La fede è nel pericolo di spegnersi
Per la
Chiesa, in questo momento storico, la priorità che sta al di sopra di tutte è di
rendere Dio presente in questo mondo e di
aprire agli uomini l’accesso a Dio
“La concezione teocentrica e
teologica dell’uomo e dell’universo, quasi sfidando l’accusa di anacronismo e di
estraneità, si è sollevata con questo Concilio in mezzo all’umanità, con delle
pretese, che il giudizio del mondo qualificherà dapprima come folli, poi, Noi lo
speriamo, vorrà riconoscere veramente umane, come sagge, come salutari; e cioè
che Dio è, Sì, reale, è vivo, è personale, è provvido, è infinitamente buono;
anzi, non solo buono in sé, ma buono immensamente altresì per noi, nostro
creatore, nostra verità, nostra felicità, a tal punto che quello sforzo di
fissare in Lui lo sguardo e il cuore, che diciamo contemplazione, diventa l’atto
più alto e più pieno dello spirito, l’atto che ancor oggi può e deve
gerarchizzare l’immensa piramide dell’attività umana” (Paolo VI, 7 dicembre 1965).
“Nel nostro tempo in cui in vaste
zone della terra la fede è in pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più
nutrimento, la priorità che sta al di sopra
di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini
l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul
Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine
(Gv 13,1) – in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il
vero problema di questo momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte
degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità
viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi si
manifestano sempre più. Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla
nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del
Successore di Pietro in questo tempo. Da qui deriva come logica conseguenza che
dobbiamo avere a cuore l’unità dei credenti. La loro
discordia, infatti, la loro contrapposizione interna mette in dubbio la
credibilità del loro parlare di Dio” (Benedetto
XVI, Lettera ai vescovi riguardo alla remissione della scomunica, 10 marzo
2009).
“Si è verificata una impressionante perdita del senso del sacro, giungendo
persino a porre in questione quei fondamenti che apparivano indiscutibili, come
la fede in un Dio creatore e provvidente, la
rivelazione di Gesù Cristo unico salvatore, e la comune comprensione delle
esperienze fondamentali dell’uomo quali il nascere, il morire, il vivere in una
famiglia, il riferimento a una legge morale naturale. Se tutto ciò è stato
salutato da alcuni come una liberazione, ben presto ci si è resi conto del
deserto interiore che nasce là dove l’uomo, volendosi unico artefice della
propria natura e del proprio destino, si trova privo di ciò che costituisce il
fondamento di tutte le cose…Il benessere economico e il consumismo…ispirano una
vita vissuta ‘come se Dio non esistesse’. Ora
l’indifferenza religiosa e la totale insignificanza pratica di Dio per i
problemi anche gravi della vita non sono meno preoccupanti ed eversivi rispetto
all’ateismo dichiarato” (Benedetto XVI,
Ubicumque et
semper, in OR, 13
ottobre 2010, p.4).
“Dio – Omelia a Santiago, 6 novembre 2010 – è
l’origine del nostro essere e il fondamento e il culmine della nostra libertà,
non il suo suppositore…Come è possibile che si sia
fatto pubblico silenzio sulla realtà prima ed essenziale della vita umana? Come
ciò che è più determinante in essa può essere rinchiuso nella mera intimità o
relegato nella penombra? Noi uomini non possiamo vivere nelle tenebre, senza
vedere la luce del sole. E, allora, come è possibile che si neghi a Dio, sole
delle intelligenze, forza delle volontà e calamita dei nostri cuori, il diritto
di proporre questa luce che dissipa ogni tenebra? Perciò è necessario che Dio
torni a risuonare gioiosamente sotto i cieli dell’Europa; che questa parola non
si pronunci mai invano; che non venga stravolta facendola servire a fini che non
le sono propri. Occorre che venga proferita
santamente…L’Europa deve aprirsi a Dio, uscire dall’incontro con Lui senza
paura, lavorare con la sua grazia per quella dignità dell’uomo che avevano
scoperto le migliori tradizioni; oltre a quella biblica, fondamentale a tale
riguardo, quella dell’epoca classica, medioevale e moderna, dalle quali nacquero
le grandi creazioni filosofiche e letterarie, culturali e sociali
dell’Europa”.
