Dopo la tragedia una speranza

Dopo la tragedia e la testimonianza meravigliosa di padre Jacques Hamel l’avvenimento dell’invito di fedeli e degli stessi imam in Europa a presentarsi e assistere nella chiese cattoliche alla Messa di Domenica

Per cogliere il senso reale delle affermazioni di papa Francesco “Non è una guerra di religione” e “Tutte le religioni sono per la pace”. Certamente le parole di Francesco vanno lette anche nella prospettiva della prudenza, del desiderio di evitare che una situazione già incandescente degeneri. Per essere aiutati ho preso da La nuova Bussola quotidiana del 28-07-2016 gli articoli di Riccardo Cascioli e di Angela Pellicciari.
1 Religioni e pace, recuperiamo la prospettiva cristiana
«Non è una guerra di religione» e «Tutte le religioni sono per la pace». Queste affermazioni perentorie di papa Francesco ieri sull’aereo che lo portava in Polonia, a commento dell’uccisione in chiesa di
un anziano prete francese, faranno discutere per giorni. E non è la prima volta. Certamente le parole di Francesco vanno lette anche nella prospettiva della prudenza, del desiderio di evitare che una situazione già incandescente degeneri. Oltretutto poche ore prima il rettore della prestigiosa università islamica al-Azhar aveva fermamente condannato l’orrore di Rouen parlando di «attacco contro i valori dell’islam». Si può capire dunque che in una situazione così drammatica ci sia tutta l’attenzione di non dire parole che possano chiudere anche quel piccolo canale di dialogo che resta aperto.
Tutto ciò detto, però, è chiaro che queste affermazioni, se prese alla lettera, sono oggettivamente fuorvianti e diverse (se non nelle intenzioni, sicuramente nella lettera) da quel «Non si può uccidere in nome di Dio», che ripetevano spesso i predecessori di papa Francesco. Difficile negare che una minaccia grave oggi viene da un certo mondo islamico, che fa proprio leva sulla motivazione religiosa per spargere il terrore nel mondo. Non c’è un problema con le religioni in generale, c’è un problema con l’islam. Come scriveva martedì su Asia News il famoso islamologo padre Samir Khalil Samir, riferendosi ai politici europei, «si deve anche avere il coraggio di dire che l’islam ha elementi di violenza nel Corano e nella vita di Maometto. Se invece si continua a dire che “l’islam è una religione di pace”, creiamo solo confusione e mistificazione».
Nelle sue brevi frasi il Papa ha voluto fare una distinzione netta tra l’aspetto esclusivamente spirituale delle religioni e gli interessi economici, di potere, di dominio su altri popoli che spingono alla guerra e riguardano non meglio specificati «altri». Ma il problema dell’islam è proprio qui, nell’unità inscindibile tra l’aspetto religioso e quello politico, nella sovrapposizione tra attesa escatologica e conquista militare. Per questo la guerra è anche interna al mondo islamico, ma ciò è tutt’altro che consolante. Che l’islam diventi una religione di pace è un doveroso auspicio ma è ben lontano dalla realtà attuale. 
Le parole del Papa però ci costringono anche a farci qualche domanda sulla pace. Di che pace stiamo parlando? In cosa consiste?. Da un punto di vista umano siamo portati a pensare la pace in termini estremamente riduttivi, all’assenza di guerra e violenza, alla possibilità di convivere tra diversi senza tentare di eliminarsi a vicenda. 

Questo è il massimo cui può aspirare il mondo, ma non è questa la pace cristiana: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14, 27). La pace vera dunque è un dono di Gesù, ben diverso da ciò che il mondo intende. Dice Sant’Agostino commentando questo versetto del Vangelo: «Ci lascia la pace al momento di andarsene, ci darà la sua pace quando ritornerà alla fine dei tempi. (…) In lui è la nostra pace, e da lui viene la nostra pace, sia quella che ci lascia andando al Padre, sia quella che ci darà quando ci condurrà al Padre. Ma cos'è che ci lascia partendo da noi, se non se stesso, che mai si allontanerà da noi? Egli stesso, infatti, è la nostra pace, egli che ha unificato i due popoli in uno (cf. Ef 2, 14). Egli è la nostra pace (…)».
