Recupero della speranza affidabile‏

Dalla crisi economico – finanziaria globale un cambiamento socio – culturale e la possibilità del recupero della speranza affidabile, la speranza cristiana: dove c’è Dio, là c’è speranza per il futuro

“Come ha potuto svilupparsi l’idea che il messaggio di Gesù sia strettamente individualistico e miri solo al singolo?  Come si è arrivati a interpretare la “salvezza dell’anima” come fuga davanti alla responsabilità per l’insieme, e a considerare il programma del cristianesimo come ricerca egoistica della salvezza che si rifiuta al servizio degli altri? Per trovare una risposta all’interrogativo dobbiamo gettare uno sguardo sulle componenti fondamentali del tempo moderno: esse appaiono con particolare chiarezza in Francesco Bacone… La novità – secondo la
visione di Bacone – sta in una nuova correlazione tra scienza e prassi. Ciò viene applicato anche teologicamente: questa nuova correlazione tra scienza e prassi significherebbe che il dominio della creazione, dato all’uomo da Dio, e perso nel peccato originale, verrebbe ristabilito.
17. Chi legge queste affermazioni e vi riflette con attenzione, vi riconosce un passaggio sconcertante: fino a quel momento il ricupero di ciò che all’uomo dalla cacciata del paradiso terrestre aveva perso si attendeva dalla fede in Gesù Cristo, e in questo si vedeva la “redenzione”. Ora questa “redenzione”, la restaurazione del “paradiso” perduto, non si attende più dalla fede, ma dal collegamento appena scoperto tra scienza e prassi. Non è che la fede, con ciò venga semplicemente negata; essa viene piuttosto spostata su un altro livello – quello delle cose solamente private ed ultraterrene – e allo stesso tempo diventa in qualche modo irrilevante per il mondo. Questa visione programmatica ha determinato il cammino dei tempi moderni e influenza pure l’attuale crisi della fede che, nel concreto, è soprattutto una crisi della speranza cristiana. Così anche la speranza, in Bacone, riceve una nuova  forma. Ora si chiama: fede nel progresso…
19. Dobbiamo brevemente gettare uno sguardo sulle due tappe essenziali della concretizzazione politica di questa speranza, perché sono di grande importanza per  il cammino della speranza cristiana, per la sua comprensione e per la sua persistenza. C’è innanzitutto la Rivoluzione francese come tentativo di instaurare il dominio della ragione e della libertà…
20. Dopo la rivoluzione borghese del 1789 era arrivata l’ora per una rivoluzione, quella proletaria: il progresso non poteva semplicemente avanzare in modo lineare a piccoli passi. Ci voleva il salto rivoluzionario. Karl Marx raccolse questo richiamo del momento…Essendosi dileguata la verità dell’al di là, si sarebbe ormai trattato di stabilire la verità dell’al i qua…
22. E’ necessario un’autocritica dell’età moderna in dialogo con il cristianesimo e con la sua concezione della speranza. In tale dialogo anche i cristiani nel contesto delle loro conoscenze e delle loro esperienze, devono imparare nuovamente in che cosa consista la loro speranza, che cosa abbiano da offrire al mondo e che cosa invece non possano offrire. Bisogna che nell’autocritica dell’età moderna confluisca anche un’autocritica del cristianesimo moderno, che deve sempre di nuovo imparare a comprendere se stesso a partire dalle proprie radici. Su questo si possono tentare qui solo alcuni accenni. Innanzitutto c’è da chiedersi: che cosa significa veramente “progresso”; che cosa promette e che cosa non promette?...
24. a) …il retto uso delle cose umane, il benessere morale del mondo non può mai essere garantito semplicemente mediante strutture, per quanto valide esse siano…
     b) …La libera adesione al bene non esiste mai semplicemente da sé.  Se ci fossero strutture che fissassero in modo irrevocabile una determinata – buona – condizione del mondo, sarebbe negata la libertà dell’uomo, e per questo motivo non sarebbero, in definitiva, per nulla strutture buone.
Conseguenza di quanto detto è che la sempre faticosa ricerca di retti ordinamenti per le cose umane è compito di ogni generazione; non è mai compito semplicemente concluso…
26. Non è la scienza che redime l’uomo. L’uomo viene redento mediante l’amore…
31. Ancora: noi abbiamo bisogno delle speranze – più piccole e più grandi – che giorno per giorno, ci mantengono in cammino. Ma senza la grande speranza, che deve superare tutto il resto, esse non bastano. Questa grande speranza può essere Dio (Dove c’è Dio, là c’è speranza per il futuro)…Il suo regno non è un al di là immaginario, posto in un futuro che non arriva mai: il suo regno è presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge” (Benedetto XVI, Spe salvi).

