Le illusioni di una conversione alla fe de senza la conversione alla verità

Alla ricerca di senso e del senso ultimo che è il Dio di Gesù Cristo nel capitolo V   del  "Il cammino verso il Logos" di Stefano Peretti
All'interno di un pensiero non più cattolico nei cattolici si ritiene di poter proporre un'evangelizzazione e un amore pastorale di Cristo indipendentemente dalla verità, dalla dottrina, entro "categorie puramente filantropiche, estranee all'autenticità, alla profondità e anche alla durezza esigente del suo messaggio" (p.97). E' questa la conseguenza
dell'influsso oggi egemone di dare il primato all'irrazionale, al caso e alla necessità, a ricondurre ad esso anche la nostra intelligenza e la nostra libertà. S i tratta di un atteggiamento contrario al dettato biblico, "pena l'incontro con un Dio sbagliato, che già nell'Antico Testamento non disgiunge la vera giustizia e il vero bene delle creature dalla categoria del dono divino, che può germogliare solo quando sulla terra l'amore e la verità si radicano, contemporaneamente.
Da un nichilismo debole nasce solo un cristianesimo debole, che tiene la verità nemica dell'amore, la libertà di coscienza antinomica a qualsiasi verità, incapace di coniugare la dignità della coscienza con una libertà interiore non disgiunta dalla ricerca disinteressata della verità Dio si è comunicato a noi mediante il Verbo che è la Verità: "La tua parola è verità" (Gv 17,17b) (pp.97-98)".
Peretti ha condotto tutta una riflessione sullo sviluppo dei tentativi moderni come un cammino verso il Logos creatore. Viene così capovolta la tendenza di dare il primato all'irrazionale, al caso e alla necessità, a ricondurre ad esso anche la nostra intelligenza e la nostra libertà. Su queste basi, su questo paradigma diventa anche di nuovo possibile allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell'intrinseca unità che le tiene insieme: il logo del Logos. E' questo un compito che lo porta alla valutazione critica di tante posizioni per dare nuovo slancio alla cultura del nostro tempo e per restituire in essa alla fede cristiana piena cittadinanza e ruolo pubblico.
"Minare l'oggettività della verità significa non riconoscere più il Cristo di Dio come la via, la verità e la vita (Gv 14,6), ma come una figura tra i grandi della storia che hanno portato un messaggio sì di valore, ma pur sempre opinabile e settoriale. Egli non diventa la risposta ai nostri perché, ma solo una possibilità della nostra capacità di scegliere, per cui si può ammirarlo e stimarlo, ma al pari di uno come altri.
L'amore, pertanto, che ne scaturisce non è legato alla verità oggettiva che tale amore dovrebbe promanare. L'etica che ne scaturisce non è, perciò, frutto della grazia di Dio, ma solo opera degli sforzi del singolo, e, quindi, fondata non sulla verità dell'essere, ma sulla contingenza del ciò che mi piace. L'amore che ne deriva è solo un esercizio narcisista e solipsistico del proprio ego al quale si tenta di dare una parvenza di filantropia" (p.98). Si riduce l'uomo a un semplice prodotto della natura. Come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale. L'etica viene ricondotta entro i confini del relativismo e dell'utilitarismo, con l'esclusione di ogni principio morale che sia valido e vincolante per se stesso. Peretti, rifacendosi alla Caritas in veritate, riporta l'affermazione di Benedetto XVI che la libertà non può essere disgiunta dalla verità e l'amore non può essere avulso dalla libertà. Se l'amore si sgancia dalla verità non è più libero, non è più possibile, ma schiavo di qualcosa o di qualcuno: mai l'amore accade senza libertà e non c'è libertà senza verità.
"Papa Ratzinger osserva che nel tardo medioevo alcune teologie hanno sviluppato la tendenza a rompere la sintesi tra lo spirito greco e lo spirito ebraico - cristiano, fino a una sorta di "de-ellenizzazione" del cristianesimo, che emerge in un primo tempo con i postulati della sola Bibbia nella riforma del XVI secolo e in un secondo tempo con una teologia liberale del XIX e del XX secolo. Quest'ultima ha come rappresentante principale Adolf von Harnack, il quale propugna la semplice umanità di Gesù come preminente rispetto alle teologie successive e, quindi, prima anche delle conseguenti ellenizzazioni.
