Decalogo

La centralità del Decalogo come comune messaggio etico di valore perenne per Israele, la Chiesa, i non credenti e l’intera umanità

“La nostra vicinanza e fraternità spirituali trovano nella Sacra Bibbia – in ebraico Sifre Qodesh o ‘Libri di Santità’ – il fondamento più solido e perenne, in base al quale veniamo costantemente posti davanti alle nostre radici comuni, alla storia e al ricco patrimonio spirituale che condividiamo. E’ scrutando il suo stesso mistero (cioè la via umana alla Verità e alla Vita) che la Chiesa, Popolo di Dio della Nuova Alleanza, scopre il proprio profondo legame con gli Ebrei, scelti dal Signore primi fra tutti ad accogliere la sua parola (CCC, 839). “A differenza della altre religioni non cristiane, la fede ebraica è già risposta alla Rivelazione di Dio nell’Antica Alleanza. E’ al popolo ebraico che appartengono l’’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne ’ (Rm 9, 4-5) perché i ‘doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili’ (Ibidem.).

Numerose possono essere le implicazioni che derivano dalla comune eredità tratta dalla Legge e dai Profeti. Vorrei ricordarne alcune:

- innanzitutto, la solidarietà che lega la Chiesa e il popolo ebraici ‘livello della loro stessa identità ’spirituale e che offre ai Cristiani l’opportunità di promuovere ‘un rinnovato rispetto per l’interpretazione ebraica dell’Antico Testamento’ (Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sacre Scritture nella Bibbia cristiana, 2001, pp. 12 e 55);

- la centralità del Decalogo come comune messaggio etico di valore perenne per Israele, la Chiesa, i non credenti e l’intera umanità;

- l’impegno per preparare o realizzare il Regno dell’Altissimo nella ‘cura del creato ’ affidato da Dio all’uomo perché lo coltivi e lo custodisca responsabilmente ( Gn 2, 15).

In particolare il decalogo – le “Dieci Parole” o Dieci Comandamenti (Es 20,1-17; Dt 5,1-21) – che proviene dalla Torah di Mosè, costituisce la fiaccola dell’etica, della speranza e del dialogo, stella polare della fede e della morale del popolo di Dio, e illumina e guida anche il cammino dei Cristiani. Esso costituisce un faro e una norma di vita nella giustizi e nell’amore, un “grande codice” etico per tutta l’umanità. Le “Dieci Parole” gettano luce sul bene e sul male, sul vero e il falso, sul giusto e l’ingiusto, anche secondo i criteri della coscienza retta di ogni persona. Gesù stesso lo ha ripetuto più volte, sottolineando che è necessario un impegno operoso sulla via dei Comandamenti: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i Comandamenti” (Mt 19,17). In questa prospettiva, sono vari i campi di collaborazione e di testimonianza. Vorrei ricordarne tre particolarmente importanti per il nostro tempo.

1. Le “Dieci Parole” chiedono di riconoscere l’unico Signore, contro la tentazione di costruirsi altri idoli, di farsi vitelli d’oro. Nel nostro mondo molti non conoscono Dio o lo ritengono superfluo, senza rilevanza per la vita; sono stati fabbricati così altri e nuovi dei a cui l’uomo si inchina. Risvegliare nella nostra società l’apertura alla dimensione trascendente, testimoniare l’unico Dio è un servizio prezioso che Ebrei e Cristiani possono offrire insieme.

2. Le “Dieci Parole” chiedono il rispetto, la protezione della vita, contro ogni ingiustizia e sorpruso, riconoscendo il valore di ogni persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio. Quante volte, in ogni parte della terra, vicina e lontana, vengono calpestati la dignità, la liberà, i diritti dell’essere umano! Testimoniare insieme il valore supremo della vita contro ogni egoismo, è offrire un importante apporto per un mondo in cui regni la giustizia e la pace, lo “shalom” auspicato dai legislatori, dai profeti e dai sapienti di Israele.

3. Le “Dieci Parole” chiedono di conservare e promuovere la santità della famiglia, in cui il “sì” personale e reciproco, fedele e definitivo dell’uomo e della donna, dischiude lo spazio per il futuro, per l’autentica umanità di ciascuno, e si apre al tempo stesso, al dono di una nuova vita. Testimoniare che la famiglia continua ad essere la cellula essenziale della società e il contesto di base in cui si imparano e si esercitano le virtù umane è un prezioso servizio da offrire per la costruzione di un mondo dal volto più umano.

Come insegna Mosè nella Shemà (Dt 6,5; Lv 19,34) – e Gesù riafferma nel Vangelo (Mc 12,19-31), tutti i comandamenti si riassumo nell’amore di Dio e nella misericordia verso il prossimo. Tale Regola impegna Ebrei e Cristiani ad esercitare, nel nostro tempo, una generosità speciale verso i poveri, le donne, i bambini, gli stranieri, i malati, i deboli, i bisognosi. Nella tradizione ebraica c’è un mirabile detto dei Padri d’Israele: “Simone il Giusto era solito dire: il mondo si fonda su tre cose: la Torah, il culto e gli atti di misericordia (Aboth 1,2). Con l’esercizio della giustizia e della misericordia, Ebrei e Cristiani sono chiamati ad annunciare e a dare testimonianza al Regno dell’Altissimo che viene, e per il quale preghiamo e operiamo ogni girono nella speranza” (

Qualche volta si presentano le Beatitudini come l’antitesi neotestamentaria al Decalogo, come, per così dire, l’etica più elevata dei cristiani nei confronti dei comandamenti dell’Antico Testamento, degli Ebrei. Questa interpretazione, alla luce del Magistero, fraintende completamente il senso della parole di Gesù. Gesù ha sempre dato per scontata la validità del Decalogo (Mt 10,19; Lc 16,17); il Discorso della Montagna riprende i comandamenti della Seconda tavola e li approfondisce, non li abolisce (Mt 5,21-48); ciò si opporrebbe diametralmente al principio fondamentale premesso a questo discorso sul Decalogo: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà dalla Legge neppure un iota o un segno, senza che tutto sia compiuto” (Mt 5,17s).

Solo la centralità del Decalogo come comune messaggio etico di valore perenne per Israele, la Chiesa, i non credenti e l’intera umanità può rendere possibile una risposta all’urgenza attuale più forte nella globalizzazione: poter instaurare un vero dialogo tra tutte le tradizioni religiose e morali dell’umanità, fra tutte le culture nelle quali la dimensione religiosa è fortemente presente, come pure la tensione per poter rispondere alle domande fondamentali sul senso e la direzione della vita di tutti. Ecco perché di fronte a questo grande codice etico dell’umanità nel rapporto con gli ebrei non si può dimenticare che i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili.

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