Che significato ha l'Ascensione Perché rende felici
Tratto da Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazaret. Dall'ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011, pp. 309-324
Tutti e quattro i Vangeli, come anche il rapporto di san Paolo sulla risurrezione in 1 Corinzi 15, presuppongono che il periodo delle apparizioni del Risorto sia stato limitato nel tempo. Paolo è consapevole che a lui, come ultimo, è stato concesso ancora un incontro con il Cristo risorto. Anche il senso delle apparizioni è chiaro in tutta la tradizione: si tratta, innanzitutto, di raccogliere una cerchia di discepoli che possano testimoniare che Gesù non è rimasto nel sepolcro, ma che è vivo. La loro testimonianza concreta si traduce essenzialmente in una missione: devono annunciare al mondo che Gesù è il Vivente – la Vita stessa da far propria con la Fede e i Sacramenti.
Hanno il compito di tentare anzitutto ancora una volta di raccogliere Israele attorno al Gesù risorto. Anche per Paolo l'annuncio comincia sempre con la testimonianza davanti ai Giudei ai quali la salvezza è destinata in primo luogo. Ma la destinazione ultima degli inviati di Gesù è universale: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli» (Mt 28,18s). «Mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8). «Va', dice infine il Risorto a Paolo, perché io ti manderò lontano, alle nazioni» (At 22,21).
Fa parte del messaggio dei testimoni anche l'annuncio che Gesù verrà di nuovo per giudicare i vivi e i morti e per stabilire definitivamente il regno di Dio nel mondo.
I discepoli hanno, certamente, parlato del ritorno di Gesù, ma soprattutto hanno testimoniato che Egli è Colui che ora vive, che è la Vita stessa in virtù della quale anche noi diventiamo viventi (cfr Gv 14,19).
Ma come si realizza questo? Dove lo troviamo? Lui, il Risorto, l'«Innalzato alla destra di Dio» (cfr At 2,33) non è forse, di conseguenza, del tutto assente? O è invece in qualche modo raggiungibile? Possiamo noi inoltrarci fino «alla destra del Padre»? Esiste, tuttavia, nell'assenza anche una reale presenza? Non viene forse a noi solo in un ultimo giorno non noto? Può venire anche oggi?
Queste domande caratterizzano il Vangelo di Giovanni, e anche le Lettere di san Paolo offrono ad esse una risposta. L'essenziale di tale risposta è però tracciato anche nei racconti sull'«ascensione» con cui si conclude il Vangelo di Luca e cominciano gli Atti degli Apostoli.
Volgiamoci dunque alla conclusione del Vangelo di Luca. Lì si racconta come Gesù appare agli apostoli che, insieme ai due discepoli di Emmaus, sono radunati a Gerusalemme. Egli mangia con loro e dà alcune istruzioni. Le ultime frasi del Vangelo dicono: «Poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio» (24,50-53).
Questa conclusione ci stupisce. Luca ci dice che i discepoli erano pieni di gioia dopo che il Signore si era allontanato definitivamente da loro. Noi ci aspetteremmo il contrario. Ci aspetteremmo che essi fossero rimasti sconcertati e tristi. Il mondo non era cambiato, Gesù si era definitivamente allontanato da loro. Avevano ricevuto un compito apparentemente irrealizzabile, un compito che andava al di là delle loro forze. Come potevano presentarsi davanti alla gente in Gerusalemme, in Israele, in tutto il mondo e dire: «Quel Gesù, apparentemente fallito, è invece il Salvatore di tutti noi»? Ogni addio lascia dietro di sé un dolore. Anche se Gesù era partito da Persona vivente, come poteva non renderli tristi il suo congedo definitivo? Eppure si legge che essi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e lodavano Dio. Come possiamo noi capire tutto questo?
Ciò che in ogni caso si può dedurne è che i discepoli non si sentono abbandonati; non ritengono che Gesù si sia come dileguato in un cielo inaccessibile e lontano da loro. Evidentemente sono certi di una presenza nuova di Gesù. Sono sicuri che il Risorto (come, secondo Matteo, Egli aveva anche detto) proprio ora è presente in mezzo a loro in una maniera nuova e potente. Essi sanno che «la destra di Dio», alla quale Egli ora è «innalzato», implica un nuovo modo della sua presenza, che non si può più perdere – il modo, appunto, in cui solo Dio può esserci vicino.
La gioia dei discepoli dopo l'«ascensione» corregge la nostra immagine di tale evento. L'«ascensione» non è un andarsene in una zona lontana del cosmo, ma è la vicinanza permanente che i discepoli sperimentano in modo così forte da trarne una gioia durevole. E Maria con le sue apparizioni riconosciute o presunte cioè non escluse ci aiuta.
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