Anno sacerdotale e nuova evangelizzazione


“Oggi, in piena emergenza educativa, il munus docendi della Chiesa, esercitato concretamente attraverso il ministero di ciascun sacerdote, risulta particolarmente importante… Questa è la funzione (cioè l’ontologia sacramentale) in persona Christi del sacerdote: rendere presente, nella confusione e nel disorientamento dei nostri tempi, la luce della parola di Dio, la luce che è Cristo stesso in questo nostro mondo. Quindi il sacerdote non insegna proprie idee, una filosofia che lui stesso ha inventato, ha trovato e gli piace: il sacerdote non parla da sé, non parla per sé, per crearsi
ammiratori o un proprio partito; non dice cose proprie, proprie invenzioni, ma nella confusione di tutte le filosofie, il sacerdote insegna in nome di Cristo presente, propone la verità che è Cristo stesso, la sua parola, il suo modo di vivere e di andare avanti. Per il sacerdote vale quanto Cristo stesso ha detto di se stesso: “La mia dottrina non è mia” (Gv 7,16); Cristo, cioè non propone se stesso, ma, da Figlio, è la voce, la parola del Padre. Anche il sacerdote deve sempre dire e agire così: la mia dottrina non è mia, non propago le mie idee o quanto mi piace, ma sono bocca e cuore di Cristo e rendo presente questa unica e comune dottrina, che ha creato la Chiesa universale e che crea la vita eterna” (Benedetto XVI, Udienza Generale, 14 aprile 2010).

Allo stesso modo, turbare gli elementi e la struttura dei riti e delle preci liturgiche è sostituire indebitamente gli stessi atti salvifici del Signore e privare i fedeli della grazia che solo da essi scaturisce. Le azioni cultuali inventate dagli uomini, anche con le migliori intenzioni, non hanno efficacia soprannaturale e forza salvifica.

“Centro della nostra vita deve realmente essere la celebrazione quotidiana della Santa Eucaristia; e qui sono  centrali le parole della consacrazione: “Questo è il mio corpo, questo è il mio Sangue”; cioè: parliamo ‘in persona Christi’. Cristo ci permette di usare il suo ‘io’, parliamo nell’io’ di Cristo, Cristo ci ‘tira in sé’ e ci permette di unirci, ci unisce con il suo ‘io’. E così tramite questa azione, questo fatto che Egli ci ‘tira’ in se stesso, in modo che il nostro ‘io’ diventa unito al suo, realizza la permanenza, l’unicità del suo Sacerdozio; con Lui è realmente sempre l’unico Sacerdote, e tuttavia molto presente nel mondo, perché ‘tira’ noi in se stesso e così rende presente la sua missione sacerdotale. Questo vuol dire che siamo ‘tirati’ nel Dio di Cristo: è questa unione con il suo ‘io’ che si realizza nella parola della consacrazione. Anche nell’”io’ ti assolvo” – perché nessuno di noi potrebbe assolvere dai peccati – è l’’io’ di Cristo, di Dio, che solo può assolvere” (Benedetto XVI, IL dialogo con i preti nella veglia, 13 giugno 2010).

E’ Cristo che guida il suo popolo, mediante il ministero umile, obbediente e fedele dei pastori da Lui costituiti. Non può essere disperso e confuso il popolo di Dio dall’anarchia, dal capriccio, dalla presunzione e dall’incompetenza di coloro che sono chiamati a custodire intatta la tunica di Cristo, senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo (Gv 19,23).

E’ missione del sacerdote governare e guidare, con l’autorità di Cristo, non con la propria, la porzione del Popolo che Dio gli affidato…Attraverso i Pastori della Chiesa Cristo pasce il suo gregge: è Lui che lo guida, lo protegge, lo corregge, perché lo ama profondamente. Ma il Signore Gesù, Pastore supremo delle nostre anime, ha voluto che il Collegio Apostolico, oggi i Vescovi, in comunione con il successore di Pietro, e i sacerdoti, loro più preziosi collaboratori, partecipassero a questa sua missione di prendersi cura del Popolo di Dio, di essere educatori nella fede, orientando, animando e sostenendo la comunità cristiana…Ogni Pastore quindi è il tramite attraverso il quale Cristo stesso ama gli uomini: è mediante il nostro ministero – cari sacerdoti – è attraverso di noi che il Signore raggiunge le anime, le istruisce, le custodisce, le guida” (Benedetto XVI,  Udienza Generale, 27 maggio 2019).

La fedeltà a questi tre vincoli di Comunione – il dogma, l’ontologia sacramentale, la disciplina – garantisce efficacia e grazia al ministero sacerdotale anche in vista della Nuova Evangelizzazione e il ministero di Pietro offre alla Chiesa che evangelizza la massima sicurezza. Si evangelizza con la Chiesa e attraverso la Chiesa e ogni Papa, anche Benedetto XVI è Pietro soprattutto per noi preti. Paolo VI, nel giugno del 1969, si presentò di fronte al Consiglio Ecumenico della Chiese a Ginevra esclamando: “Mi chiamo Paolo, ma il mio nome è Pietro!”

“E’ necessario un uomo che sia il successore di san Pietro e che assuma la responsabilità personale ultima, sostenuta collegialmente. E’ proprio del cristianesimo questo principio personalistico che non sparisce nell’anonimato, ma si fa presente nel sacerdote e nel vescovo e ha una sua espressione  personale anche nell’unità della Chiesa universale. Resterà la responsabilità del magistero universale, delineata dai concili Vaticano I e II relativamente all’unità della Chiesa, della sua fede e del suo ordinamento morale” (J. Ratzinger, Il sale della terra,  pp. 289-290).

Nella Nuova Evangelizzazione occorre anche verificare il rapporto Chiesa – mondo d’oggi. Nessuno dei due termini in cui si dibatté il Concilio sarà così eliminato, né l’ortodossia della fede, né il dialogo pastorale col mondo d’oggi. Ma questo è il momento per una ripresa più matura, più purificata e più lungimirante di tali principi. La Lumen gentium e la Gaudium et spes intese quali espressioni di ciò che oggi dice lo Spirito alle Chiese, saranno così nuovamente le due colombe  sulle quali potrà affidarsi l’opera pastorale della Chiesa nel corso del terzo millennio, verso la piena manifestazione del Regno di Dio.

“La Pentecoste si rinnova in modo particolare in alcuni momenti forti, a livello sia locale sia universale, sia in piccole assemblee che in grandi convocazioni. I Concili, ad esempio, hanno avuto sessioni gratificate da speciali effusioni dello Spirito santo, e tra questi vi è certamente il Concilio Ecumenico Vaticano II” (Benedetto XVI, Regina coeli, 23 maggio 2010).
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      

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