Il ministero sacerdotale è ministero della fede in senso sia soggettivo e sia oggettivo

È genitivo oggettivo, perché il nostro ministero ha per oggetto la fede. Il sacerdote, in questo senso, è ministro della Parola di Dio, custode del deposito tradizionale della fede, predicatore della verità rivelata. Ma è anche genitivo soggettivo, cioè il sacerdozio è ministero che nasce dalla fede e si esercita come conseguenza della fede di colui che è stato ordinato. Se perciò la fede manca o è debole, le conseguenze per il ministero saranno disastrose.

Robert Sarah in "A servizio della verità" da pagina 28 a pagina 33

Occorre partire dalla classica  distinzione tra fides qua creditur e fides quae creditur, cioè la fede con la quale si crede (senso soggettivo) e la fede che si crede (senso oggettivo). La seconda è la dottrina della fede, mentre la prima è l'adesione personale del credente. È da sottolineare che, per la teologia cattolica, vi è un vero atto di fede solo quando entrambe queste dimensioni sono presenti insieme. Infatti, questa è una distinzione teologica. È una distinzione giusta, ma nell'atto di fede le due dimensioni pur distinte, devono assolutamente essere sempre unite. Se così non fosse, noi avremmo una pseudo fede, non la vera fede cattolica. Si potrebbe avere, infatti, una buona fides quae cioè una buona conoscenza dottrinale. Ma rimane necessaria l'adesione esistenziale alla dottrina professata. Negli ultimi decenni, abbiamo più volte constatato che sono esistiti sacerdoti e laici (alcuni di questi anche tra i fondatori di nuovi istituti e movimenti ecclesiali) i quali hanno professato una sana fede a livello dottrinale, ma poi sono stati scoperti colpevoli di abusi di vario genere: abusi di coscienza, abusi di autorità, abusi psicologici e anche fisici. D'altro canto, conosciamo anche tanti casi di sacerdoti che, dal punto di vista puramente soggettivo, sono tutto sommato delle buone persone, ma nel loro insegnamento e nelle decisioni pratiche del loro ministero non seguono la dottrina della Chiesa, almeno non in tutti i casi. Questo sarebbe il caso di chi magari ha una buona fides qua, cioè crede sinceramente al Signore ed è spesso capace anche di dedizione nell'impegno ecclesiale, però ha un pensiero che si discosta, in tutto o solo in parte, dal pensiero di Cristo. Così, nelle sue iniziative, tale sacerdote seguirà un pensiero mondano, non quello evangelico secondo la Chiesa. In questo caso, egli produrrà danno sia alle singole anime, sia alla Chiesa nel suo insieme, per quanto le sue intenzioni puramente soggettivo possano essere buone.

Noi abbiamo bisogno di sacerdoti di fede quindi felici di essere sacerdoti. Ma di fede secondo il senso completo della categoria: sia fides qua sia fides quae creditur.

Dalla fede nasce lo zelo. Se il sacerdote aderisce ecclesialmente con tutto séstesso Cristo e professa senza tentennamenti la dottrina della Chiesa, da lì sorgerà spontaneamente l'amore per la salvezza eterna delle anime e quindi l'impegno e anche il sacrificio perché la propria vita sia usata dal Signore per salvare gli uomini: questo è lo zelo! Al sacerdote di vera e solida fede, in fondo, non costerà neanche troppo – nonostante l'ovvia stanchezza di qualche momento -mettere la propria vita nelle mani di Gesù crocifisso, risorto e asceso cioè presente e dirgli: "Usami, Signore. Prendi tutto. Ti do tutto di me, perché tu lo utilizzi per i tuoi fini!" Lo zelo per le anime è, in fondo, prima di tutto zelo pe ril Signore, per la sua causa.

Il sacerdote di fede non compie i suoi doveri perché si aspetta di ricevere qualcosa in cambio. Li compie perché ha capito che è giusto e bello. Perché ha capito che questo è il senso vero della sua vita. Lo zelo e l'azione zelante riempiono i suoi pensieri, i suoi piani, il tempo delle sue giornate e forse anche dei suoi sogni. Il lavoro stanca, questo è vero! M ail lavoro fatto per amore di Cristo al tempo stesso rinfranca, In una bella preghiera, Sant'Ignazio di Loyola si esprime così:

Prendi, Signore, e accetta ogni mia libertà, la mia memoria, la mia intelligenza, tuttala mia volontà, tutto ciò che ho e posseggo. Tu me lo hai dato; a te, Signore, lo riocnsegno. Tutto è tuo. Disponi di essi secondo tutta la tua Santa Volontà. Dammi il tuo amore e la sua grazia: questo mi basta!

Come si capisce, questo tipo di preghiera e i sentimenti spirituali da essa espressi possono scaturire solo da una fede forte. Una fede forte, parlando in modo generale, viene inculcata nell'animo soprattutto da bambini. Per questo notiamo quale grave danno rappresenti la mancanza di educazione religiosa in famiglia. Quando la fede forte non viene inculcata da bambini, bisognerà in un secondo momento recuperare il tempo perduto, il che è sempre più difficilecome dimostra, per esempio, la difficoltà che si impiega nell'imparare una lingua quando si è già in età avanzata. Invece la lingua materna è quella che si parla meglio, con agilità di parola, con esattezza di pronuncia e correttezza grammaticale. La mente del bambino è una mente prodigiosa: è come una spugna che assorbe tutto e lo imprime per sempre al proprio interno. Com'è importante, quindi, che assieme al latte materno sia dato ai piccoli anche il latto della fede! Come sacerdoti, dobbiamo avere molto a cuore la retta formazione nella fede dei piccoli. Non disprezziamoli! Ricordiamoci che spesso la Madonna non è apparsa ai grandi, ma ai piccoli. Ciò significa che essi sono in grado di capire e anche sono in grado di fare sacrifici per Dio.