“Venerabili e cari Confratelli, avvio questa riflessione secondo riferimento al clima che – a giudizio di molti osservatori, ma è anche nostra sensazione – appare emergente, ossia il senso di insicurezza diffuso nel corpo sociale, rafforzato da un attonito sbigottimento a livello culturale e morale. Un’insicurezza che si va cristallizzando, e finisce per prendere una forma apprensiva dinnanzi al temuto dileguarsi di quegli ancoraggi esistenziali per i quali ognuno si industria e fatica, essendo essi ragione di una stabilità messa oggi in discussione, per cause in larga misura non dipendenti da noi. Non si era capito, o forse non avevamo voluto capire, che la crisi economica e sociale, che iniziò a mordere tre anni or sono, era in realtà più vasta e potenzialmente più devastante di quanto potesse di primo achito apparire. E avrebbe presentato un costo ineludibile per tutti i cittadini di questo Paese. Spetta ad altri dar conto degli scenari che si presentano sul versante economico – sociale; per parte nostra siamo specialmente in apprensione per le pesanti conseguenze sulla vita della gente e gli effetti interiori di questa crisi che, a tratti, sembra produrre un oscuramento della speranza collettiva. Se ne vede traccia in certa perplessità trascinata  e stanca, in una amarezza dichiarata, in un risentimento talora sordo, in un cinismo che denuncia una sconfortata rassegnazione. Circola l’immagine di un paese disamorato, privo di slanci, quasi in attesa dell’ineluttabile. Ebbene, in quanto vescovi non possiamo essere spettatori intimiditi; nostro compito è proporci come interlocutori animati da saggezza, interessati a “rompere questo determinismo dell’immanenza o, meglio, aprirlo alla concezione cristiana della storia e del tempo” (Giandomenico Mucci, Il discernimento dei segni dei tempi, “La civiltà cattolica, 7 maggio 2011). Vorremmo cioè, con passo lieve, accostarci al cuore di ciascuno dei nostri connazionali, e dire la parola più grande e più cara che abbiamo, e che raccoglie ogni buona parola umana: Gesù Cristo. Noi lo annunciamo a tutti come discepoli e Vescovi: Egli è il Dio con noi e per noi, affinché abbiamo a non inaridirci, stanchi prigionieri del nostro “io”. No, non dobbiamo affliggerci come chi non ha speranza (1 Ts 4,13): una speranza che “attira - dentro il presente – il futuro (…).Il fatto che questo futuro esista, cambia il presente; il presente viene toccato dalla realtà futura” (Spe salvi n. 7).
Perché questa dinamica salvifica si esplichi non ci stanchiamo, con l’aiuto dello Spirito, di esercitare il nostro arduo quanto irrinunciabile ministero, “di ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari modi parlare del nostro tempo, e di saperli giudicare alla luce delle parole di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venire presentata in forma più adatta” (Gaudium et spes, n. 44). E’ ciò che ci proponiamo umilmente di perseguire anche nell’attuale sessione autunnale del nostro Consiglio permanente, agli inizi del nuovo Anno pastorale, e a congedo di una stagione estiva particolarmente densa di eventi e segni. Vorremmo che la nostra parola, se deve echeggiare nel cuore degli italiani e nell’opinione pubblica, riuscisse a risvegliare la speranza, e ad un tempo quella tensione alla verità senza la quale non c’è democrazia”(Prolusione del Cardinale Presidente della Cei).

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