Il posto del cristianeismo nel complesso del cammino religioso dell'umanità

Il cristianesimo è “essenzialmente fede in un evento”, mentre le grandi religioni non cristiane ignorano il fatto dell’irruzione dell’eterno nel tempo, che viene a dargli consistenza e trasformarlo in storia

Ecco perché – rileva Joseph Ratzinger in cristianesimo e religioni nel mondo (pp. 39-43) – si capisce la notevole differenza che distingue i patriarchi e i profeti in Israele dai grandi fondatori delle religioni dell’Asia orientale. Se si mettono a confronto i protagonisti dell’Alleanza in Israele cioè l’irruzione della Verità dell’Amore, di Dio nel tempo per dargli
consistenza e trasformarlo in storia di salvezza con le personalità religiose dell’Asia, in un primo momento si può essere colti da un senso di strano disagio. Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè appaiono con tutti i loro inganni e furbizie, con il loro temperamento e la loro inclinazione alla violenza, per lo meno mediocri e miseri accanto a un Buddha, a un Confucio, a un Lao-Tzu; ma persino grandi personaggi profetici come Osea, Geremia, Ezechiele in un paragone del genere non fanno del tutto una bella figura. E’ una sensazione che già ebbero i Padri della Chiesa quando la Bibbia e l’ellenismo si incontrarono. “Se Agostino – Ratzinger -, che aveva scoperto la bellezza della verità nell’Hortensius di Cicerone e aveva imparato ad amarla, trovò la Bibbia, dopo averla presa in mano, indegna di essere associata alla tulliana dignitas, si capisce quale possa essere lo shoc di tale paragone: di fronte alla sublimità del pensiero mistico (indifferenziato di Dio a monte delle differenziate religioni), i protagonisti della storia della fede appaiono terra terra. Anche altri Padri della Chiesa ebbero la stessa impressione: fu qui che Mario Vittorino incontrò le sue difficoltà, e ugualmente Sinesio di Cirene, e, se si leggono i complicati tentativi di scagionare Davide nelle apologie di quel re scritte da sant’Ambrogio, si avverte lo stesso problema e una perplessità che non è superata certo da quei ragionamenti. Non ha senso negare lo “scandalo”, anzi è solo questo che fa capire dove stia il punto del darsi storico di Dio. Visti nell’ottica della storia delle religioni, Abramo, Isacco e Giacobbe non sono davvero “grandi personalità religiose”. Eliminare questo dato attraverso una interpretazione significherebbe scartare per via interpretativa proprio lo stimolo proveniente da un inciampo che conduce a quanto di particolare e unico nel suo genere appartiene alla Rivelazione biblica. Questa particolarità e totale alterità sta nel fatto che Dio, nella Bibbia, non è contemplato, come avviene per i grandi mistici, ma è sperimentato come Colui che agisce rimanendo nell’oscurità (per l’occhio esteriore e interiore). E questo a sua volta dipende dal fatto che in questo caso non è l’uomo, con un proprio sforzo per ascendere attraverso i diversi strati dell’essere, a penetrare a fondo fino a ciò che c’è di più interiore e spirituale, e così a trovare dove stia il divino. E’ vero l’opposto: è Dio che cerca l’uomo in mezzo alle cose del mondo e della terra; è Dio, che nessuno può scoprire da sé, nemmeno l’uomo più puro, a inseguire l’uomo e ad entrare in rapporto con Lui. Si potrebbe dire che la “mistica” biblica non è una mistica dell’immagine ma della parola, la sua rivelazione non è visione dell’uomo, bensì parola e atto di Dio. Essa non è primariamente il trovare una verità, ma l’agire di Dio stesso che dà forma alla storia. Il senso di essa non risiede nel rendersi visibile della realtà divina all’uomo, ma nel rendere colui che riceve la rivelazione protagonista della storia divina. Infatti qui, all’opposto della mistica e della filosofia verso l’essere, è Dio che agisce, ed è Lui a dare all’uomo la salvezza. Ancora una volta è Jean Daniélou  che l’ha riconosciuto con perspicacia. Le sue affermazioni al riguardo meritano di essere abbondantemente citate: “Per il sincretismo (così egli dice. E noi potremo dire: “per le diverse vie religiose al di fuori della rivoluzione inaugurata dai profeti”), le anime salve sono quelle capaci di interiorità, a qualsiasi religione appartengano. Per il cristianesimo, salve sono quelle che credono, qualunque sia il loro grado di interiorità. Un piccolo fanciullo, un operaio oppresso dal lavoro, se credono, sono superiori ai più grandi asceti. “Noi non siamo grandi personalità religiose”, ha meravigliosamente detto Guardini, “noi siamo i servitori della Parola”. Cristo aveva già detto che San Giovanni Battista poteva essere “il più grande tra i figli degli uomini ma che il più piccolo dei figli del Regno è più grande di lui” (Lc 7,28). E’ possibile che nel mondo vi siano grandi personalità religiose al di fuori del cristianesimo, è anche possibile persino che le più grandi personalità religiose si trovino al di fuori del cristianesimo: ciò non ha alcuna importanza. Quel che conta è obbedire alla parola di Cristo”.
Se ciò che è decisivo non è l’esperienza spirituale personale, ma la chiamata divina, allora tutti coloro che credono a questa chiamata divina variamente colta  e liberamente accolta cioè per amore, tutti coloro che credono a questa vocazione, in ultima istanza, sono nella stessa condizione: ognuno identicamente è chiamato. Mentre nelle religioni mistiche il mistico è “di prima mano” e il credente “di seconda mano, nel cristianesimo “di prima mano” è solo Dio stesso e non un dio qualsiasi pensato dall’uomo ma quel Dio che possiede un volto umano, che ci ha amato sino alal fine, l’umanità nel suo insieme e ciascuno in particolare. Gli uomini sono, tutti e ognuno, “di seconda mano”: al servizio della chiamata divina e chi l’ha percepita non può non farne notizia a tutti coloro che incontra e che loro cuore c’è il desiderio di una libera risposta di amore .
Questo è il posto del cristianesimo nel complesso della stroia delle religioni, per conoscer meglio noi stessi e la via nel rapporto con gli altri. Se l’identità ha posto in primo piano ciò che ci distingue, non si può dimenticare ciò che ci unisce: il fatto che noi tutti siamo parte di un’unica storia che, in vari modi, è in cammino verso quel Dio che possiede un volto umano e in tutti c’è questo desiderio. “Chi è cristiano – conclude Ratzinger – ritiene che la storia delle religioni sia una storia reale, una strada la cui direzione significa progresso (dell’uomo verso gli interventi storici di Dio), e il cui cammino significa speranza. Costui deve svolgere il suo servizio come uno che spera, che imperturbabilmente sa che il fine della storia, pur attraverso tutti i fallimenti e le contese degli uomini, si compie: la trasformazione del caos con cui il mondo ebbe inizio, si realizza nella Gerusalemme eterna, in cui l’unico ed eterno Dio abita in mezzo agli uomini e splende ad essi come loro luce per sempre (Ap 21,23; 22,5)”. 

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