Questo autore vuole riportare il cristianesimo in armonia con la ragione moderna e per realizzare l'obiettivo toglie dal cristianesimo ciò che è filosofia e teologia, come per esempio la divinità di Cristo e la trinità di Dio. Harnack propone un tipo di scientificità derivante dalla sinergia tra matematica ed empiria. Egli, perciò, esclude il problema di Dio poiché esso è ascientifico o prescientifico. Senza il logos greco, però, la creatura umana non approderebbe ad alcuna conoscenza e sarebbe, così priva di amore.
Papa Ratzinger sottolinea, tuttavia, che oggigiorno vi è una terza ondata di de-ellenizzazione. Essa sostiene che la sintesi con l'ellenismo, compiuta (dogmaticamente) dalla Chiesa antica, sarebbe stata una prima inculturazione, e che perciò stesso non sarebbe vincolante per le altre culture. Questa tesi dice Benedetto XVI non solo è sbagliata, ma grossolana e imprecisa. Il Nuovo Testamento è stato scritto in lingua greca e porta in se stesso il contatto (della tradizione ebraica) con uno spirito greco, per cui le decisioni che riguardano il rapporto della fede con la ricerca della ragione umana fanno parte della fede stessa e sono conformi alla sua natura (Fides et ratio). La ragione moderna si è distaccata dal logos greco ed è divenuta ragione puramente strumentale. Questo processo è iniziato con Cartesio ed è culminato in Kant. L'uomo viene, così, ridotto solo ad una incapacità costituzionale di comprendere il senso della vita, quel che più è pericoloso, è che senza un fondamento metafisico non esiste più la verità di ciò che è bene e di ciò che è male, ma solo l'istanza etica che scaturisce da una coscienza soggettiva. Così la religione diventa fondamentalismo e la ragione assume i connotati del relativismo etico (pp.108-109)". Quanto è importante il paradigma cattolico di Scrittura, Tradizione e Catechismo nella fede, nella evangelizzazione, nella pastorale. 
"Benedetto XVI dice a chiare lettere che non si deve ritornare indietro a prima dell'illuminismo, ma che occorre allargare il nostro concetto di ragione e l'uso che di essa facciamo. Solo se riusciamo a liberare la ragione dalle secche dello scientismo. Emanciparlo dagli angusti spazi di ciò che è verificabile ed esperibile, allora apriamo la ragione agli orizzonti larghi che le sono propri e in questo senso capiamo che anche la teologia ha una sua razionalità che, benché non scientificamente esperibile e matematicamente dimostrabile, tuttavia è vera. Solo così il dialogo con le culture  e le religioni porta alla pace e alla benevolenza (pp. 108-109)". Staccarsi da questo paradigma relativizzando i dogmi, la Tradizione, la dottrina nella pastorale si compie un taglio radicale e profondo  non solo con il cristianesimo ma più in generale con le tradizioni religiose e morali dell'umanità: questo paradigma non è più in grado di instaurare un vero dialogo con le altre culture, nelle quali la dimensione religiosa è fortemente presente. L'antropocentrismo secolarizzante non risponde alle domande fondamentali sul senso e sulla direzione della nostra vita. Perciò questo paradigma è contrassegnato da una profonda carenza, ma anche da un grande e inutilmente nascosto bisogno di speranza.
"Scriveva qualche anno fa papa Ratzinger che ciò che gli sembrava particolarmente importante era la questione di Dio oggi. Non ci si dovrebbe stancare, secondo il Pontefice, di riproporre tale domanda, di ricominciare da Dio, per ridare all'uomo la totalità delle sue dimensioni, la sua piena dignità. Infatti, una mentalità che è andata diffondendosi nel nostro tempo, rinunciando a ogni riferimento trascendente, si è dimostrata incapace di comprendere e prescrivere l'umano. La diffusione di questa mentalità ha generato la crisi che viviamo oggi, che è crisi di significato e di valori, prima che crisi economica e sociale. L'uomo che cerca di esistere soltanto positivisticamente, nel calcolabile e nel misurabile, alla fine rimane soffocato.
In questo quadro, la questione di Dio è, in un certo senso, la questione delle questioni. Essa ci riporta alle domande di fondo dell'uomo, alle aspirazioni di verità, di felicità e di libertà insite nel suo cuore, che cercano una realizzazione. L'uomo che risveglia in sé la domanda su Dio si apre alla speranza, aduna speranza affidabile, per cui vale la pena affrontare la fatica del cammino presente.
