci sia.

La celebrazione dell'Eucarestia, attraverso la transustanziazione, significa però che la risposta di Dio è presente realmente. La celebrazione dell'Eucarestia significa che Cristo crocefisso e risorto entra e dice: Ecce adsum, "Io sono presente". Lui, che è la terra del futuro, è già, sta già in mezzo a noi. Il nostro cammino non va più verso l'indefinito, ma va verso colui che è già presente. Per questo l'Eucaristia della Nuova Allenza è sempre festa della gioia, per questo possiamo compiere la processione verso la terra futura come gioia e ringraziamento. Ma siamo ancora in pellegrinaggio, siamo immessi nella processione dei grandi viandanti verso l'eterno. Con loro camminiamo verso l'eterno affinché lo sguardo benigno di Dio splenda su di noi, come dice la preghiera del Canone.     

Abele, Melchisedek e Abramo contribuiscono ognuno con qualcosa di proprio all'interpretazione del mistero di Cristo. L'amore di Cristo è più forte. Abele è più forte di Caino. L'amore, non la violenza, resta e vince. Questa è la grande professione che facciamo in ogni Messa insieme con l'Agnello sacrificato, con il coraggio, in mezzo a un mondo di violenza, di essere comunque uomini grati e lieti. L'amore è più forte della violenza. La violenza non costruisce mai. Non c'è alcun fine che potrebbe giustificare la violenza come mezzo. Chi usa la violenza per costruire ciò che sarà, è un uomo violento e senza rispetto per la dignità dell'uomo che cioè ha buttato via proprio quello che dovrebbe essere il nostro futuro. C'è solo un mezzo che è esso stesso fine: l'amore. Per questo "dimostriamo" con Abele contro Caino. In questo tempo di violenza ci mettiamo dalla parte di Abele, dalla parte di Gesù Cristo, e professiamo che l'amore di Cristo è più forte, che esso è la terra del futuro.

L'amore di Dio è la nostra via e il nostro fine. Questo non vale solo nei rapporti tra stranieri e nativi; vale anche nei rapporti tra noi. Quanta solitudine c'è fra noi, fin dentro le nostre famiglie; quanta solitudine  nei giovani che non hanno nessuno con cui parlare dei loro bisogni e si sentono incompresi; quanta solitudine nei malati, negli anziani; quanta solitudine e incomunicabilità  fra le generazioni; quanta solitudine nei moribondi. Quando oggi ci lasceremo, il nostro cammino, la nostra processione dovrà continuare verso tutti loro; le vie che portano a loro sono e siano le nostre vie quotidiane; le nostre vie con Cristo verso il Padre, come oggi nell'Eucaristia la via che ci accomuna. In questa fede, andiamo con Cristo.

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