La dottrina sociale sulla strada della Carità nella verità

La dottrina sociale sulla strada della Carità nella verità

Nel titolo Caritas in veritate emergono i due pilastri del magistero di Benedetto XVI, appunto la Carità e la Verità. Essi segnano tutto il magistero di questi anni di pontificato ma perché rappresentano l’essenza stessa della Rivelazione non di un qualsiasi dio, ma di quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme. E il suo regno non è un al di là immaginario, posto in un futuro che non arriva mai; il suo regno è presente là dove egli è creduto e colto (la verità attraverso fede e ragione, verità che libera dalla schiavitù dell’ignoranza), dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge anche a livello sociale fondando la civiltà dell’amore e della giustizia, ma con la priorità dell’amore sulla giustizia e quindi di ogni persona sempre fine di ogni aggregazione umanistica e di ogni istituzione pubblica e mai riduttivamente mezzo per altri o per altro (Dottrina sociale cioè le radici cristiane della cultura cristiana maturata soprattutto in Europa attraverso una fede che pienamente accolta, vissuta e pensata è divenuta e ha la capacità di divenire in continuità umanesimo cioè cultura per tutti e per tutto). Questo connubio tra il messaggio biblico e il pensiero greco romano non è stato un contingente, un semplice caso, ma la concretizzazione storica del rapporto intrinseco tra rivelazione e razionalità, il motivo della dimensione storica e pubblica del Cristianesimo, all’origine della Dottrina sociale della Chiesa. Infatti “Per questo stretto collegamento con la verità, la carità può essere riconosciuta come espressione autentica di umanità e come elemento di fondamentale importanza nelle relazioni umane, anche di natura pubblica. Solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta” (n. 3), quindi verificabile, dicibile, comprensibile anche da chi non crede ma è in ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, scorge le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana fino a percepire Gesù Cristo come la luce che illumina la storia e aiuta a trovare la via verso il futuro.

In continuità fin dalle origini apostoliche la Chiesa testimonia e insegna che Dio è Verità e Amore. Egli ha creato il mondo e lo governa per amore e secondo verità. La natura delle cose e la natura dell’uomo esprimono l’amore di Dio e nello stesso tempo la luce di verità che Egli è nell’essere dono di ciò che viene all’esistenza. Per questo, come ci ripete continuamente il Papa, il mondo non è fatto a caso, ogni uomo non vive in esso sperduto e senza meta. Quanto accade non proviene solo dalla necessità dei meccanismi materiali, ma dalla libertà frutto dell’intelligenza, la cui origine ultima è nell’”amore intelligente” di Dio stesso. Il Dio che vuole salvare ogni uomo mediante il proprio Figlio che per amore si è lasciato uccidere ed è risorto per essere sempre con noi è lo stesso Dio che ha creato il mondo come una “cosa buona” tramite il Logos, il Figlio stesso che si è fatto carne. Non c’è quindi nel Cristianesimo una “doppia verità”, quella che segue le esigenze del cuore e quella che segue le esigenze dell’intelletto per cui fin dalle origini i cristiani sono indissolubilmente amici dell’intelligenza e disponibili ad amare, a fare del bene. L’amore, inteso separatamente dalla verità, si trasforma in sentimento soggettivo privo di orientamento, in impulso privo di direzione e non sa quando veramente faccia il bene di ogni persona amata e quanto no. Non sa nemmeno quando faccia il bene del soggetto che lo attua, in quanto costui non riesce a collocare l’amore dentro la struttura della propria persona, dentro la realtà in tutti gli ambiti cioè dentro la verità e un bene riguardanti se stesso prima che gli altri. Non solo gli altri, infatti, hanno una verità che chi ama deve rispettare, ma anche chi ama è portatore di una verità indipendente da lui e che l’atto di amore deve rispettare.

L’importante introduzione dell’Enciclica, sulla quale in questo primo intervento ci soffermiamo chiarisce come l’amore, senza la verità, possa deviare e degenerare, diventando preda di versioni strumentali con cui si finisce per asservire il prossimo a noi stessi e noi stessi ai nostri desideri. Adoperando – come osserva in una introduzione all’Enciclica mons. Giampaolo Crepaldi dal quale traiamo queste argomentazioni (Cantagalli) – un’espressione cara a Benedetto XVI e molto densa di implicazioni di pensiero, l’espressione “purificazione”, si può dire che la verità purifica la carità. Del resto l’amore non consapevole e non responsabile, non espressione dell’essere come dell’avere e del potere non indirizzato a potenziare e sviluppare l’essere cioè la verità, non sarebbe amore pienamente umano.

Quanto è importante soffermarsi sulle notevoli implicazioni di queste riflessioni sullo sviluppo per un verso e sul ruolo pubblico del Cristianesimo per l’altro.