La pace dunque è Cristo, c’è se permaniamo in Lui. Dice ancora Sant’Agostino: «Chi desidera la vera pace e la vera felicità deve levare la sua speranza da beni perituri e transeunti e riporla nella Parola del Signore».
Questa dunque è la pace che siamo chiamati a portare nel mondo, senza la quale nessuna costruzione umana potrà avere consistenza. Non è il frutto di un nostro sforzo, ma il riconoscimento di un dono che Gesù ci ha lasciato, che detta «una nuova visione del mondo e un nuovo modo di avvicinarsi all'altro, sia esso una singola persona o un popolo intero» (Compendio dottrina sociale della Chiesa, no. 516). Ed è solo in questo orizzonte che ha senso la collaborazione con altre religioni, laddove i credenti si riconoscono cercatori della vera pace.
Quello che propone la tradizione cristiana dunque è la missione, l’evangelizzazione, il rendere presente a tutti gli uomini quel Cristo per cui ogni uomo è fatto. È tutt’altra cosa dall’«ONU delle religioni» che purtroppo affascina anche tanti prelati cattolici.
2 Devozione per i martiri, garantire la sicurezza per i fedeli
La giusta devozione per i martiri non deve far dimenticare la necessità di assicurare la sicurezza per tutti i fedeli. È il senso del documento pubblicato ieri da Alleanza Cattolica. Ricordando e pregando per padre Jacques Hamel, Alleanza Cattolica ricorda che se la persecuzione è «oggi è arrivata senza ostacoli nel cuore dell'Europa con modalità così simbolicamente crudeli è anche perché ha potuto agire nella quasi totale indifferenza dell'Europa e dell'Occidente quando si è scatenata in Siria, in Iraq, in Nigeria, in Pakistan, in Cina...».  Dunque, «ogni cristiano privato della casa e dei beni, ferito o ucciso nel più remoto angolo del mondo» deve avere «la medesima attenzione giustamente avuta verso p. Jacques».
Il documento ricorda quindi che è «fuorviante» parlare di «guerra fra religioni» soprattutto perché significherebbe «assecondare una propaganda», quella dello Stato Islamico, che «attrae e aggrega» proprio usando la falsa contrapposizione «tra fedeli dell’islam e “crociati”»
Ma se il martirio per la fede, che non si sceglie, «si affronta affidandosi al Signore», c’è anche il dovere di difendere se stessi e la comunità «di fronte all'aggressione ingiusta, soprattutto quando si manifesta in modo così deciso, mirato e coordinato. Doverosa, come ricorda - col costante Magistero pontificio - il Catechismo della Chiesa cattolica allorché, a proposito della legittima difesa, parla del "grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri, del bene comune della famiglia o della comunità civile", e della esigenza "che si ponga l'ingiusto aggressore in stato di non nuocere", anche attraverso il legittimo uso delle armi (§§ 2265-2266). Garantire condizioni di sicurezza e di ordine pubblico è parte del lavoro per il bene comune, al quale esorta da sempre la Dottrina sociale cristiana».
Le dichiarazioni di guerra dei leader dello Stato Islamico rendono ancora più urgente, dice Alleanza cattolica, l’impegno delle autorità a «garantire alla fede le condizioni per essere praticata senza aggressioni». Allo stesso modo si deve «esigere in concreto dai responsabili delle comunità islamiche presenti in Europa e in Italia lealtà e trasparenza, insieme con la più fattiva collaborazione». «Se va rifiutata la categoria della guerra fra religioni – conclude il comunicato - è impossibile negare che gli attacchi terroristici muovono da richiami e proclami dell'ultrafondamentalismo islamico: è interesse di tutti - in primis delle comunità musulmane - isolarli e renderli marginali. Ed è dovere dello Stato fare in modo che sia così».
3 L'Italia? O si "pente" o diventerà islamica
Due ragazzi che decapitano un prete molto vecchio nella sua parrocchia facendosi filmare ed inneggiando alla vittoria di Allah: difficile negare che si sia trattato di un atto di matrice eminentemente religiosa. Non cercavano né soldi, né potere, era anzi certo che ci avrebbero rimesso la vita.