Ma come fare, si chiede il Papa, a risvegliare la domanda di Dio, affinché diventi la questione fondamentale (anche nell'attuale egemonia culturale secolarizzata dell'individualismo liberale)? Se è vero, egli osserva, che all'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, la domanda su Dio è risvegliata dall'incontro con chi ha il dono della fede, con chi ha un rapporto vitale con il Signore. Dio (pur logicamente venendo prima della fede e dell'amore come fondamento) esistenzialmente viene conosciuto attraverso uomini e donne che lo conoscono, che, cioè, ne fanno esperienza: la strada verso di Lui passa, in modo concreto, attraverso chi l'ha incontrato. Qui il ruolo dei fedeli laici è particolarmente importante. La sfida di una mentalità chiusa al trascendente obbliga anche gli stessi cristiani a tornare in modo più deciso alla centralità di Dio. A volte ci si è adoperati perché la presenza dei cristiani nel sociale, nella politica o nell'economia risultasse più incisiva, e forse non ci si è altrettanto preoccupati della solidità della loro fede, quasi fosse un dato acquisito una volta per tutte.
In realtà i cristiani non abitano un pianeta lontano, immune dalle malattie del mondo, ma condividono i turbamenti, il disorientamento e le difficoltà del loro tempo. Perciò non meno urgente è riproporre la questione di Dio anche nello stesso tessuto  ecclesiale (sacramentale).
La nostra Chiesa ha risentito di questi tentativi di de-ellenizzazione, ma in un rinnovato connubio di Fede e Ragione (richiamato da Fides et ratio) albergherà più florido e foriero di speranza immarcescibile il messaggio del Dio cristiano, che è ragione, parola, dialogo, amore e pace. Eliminando (culturalmente e a livello pubblico) Dio non si vive liberi, poiché la libertà sganciata dalla verità è la più terribile delle schiavitù.
Per questo nella tradizione cristiana la filosofia è intesa come vocazione. Mura afferma, infatti, che c'è un legame di continuità tra il concepire la filosofia nel senso più alto (pensiamo a Platone che sostiene che la filosofia è la conversione dell'anima alla verità) e il modo di intendere cristianamente la filosofia (quale intima conversione alla verità, che è una Persona divina tra noi cioè il Dio vivente). G. Reale dice che "il messaggio di Platone è dunque questo: "convertirsi" consiste nel voltarsi dalle pure apparenze verso la Verità. Ovvero, nello slegarsi da cose che incatenano alla dimensione sensibile e volgersi al soprasensibile (pp.110-111)".
 "S. Agostino innerva la sua dottrina dell'illuminazione, ma ancor prima di lui le due esperienze della verità, platonica  ed ebraico-cristiana, sono oggetto di riflessione e meditazione. "I filosofi tutti poterono vedere qualche verità, per mezzo dei  semi del Verbo che si trovano insiti in essi, ma oscuramente". Le verità, dunque, presenti anche nella filosofia greca non sono estranee alla Verità di Dio che è entrata con l'incarnazione nella storia dell'uomo. Tale assunto arriva fino alla scolastica. Oggi, purtroppo, si è perso questo ancoraggio metafisico che ha qualificato la cultura cattolica della cristianità patristica e medioevale. Giustamente Mura ammonisce che è la filosofia "cristiana" con il suo intimo logos, la via e la guida di un possibile ritrovarsi interculturale e interreligioso in una verità pluralisticamente attinta, ma "sinfonica" e concorde nel logos del Logos.
In Giustino vi è, inoltre, contenuta la formulazione, in ambiente cristiano, della filosofia come vocazione; poiché i semi del Verbo, come li definirà S. Agostino. Indicano che non c'è opposizione tra al filosofia greca (Dio come essere) e la fede ebraico – cristiana (Dio vivente come pietra). Giustino scrive che Cristo " è il Logos di cui partecipa l'umanità intera, e coloro che sono vissuti secondo logos sono cristiani, anche se sono considerati atei, come Socrate ed Eraclito tra i Greci, o come Abramo, i tre santi giovani ed Elia tra i barbari".
Gli errori antichi vennero confutati dai filosofi per mezzo del logos, di cui si è servita la stessa Verità, che è il Logos di Dio divenuto storicamente creatura umana. Il logos dell'uomo, cioè la filosofia, ha, perciò una speciale vocazione al Logos, cioè alla Verità divina. Anzi, l'incarnazione del Logos diviene necessaria affinché quello filosofico attinga alla pienezza di Verità, di Libertà, di Felicità, di Bellezza. L'incarnazione cioè l'assunzione del volto umano da parte del Logos eterno di Dio, del Figlio del Padre attraverso lo Spirito Santo nel grembo verginale di Maria è, quindi, lo spartiacque tra la filosofia antica e quella cristiana.