L’amore implica sempre desiderare il bene per la persona amata e questo rende sempre più liberi. Implica, in altri termini, desiderare il suo sviluppo. Lo sviluppo è vocazione, rimanda a Dio nella Dottrina sociale della Chiesa e soprattutto nella Populorum progressio, che la Caritas in veritate ricorda a quarant’anni dalla sua pubblicazione, significa una realtà molto complessa e nello stesso tempo molto semplice: diventare ciò che originariamente si è cioè dono nel proprio e altrui essere, come in tutto il mondo che ci circonda e quindi crescere in umanità, sviluppare al meglio il proprio e altrui essere personale in tutti i suoi aspetti, materiali e spirituali, immanenti nella fase terrena verso quelli trascendenti. Chi ama non schiaccia ma sviluppa, non costringe ma sa attendere, non asserve ma libera, non chiude ma apre. Sviluppo significa diventare più uomini, fare di più, avere di più per essere più dono, secondo le famose espressioni di Paolo VI. Solo un amore guidato dalla verità è però in grado di conoscere il bene della persona amata attraverso una conoscenza che è essa stessa un avvenimento, un dono guidato dall’amore. L’io umano non conosce solo con l’intelletto ma nel connubio di sensibilità, ragione e volontà. Ogni conoscenza, come ogni altra attività umana del resto è sempre un’attività di tutta la persona, e non si riesce a conoscere la verità cioè l’essere dono del Donatore divino se non c’è la consapevolezza del proprio essere dono: ogni conoscenza è un avvenimento! La promozione dello sviluppo di ogni persona ha bisogno di uno sguardo che colga il suo dono unico e irripetibile del Donatore divino e quindi volere il suo bene, ossia operare affinché possa crescere in questa consapevolezza. Se non c’è questo sguardo profondo, puro si finisce per proiettare sulla persona le proprie esigenze. La gratuità dell’amore, l’unico valore che resta per sempre, dipende dal riconoscimento del proprio e altrui essere dono irripetibile del Donatore divino e dove il suo amore ci raggiunge diventa vocazione di Dio per tutti.

E come ogni persona cioè come per ogni individuo in relazione con il Donatore divino, con se stesso e con gli altri, vale anche per lo sviluppo dei popoli e dell’intera famiglia umana. Il sotto sviluppo ha sempre alla sua origine sia una carenza di disponibilità all’amore, sia un oscuramento della coscienza circa la verità. Tutti i fallimenti dei progetti di sviluppo hanno qui la loro origine: o non hanno accolto il desiderio della verità, della vocazione divina allo sviluppo stesso, delle reali esigenze dei popoli da aiutare, della razionalità della scienza economica o ci sono state deviazioni nei comportamenti che ne hanno impedito la realizzazione, interessi particolari, egoismi, corruzione o sete di potere.

Occorre ritornare su cosa significa accogliere la verità nei programmi di sviluppo, dato che la Caritas in veritate esamina a lungo e persino nel dettaglio questo argomento. Ponendo il problema della verità dello sviluppo, l’Enciclica di Benedetto XVI – sulla scia della Populorum progressio e della Sollicitudo rei socialis – propone lo sviluppo come problema anche per i paesi ricchi, anche per i paesi emergenti, anche per le élites dei paesi poveri, per tutti. Non si tratta più semplicemente del problema dei rapporti Nord – Sud – schema ormai obsoleto – ma di una questione molto più ampia e articolata, sia dal punto di vista estensivo (le aree geopolitiche coinvolte), sia di quello intensivo (i nodi dei problemi) E’ questo il motivo per cui il Papa parla a lungo in questa Enciclica sullo sviluppo dei problemi che solitamente non si pongono in relazione con esso: il diritto alla vita e alla famiglia, la corretta laicità e le negatività del nichilismo in ordine allo sviluppo dei popoli, il diritto alla liberà religiosa e il dialogo tra le religioni, il dilagare pericoloso dell’ideologia della tecno - scienza.

La seconda importante conseguenza dell’aver collegato fin dal titolo la carità con la verità, consiste nella rivendicazione della religione cristiana ad un ruolo pubblico convinta che all’inizio del terzo millennio il cristianesimo si trova, proprio nel luogo della sua originaria diffusione, in Europa, in una crisi profonda, basata sulla crisi della sua pretesa di verità sia per la sfiducia riguardo alla possibilità, per l’uomo, di conoscere la verità sul vero, sul bene e su Dio e sia per i dubbi che le scienze moderne, naturali e storiche, sollevano riguardo ai contenuti e alle origini del cristianesimo. E’ un tema molto caro a Benedetto XVI e, per certi versi, decisivo del suo pontificato come per tutta la civiltà umana:il problema di Dio nel mondo. Se l’amore cristiano fosse solo un buon sentimento, una forma di filantropia umanitaria e se esprimesse solo un’esigenza di aiutare e di assistere in base a quanto detta una coscienza particolare, un sentirsi bene solo facendo certe cose, un essere in pace con se stessi essendo in pace con gli altri, la ricerca di un equilibrio psicologico e relazionale, allora esso non potrebbe ambire ad alcun ruolo pubblico. Forse verrebbe tollerato di più, perché si inserirebbe meglio nel supermercato delle religioni della società postmoderna, ma non sarebbe fedele alla sua natura. L’amore cristiano non ha origine nella nostra psicologia, ma è, come la conoscenza, un avvenimento, un fatto nello stesso tempo storico e cosmico: La Ragione Creatrice, che ha fatto il cielo e la terra, si è fatta uomo, il Logos ha assunto un volto umano per amore di ogni singolo e dell’umanità nel suo insieme. Per questo l’amore cristiano è razionale, è comprensibile, è comunicabile a tutti, si radica nell’umano universale, ha valore pubblico in quanto ha la pretesa di esprimere una vera vocazione data da Dio ad ogni uomo e quindi ai motivi più profondi per cui gli uomini stanno e operano insieme. Questo è centrale nell’Enciclica di Benedetto XVI e nella Dottrina sociale della Chiesa.

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