Il cortile dei pagani

Un “cortile” per chi cerca il Dio ignoto

“Anche le persone che si ritengono agnostiche o atee devono stare a cuore a noi come credenti. Quando parliamo di una nuova evangelizzazione, queste persone forse si spaventano. Non vogliono vedere se stesse come oggetto di missione, né rinunciare alla loro libertà di pensiero e di volontà. Ma la questione circa Dio rimane tuttavia presente pure per loro, anche se non possono credere al carattere concreto della sua attenzione per noi. A Parigi ho parlato della ricerca di Dio come motivo fondamentale dal quale è nato il monachesimo occidentale e, con esso, la cultura occidentale. Come primo passo dell’evangelizzazione dobbiamo cercare di tenere desta tale ricerca; dobbiamo preoccuparci che l’uomo non accantoni la questione su Dio come questione essenziale della sua esistenza. Preoccuparci perché egli accetti tale questione e la nostalgia che in essa si nasconde. Mi viene in mente la parola che Gesù cita dal profeta Isaia, che cioè il tempio dovrebbe essere una casa di preghiera per tutti i popoli (Isaia 56,7; Marco 11,17). Egli pensava al cosiddetto cortile dei gentili, che sgomberò da affari esteriori perché ci fosse lo spazio libero per i gentili che volevano pregare l’unico Dio, anche se non potevano prendere parte al mistero, al cui servizio era riservato l’interno del tempio. Spazio di preghiera per tutti i popoli: si pensava con ciò a persone che conoscono Dio, per così dire, soltanto da lontano; che sono scontente con i loro dèi, riti, miti; che desiderano il Puro e il Grande anche se Dio rimane per loro il “Dio ignoto” (Atti 17,23) Essi dovevano poter pregare il Dio ignoto e così tuttavia essere in relazione con il Dio vero, anche se in mezzo ad oscurità di vario genere. Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di “cortile dei gentili” dove gli uomini possano in qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa. Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto” (Benedetto XVI, Discorso alla Curia, 21 dicembre 2009).

Quanto è utile, percorrendo la Palestina, narrare la storia di quel Dio che possiede un volto umano cioè Gesù Cristo che è disceso fin nell’ultima profondità dell’essere umano, fin nella notte dell’odio e dell’accecamento, fin nel buio della lontananza dell’uomo da Dio, per accendere lì la luce del suo amore. Egli è presente perfino nella notte più profonda. Così l’incontro con i luoghi della salvezza nella chiesa dell’annunciazione a Nazaret, nella grotta della natività a Betlemme cogliendo la sua umiltà, nel luogo della crocifissione sul Calvario cogliendo il suo amore fino a lasciarsi uccidere per amore di ogni singolo e dell’umanità nel suo insieme, davanti al sepolcro vuoto, testimonianza della risurrezione per la vita veramente vita che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell’intimo ogni uomo aspetta: è toccare con mano la storia di Dio con noi. La fede di chi crede in Cristo non è un mito. E’ storia reale, vera, le cui tracce possiamo toccare con mano. Questo realismo della fede fa particolarmente bene nei travagli del presente. Dio si è veramente mostrato come speranza affidabile. In Gesù Cristo Egli si è veramente fatto uomo. Come Risorto, il Vivente Egli rimane vero Uomo, apre continuamente la nostra umanità a Dio ed è sempre il garante del fatto che Dio è un Dio vicino. Sì, Dio vive e sta in relazione con noi. In tutta la sua grandezza è tuttavia il Dio vicino, che non costringe perché un rapporto costretto non è più un rapporto di amore. Il Dio – con – noi continuamente ci chiama: lasciatevi riconciliare con me e tra voi! Egli pone nella nostra vita personale e comunitaria un di più di umanità con il compito della riconciliazione.

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