Per diversi decenni la storiografia di matrice marxista ha accusato l’Occidente e i “crociati” di aver cercato in Oriente feudi, soldi e potere. Era vero l’esatto contrario: i crociati facevano un pellegrinaggio armato in difesa della memoria storica del cristianesimo dall’annientamento che rischiava di subire ad opera dei turchi selgiuchidi, mettendo in conto il gravissimo pericolo che avrebbe corso la loro vita, confessandosi e facendo testamento prima di partire.
Il Dio di Maometto ordina la conquista di tutto il mondo e vuole che gli infedeli si pentano e si convertano altrimenti devono subire una giusta punizione (“la ricompensa di coloro che combattono Iddio e il suo Messaggero e si danno a corrompere la terra è che essi saranno massacrati, o crocifissi, o amputati delle mani e dei piedi dai lati opposti, o banditi dalla terra”, Corano 5,33; “Getterò il terrore nel cuore dei miscredenti: colpiteli tra capo e collo, colpiteli su tutte le falangi […] Non siete certo voi che li avete uccisi, è Allah che li ha uccisi”, Corano 8, 12-17): difficile sostenere che chi mette in pratica alla lettera questi comandi – cosa ripetutamente accaduta nel corso dei secoli - stia disobbedendo alla volontà di Allah: santa è la guerra che sottomette gli infedeli (jihad). 
Non a caso un grande italiano, il cardinale Giacomo Biffi, rivolgendosi in una nota pastorale alla città di Bologna il 12 settembre 2000, così metteva in guardia le autorità civili sul fenomeno migratorio: «I criteri per ammettere gli immigrati non possono essere solamente economici e previdenziali (che pure hanno il loro peso). Occorre che ci si preoccupi seriamente di salvare l'identità propria della nazione. L’Italia non è una landa deserta o semidisabitata, senza storia, senza tradizioni vive e vitali, senza un'inconfondibile fisionomia culturale e spirituale, da popolare indiscriminatamente, come se non ci fosse un patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà non deve andare perduto».
In vista di una «pacifica e fruttuosa convivenza», ammoniva Biffi, «il caso dei musulmani va trattato con una particolare attenzione. Essi hanno una forma di alimentazione diversa (e fin qui poco male), un diverso giorno festivo, un diritto di famiglia incompatibile col nostro, una concezione della donna lontanissima dalla nostra (fino ad ammettere e praticare la poligamia). Soprattutto hanno una visione rigorosamente integralista della vita pubblica, sicché la perfetta immedesimazione tra religione e politica fa parte della loro fede indubitabile e irrinunciabile, anche se di solito a proclamarla e farla valere aspettano prudentemente di essere diventati preponderanti». «Sarà bene che nessuno ignori o dimentichi», proseguiva, che il cattolicesimo rimane «la ‘religione storica’ della nazione italiana». 
Apriti cielo! Unanimi furono le reazioni di sdegno di fronte ad un pensiero così evidentemente fanatico, intollerante, oscurantista, reazionario. Chissà cosa scriverebbero oggi gli autori di quelle invettive!
L’Italia che ha ripudiato le sue radici, che ignora i dogmi fondamentali della propria fede, che non ha più cultura perché più nulla è stato insegnato alle nuove generazioni, che vive di politicamente corretto cioè di malattia cerebrale acuta, che ha smesso di fare figli e si interessa solo dei diritti civili intesi come matrimonio omo, utero in affitto, diritto alla dolce morte e compagnia cantando; ha ragione Biffi, questa Italia o si pente delle menzogne anticattoliche di cui si è pasciuta e si converte dall’abominio dell’apostasia o sarà musulmana.
Al seminario della Fondazione Migrantes il 30 settembre 2000 Biffi affermava: «Questa ‘cultura del niente’ (sorretta dall’edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all’assalto ideologico dell’islam, che non mancherà: solo la riscoperta dell’avvenimento cristiano come unica salvezza per l’uomo - e quindi solo una decisa risurrezione dell’antica anima dell’Europa - potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto».

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