La fede forte, inculcata in noi quando eravamo piccoli o recuperata in seguito, deve rimanere tale, cioè solida. E, di nuovo, deve rimanere forte sia a livello personale sia dottrinale. Il sacerdote deve curare bene la propria fede, sia con opportuni studi e letture (per la fides quae) sia con la preghiera e la penitenza (per la fides qua). I latini dicono nemo dat quod non habet: nessunopuò dare agli altri ciò che manca a lui. Quindi, come daremo la fede se non abbiamo fede?

È utile, per rafforzare la fede, anche metterla alla prova di tanto in tanto. In genere saranno prove piccole: per esempio lasciare in un programma che stiliamo, qualche cosa di indeterminato, per evitare che la nostra superbia pretenda di dominare e stabilire tutto. Lasciare, cioè, un piccolo spazio di cui si dovrà occupare il Signore e non io, in modo che rimanga vigile la miaconsapevolezza che l'uomo propone ma è Dio che dispone. Un altro esempio è quello proposto da un buon vescovo vivente, nell'ambito di un corso di Esercizi Spirituali da lui dettato. Tale vescovo disse ai sacerdoti che seguivano gli Esercizi"Ogni tanto azzerate il vostro conto bancario. Prendete tutto quello che c'è e datelo ai poveri o per aggiustare la chiesa o per acquistare paramenti e dei vasi sacri degni. Azzerate il conto bancario. Farete così l'esperienza di tante persone che vivono sperando presto il 27 del mese, quando cioè verrà loro versato lo stipendio o la pensione. Molte migliaia di famiglie vivono così e, magari, hanno un senso della Provvidenza più vivo di tanti sacerdoti che se ne stanno tranquilli solo perché hanno tanti quattrini da parte".

Certo, è una proposta forte, ma proprio per questo ci colpisce. Quanti fedeli non hanno soldi eppure li vediamo felici e sereni. Confidano in Dio più di noi. Sì, hanno fede più di noi! Certamente non hanno letto tanti libri come noi, non sanno tante cose come noi. Sanno poche cose sulla fede, però quelle poche le vivono veramente.

Mettiamo un po' alla prova la nostra fede ogni anno. Se non ce la sentiamo di azzerare il conto in banca perché la nostra fede è troppo piccola per questo, allora pensiamo a qualche altra cosa più facile. Ma Dio nella Bibbia spesso mette alla prova la fede dei suoi eletti, per vedere se davvero credono in Lui. Gli Esercizi Spirituali non sono in fondo anche questo? Non sono un momento in cui mettere a nudo, e quindi mettere alla prova lo stato della nostra fede? Non è un momento in cui chiedere a Dio di darci più fede, di aumentare la nostra fede, come chiesero gli APOSTOLI? (Lc 17,6). Di certo, gli Esercizi Spirituali sono anche questo. Vogliamo essere sacerdoti più zelanti? Chiediamo al Signore che aumenti la nostra fede e poniamo, anche da parte nostra, i mezzi buoni per raggiungere quetso fine buono.

Signore, Aumenta la nostra fede (Lc 17,6)

Abramo ebbe fede nel Signore e Dio glielo accreditò come giustizia (Gen 15,6; Rm 4,20-25).

Per concludere, un piccolo aneddoto edificante, dalla biografia di San Giovanni Bosco. Un giorno il santo non aveva letteralmente cosa mettere in tavola per sfamare i tanti giovanissimi del suo oratorio. Non aveva neppure soldi in cassa per acquistare qualcosa. La situazione era disperata: lui avrebeb digiunato anche volentieri, ma i suoi ragazzi? Andò in cappella e rivolse un'accorata supplica a San Giuseppe, perché san Giuseppe in terra ebbe per compito di provvedere a tutto quello che serviva a Gesù e Maria. Dopo un po' di tempo, si presentò alla porta dell'oratorio un signore mai visto prima, il quale lasciò una grande quantità di viveri per sfamare i ragazzi ivi ospitati. San Giuseppe aveva colpito ancora!

Impariamo da questa storia una cosa molto importante. San Giovanni Bosco non era certo uno sprovveduto. Egli non aveva inaugurato o sviluppato la sua opera senza preoccuparsi in alcun modo della gestione economica, al contrario sappiamo che molte sue incombenze riguardavano l'amministrazione del nascente istituto. Ma in un'opera del genere possono avvenire cose non previste, come nel giorno in cui mancò del tutto icibo per i ragazzi. Don Bosco, però, sapeva che dove l'uomo non può prevedere, Dio può provvedere. Egli inoltre sapeva che quell'opera non l'aveva aperta secondo un suo piano personale, ma seguendo il piano ispiratogli da Dio. L'opera di Don Bosco era in realtà l'opera di Gesù. Gesù, dunque, almeno nelle emergenze, doveva intervenire.

Episodi del genere si incontrano a migliaia nelle biografie dei santi. Perché? Non perché fossero dei superuominima perché erano uomini di fede. Preghiamo che lo Spirito Santo doni a tutti i sacerdoti la fede semplice e solida dei santi per essere felici.

 

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