L’universo non è il risultato del caso, come alcuni
vogliono farci credere. Contemplandolo, siamo invitati a leggervi qualcosa di
profondo: la sapienza del Creatore, l’inesauribile fantasia di Dio, il suo
infinito amore per noi, per me e l’umanità nel suo insieme. Non dovremmo
lasciarci limitare da teorie che arrivano sempre solo fino a un certo punto e
che – se guardiamo bene – non sono affatto in concorrenza con la fede, ma non
riescono a spiegare il senso ultimo della realtà. Nella bellezza del mondo, nel
suo mistero, nella sua grandezza e nella sua razionalità non possiamo non
leggere la razionalità eterna, e non possiamo fare a meno di lasciarci guidare
da essa fino all’unico Dio, creatore del cielo e della terra. Se avremo questo sguardo, vedremo che Colui che ha
creato il mondo e Colui che è nato in una grotta a Betlemme e continua ad
abitare in mezzo a noi nell’Eucaristia, sono lo stesso Dio vivente, che ci
interpella, ci ama, vuole condurci alla vita eterna. Il creato e la ragione o
senso religioso originario, pur vie necessarie, sono tuttavia penultime,
rispetto alla fede, che unica, può condurre ogni uomo alla meta dell’incontro
con Cristo, cioè alla fede, al nuovo orizzonte di vita veramente vita. Il
linguaggio del creato ci permette di percorrere un buon tratto di strada verso
Dio, tratto necessario per evitare il fideismo, ma non ci dona la luce
definitiva. Occorre ascoltare la voce delle Sacre Scritture: solo esse indicano
la via completa. E’ la Parola di Dio la vera stella che, nell’incertezza dei
discorsi umani, ci offre l’immenso splendore della verità
divina.
Il grande problema dell’Occidente è
l’oblio di Dio, del senso religioso originario senza del quale non ci può essere
una morale e un’etica un’universale nei rapporti umani anche tra religioni e
fede diverse: è un oblio che con la mondializzazione si
espande.
Ma se gli uomini oggi dimenticano
Dio è anche perché spesso si riduce la persona di Gesù a un uomo sapiente e ne
viene affievolita se non negata la divinità. Questo modo di pensare, di
celebrare senza adorazione, impedisce di cogliere la novità radicale del
Cristianesimo, perché se Gesù non è il Figlio unico del Padre, allora nemmeno
Dio è venuto e viene nella storia dell’uomo, abbiamo solo ide umane di Dio.
L’Incarnazione, invece, appartiene al cuore del Vangelo.
“O anima – Udienza del 23 febbraio
2011 , il tuo esemplare è Dio, bellezza infinita,
luce senza ombre, splendore che supera quello della luna e del sole. Alza gli occhi a Dio nel quale si trovano gli archetipi di tutte
le cose, e dal quale, come da una fonte di infinita fecondità, deriva questa
varietà quasi infinita delle cose: pertanto devi concludere: chi trova Dio trova
ogni cosa, che perde Dio perde ogni cosa…
Se hai saggezza, comprendi che sei
creato per la gloria di Dio e per la tua eterna salvezza. Questo è il tuo fine,
questo il centro della tua anima, questo il tesoro del tuo cuore. Perciò stima
vero bene per te ciò che ti conduce al tuo fine, vero male ciò che te lo fa
mancare. Avvenimenti prosperi o avversi, ricchezze e
povertà, salute e malattia, onori e oltraggi, vita e morte, il sapiente
non deve né cercarli, né fuggirli per se stesso. Ma sono buoni e desiderabili solo se contribuiscono alla gloria di
Dio e alla tua felicità eterna, sono cattivi e da fuggire se la
ostacolano”.
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