Da qui si evince l'incapacità del logos filosofico, proprio a causa della condizione storica della ragione, di raggiugere la pienezza di Verità. Per questo la filosofia cristiana è "vocata" al Logos rivelato. In modo particolare nella nozione di "persona" la rivelazione mostra la sua fecondità particolare e unica di fecondare il pensiero filosofico. "Senza la riflessione sui dogmi della Trinità e dell'Incarnazione, ci sarebbero state ben poche probabilità per i filosofi di prendere coscienza del problema metafisico della persona". Osserva acutamente Mura che il carattere ipostatico della persona è stato certamente derivato, nella filosofia cristiana, da una dogmatica che interpreta l'Incarnazione e la Trinità; inoltre la fecondità di una riflessione che non cessa di svelare le ricchezze della persona, fino al personalismo, alle filosofie del dialogo, a quelle dell'alterità dei nostri giorni, ne è certamente una testimonianza. La divina rivelazione, nella sua attuazione storica, ha il suo compimento nel mistero pasquale di Cristo, la Verità incarnata che traccia il nuovo cammino verso la Verità, appunto nella propria esistenza crocefissa e risorta.
La riflessione sul Cristo Logos non può prescindere da quella sulla sapienza degli uomini che definiscono la croce una stoltezza. Riflessione fondamentale per capire nel Logos Incarnato non è presente una ragione qualsiasi o un mito, ma la Verità stessa di Dio presente nella storia.
La fede è così accolta non come un mito, ma quale verità che incide sull'essere, sul modo di concepire l'uomo, di vedere la storia in cui l'uomo vive, sulla sua etica e sulla metafisica; una verità che pur venendo da altrove inerisce alle tematiche della filosofia, riguardando, così, le esigenze razionali di verità universali proprie della filosofia (pp.114-115)".
Condivido pienamente il paradigma sviluppato da Stefano Peretti nel capitolo quinto della pubblicazione Il Cammino verso il Logos e lo vedo conforme all'intervento di Benedetto XVI al IV Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona il19 ottobre 2006 "in rapporto alla ragione che ha dato vita alle scienze moderne e alle relative tecnologie".
"Come ho scritto nell'Enciclica Deus caritas est, all'inizio dell'essere cristiano – e quindi all'origine della nostra testimonianza di credenti – non c'è una decisione etica o una grande idea, ma l'incontro con la Persona di Gesù Cristo, "che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva" (n. 1). La fecondità di questo incontro si manifesta in maniera peculiare e creativa, anche nell'attuale contesto umano e culturale, anzitutto in rapporto alla ragione che ha dato vita alle scienze moderne e alle relative tecnologie. Una caratteristica fondamentale di queste ultime è l'impiego sistematico degli strumenti della matematica per poter operare con la natura e mettere al nostro servizio le sue immense energie. La matematica come tale è una creazione della nostra intelligenza: la corrispondenza tra le sue strutture e le strutture reali dell'universo – che è il presupposto di tuti i moderni sviluppi scientifici e tecnologici, già espressamente formulato da Galileo Galilei con la celebre affermazione che il libro della natura è scritto in linguaggio matematico – suscita la nostra ammirazione e pone una grande domanda. Implica infatti che l'universo stesso sia strutturato in maniera intelligente, in modo che esista una corrispondenza profonda tra la nostra ragione soggettiva e la ragione oggettiva della natura. Diventa allora inevitabile chiedersi se non debba esservi un'unica intelligenza originaria, che sia la comune fonte dell'una e dell'altra. Così proprio la riflessione sullo sviluppo delle scienze ci riporta verso il Logos creatore. Viene capovolta la tendenza a dare il primato all'irrazionale, al caso e alla necessità, a ricondurre ad esso anche la nostra intelligenza e la nostra libertà. Su queste basi diventa anche di nuovo possibile allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell'intrinseca unità che le tiene insieme: il logos del Logos. E' questo un compito che sta davanti a noi, un'avventura affascinante nella quale merita spendersi, per dare nuovo slancio alla cultura del nostro tempo e per restituire in essa alla fede cristiana piena cittadinanza. Il "progetto culturale" della Chiesa in Italia è senza dubbio, a tal fine, un'intuizione felice e un contributo assai importante".



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