Cultura digitale

Oggi siamo chiamati a scoprire anche nella cultura digitale, simboli e metafore significative per le persone, che possano essere di aiuto nel parlare del Regno di Dio all’uomo contemporaneo

“I nuovi linguaggi che si sviluppano nella comunicazione digitale determinano una capacità più intuitiva ed emotiva che analitica, orientano verso una diversa organizzazione logica del pensiero e del rapporto con la realtà, privilegiano l’immagine e i collegamenti ipertestuali. La tradizionale distinzione netta tra il linguaggio scritto e orale, poi, sembra sfumarsi a favore di una comunicazione scritta che prende la forma e l’immediatezza dell’oralità. Le dinamiche proprie delle “reti partecipative”, richiedono inoltre che la persona sia coinvolta in ciò che comunica. Quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse e la loro visione del mondo: diventano “testimoni” di ciò che dà senso alla loro esistenza. I rischi che si corrono, certo, sono sotto gli occhi di tutti:  la perdita dell’interiorità, la superficialità nel vivere le relazioni, la fuga nell’emotività, il prevalere dell’opinione più convincente rispetto al desiderio di verità. E tuttavia essi sono la conseguenza di un’incapacità di vivere con pienezza e in maniera autentica il senso delle innovazioni. Ecco perché la riflessione sui linguaggi sviluppati dalle nuove tecnologie è urgente. Il punto di partenza è la stessa Rivelazione, che ci testimonia come Dio abbia comunicato le sue meraviglie proprio nel linguaggio e nell’esperienza reale degli uomini “secondo la cultura propria di ogni epoca” (Gaudium et spes, 58), fino alla piena manifestazione di sé nel Figlio Incarnato. La fede sempre penetra, arricchisce, esalta e vivifica la cultura, e questa a sua volta, si fa veicolo della fede, a cui offre il linguaggio per pensarsi ed esprimersi. E’ necessario quindi farsi attenti ascoltatori dei linguaggi degli uomini del nostro tempo, per essere attenti all’opera di Dio nel mondo.
In questo contesto, è importante il lavoro che svolge il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali nell’approfondire la “cultura digitale”, stimolando e sostenendo la riflessione per una maggiore consapevolezza circa le sfide che attendono la comunità ecclesiale e civile. Non si tratta solamente di esprimere il messaggio evangelico nel linguaggio di oggi, ma occorre avere il coraggio di pensare in modo più profondo, come è avvenuto in altre epoche, il rapporto tra la fede. la vita della Chiesa e i mutamenti che l’uomo sta vivendo. E’ l’impegno di aiutare quanti hanno responsabilità nella Chiesa ad essere in grado di capire, interpretare e parlare il “nuovo linguaggio” dei media in funzione pastorale (Aetatis novae, 2), in dialogo con il mondo contemporaneo, domandandosi: quali sfide il cosi detto “pensiero digitale” pone alla fede e alla teologia? Quali domande e richieste?
Il mondo della comunicazione interessa l’intero universo culturale, sociale e spirituale della persona umana. Se i nuovi linguaggi hanno un impatto sul modo di pensare e di vivere, ciò riguarda, in qualche modo, anche il mondo della fede, la sua intelligenza e la sua espressione. La teologia, secondo una classica definizione, è intelligenza della fede, e sappiamo bene come l’intelligenza, intesa come conoscenza riflessa e critica, non si estranea ai cambiamenti culturali in atto. La cultura digitale pone nuove sfide alla nostra capacità di parlare e di ascoltare un linguaggio simbolico che parli della trascendenza. Gesù stesso nell’annuncio del Regno ha saputo utilizzare elementi della cultura e dell’ambiente del suo tempo: il gregge, i campi, il banchetto, i semi e così via. Oggi siamo chiamati a scoprire, anche nella cultura digitale, simboli e metafore significative per le persone, che possano essere di aiuto nel parlare del Regno di Dio all’uomo contemporaneo.
E’ inoltre da considerare che la comunicazione ai tempi dei “nuovi media” comporta una relazione sempre più stretta e ordinaria tra l’uomo e le macchine, dai compiuter ai telefoni cellulari, per citare solo i più comuni. Quali saranno gli effetti di questa relazione costante? Già il Papa Paolo VI, riferendosi ai primi progetti di autonomaziomne dell’analisi linguistica del testo biblico, indicava una pista di riflessione quando si chiedeva: “Non è cotesto sforzo di infondere in strumenti meccanici il riflesso di funzioni spirituali, che è nobilitato e innalzato ad un servizio, che tocca il sacro? E’ lo spirito che è fatto prigioniero della materia, o non è forse la materia, già domata e obbligata ad eseguire leggi dello spirito, che offre allo spirito stesso un sublime ossequio?” (Gallarate, 19 giugno 1964). Si intuisce in queste parole il legame profondo con lo spirito a cui la tecnologia è chiamata per vocazione (Caritas in veritate, 69).
E’ proprio l’appello ai valori spirituali che permetterà di promuovere una comunicazione veramente umana: al di là di ogni facile entusiasmo o scetticismo, sappiamo che essa è una risposta alla chiamata impressa nella nostra natura di esseri creati ad immagine e somiglianza del Dio della comunione. Per questo la comunicazione biblica secondo la volontà di Dio è sempre legata al dialogo e alla responsabilità, come testimoniano, ad esempio, le figure di Abramo, Mosè, Giobbe e i Profeti, e mai alla seduzione linguistica, come è invece il caso del serpente, o di incomunicabilità e di violenza come nel caso di Caino. Il contributo dei credenti allora potrà essere di aiuto per lo stesso mondo dei media, aprendo orizzonti di senso e di valore che la cultura digitale non è capace da sola di intravvedere e rappresentare” (Benedetto XVI, All’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, 28 febbraio 2011).

La tecnica è un fatto profondamente umano, legato all’autonomia e alla libertà dell’uomo. Nella tecnica si esprime e si conferma la signoria dello spirito sulla materia. La tecnica permette di dominare la materia, di ridurre i rischi, di risparmiare fatica, di migliore le condizioni di vita, di relazione interpersonale. Essa risponde alla stessa vocazione del lavoro umano: nella tecnica, vista come opera del proprio genio, l’uomo riconosce se stesso e realizza la propria umanità. La tecnica è l’aspetto oggettivo dell’agire umano, la cui origine e ragione d’essere sta nell’elemento oggettivo: l’uomo che opera. Per questo la tecnica non è mai solo tecnica. Essa manifesta l’uomo e le sue aspirazioni allo sviluppo, esprime  la tensione dell’animo umano al graduale superamento di certi condizionamenti materiali. La tecnica, pertanto, si inserisce nel mandato di “coltivare e custodire la terra (Gn 2,15), che Dio ha affidato all’uomo e va orientata a rafforzare quell’alleanza tra essere umano e ambiente che deve essere specchio dell’amore creatore di Dio in culture diverse. Il Papa ha ricordato un grande comunicatore dell’annuncio del Vangelo in Cina in una cultura diversissima da quella moderna occidentale di quattro secoli fa. Nella sua opera di diffusione del messaggio di Cristo, diversamente dai suoi oppositori, ha considerato sempre la persona, il suo contesto culturale e filosofico, i suoi valori, il suo linguaggio, la sua tecnica, cogliendo tutto ciò che di positivo si trovava nella sua tradizione, e offrendo di animarlo e e di elevarlo con la sapienza e la verità di Cristo.

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