Solennità di Pentecoste

Vieni Spirito Santo, vieni per Maria
Nella celebrazione solenne della Pentecoste siamo invitati a professare la nostra fede nella presenza e nell’azione dello Spirito Santo, che nella vita divina è l’amore del Padre e del Figlio in persona e a invocarne l’effusione su di noi, sulla Chiesa e sul mondo intero. Ricordando la prima nella Pentecoste di quest’anno ognuno faccia propria e con particolare intensità, l’invocazione della Chiesa stessa: Vieni Spirito Santo terza persona della trinità di Dio, aggiungendo in questo mese del Rosario, per Maria, sua sposa!  Un’invocazione di amore tanto semplice e immediata, ma
insieme straordinariamente profonda, sgorgata prima di tutto dal Dio che possiede un volto umano, dal Figlio del Padre, dal cuore divino-umano di Cristo. La persona dello Spirito santo, infatti, è il dono che Gesù ha chiesto e continuamente chiede al Padre per i i suoi amici cioè il Consolatore, il primo e principale dono che ci ha ottenuto con il suo lasciarsi uccidere in Croce, con la sua Risurrezione e Ascensione al Cielo avviando la sua presenza sacramentale con la Sua Parola, l’attualizzazione sacramentale del sacrificio della Croce nella Messa, la sua azione nei sacramenti,  la sua presenza nel volto dei suoi, i più bisognosi in particolare e con tanti doni per ogni persona e carismi per la comunità.
Di questa preghiera di Cristo ci parla la Sua Parola il brano evangelico odierno, che ha come contesto l’Ultima Cena dove, sostenuto dallo Spirito, egli ha anticipato e accettato per amore la propria morte in croce, trasformandola così nel dono di sé, quel dono che nell’attualizzazione sacramentale in ogni Messa, ci dà la vita, l’amore, ci libera, ci perdona, ci salva. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: “Se (rispondete al mio amore con il vostro), se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro (la Persona del) Paràclito perché rimanga con voi per sempre” (Gv 14, 15-16). Qui ci viene svelato il cuore orante di Gesù, il suo cuore filiale verso il Padre e fraterno in noi, figli fin dal Battesimo in Lui Figlio. Questa preghiera raggiunge il suo vertice e il suo compimento nella larghezza del suo amore (non esclude nessuno) nella lunghezza (nessuna difficoltà o trasgressione la vince) nell’altezza (portare ogni uomo a divenire figlio in Lui Figlio) nella profondità (condivide fino in fondo le miserie di ogni uomo)  sulla Croce, dove l’invocazione di Cristo (Padre perdona loro, non sanno..) fa un tutt’uno con il dono totale che Egli fa di se stesso (nelle tue mani…), e così il suo pregare diventa per così dire il sigillo stesso del suo donarsi in pienezza per amore del Padre e dell’umanità, come di ogni io umano: invocazione e donazione dello Spirito si incontrano, si compenetrano, diventano un’unica realtà. “E io, (persona del Figlio in un volto umano), pregherò il Padre ed egli vi darà (la persona) del Paraclito perché rimanga con voi per sempre” dandovi la capacità di amare come io vi amo, vi perdono.. In realtà, la preghiera di Gesù – quella dell’ultima Cena e quella sulla Croce – è una preghiera che permane anche in Cielo (fuori dello spazio e del tempo), dove Cristo siede alla destra del Padre e continua a farsi sacramentalmente presente nello spazio e nel tempo nell’attualizzazione sacramentale del suo sacrificio nella Messa, agisce nei sacramenti, si fa presente nel volto dei suoi, di ogni uomo, si rende visibile con i suoi doni ad ogni persona e con i suoi carismi per ogni comunità. Gesù, infatti vive sempre il suo sacerdozio d’intercessione a favore del popolo di Dio e dell’umanità e quindi prega per tutti noi chiedendo al Padre il dono dello Spirito Santo con i sette doni e carismi. Perché la sua preghiera sia efficace, però, occorre la responsabilità di esserne consapevoli di accoglierla nella preghiera.

Il racconto della prima Pentecoste nel libro degli Atti degli Apostoli – lo abbiamo ascoltato nella prima lettura ( At 2,1-11) – presenta il “nuovo corso” dell’opera di Dio iniziato con la risurrezione e ascensione di Cristo, opera che stiamo vivendo in questa Pentecoste e che coinvolge ogni uomo, la storia e il cosmo. Dal Figlio di Dio morto, risorto e ritornato al Padre facendosi sacramentalmente presente spira ora sull’umanità, con inedita energia, il soffio divino, lo Spirito Santo. E cosa produce questa nuova, continua e potente auto-comunicazione di Dio? Là dove ci sono lacerazioni, indifferenza ed estraneità, essa crea unità e comprensione. Si innesca un continuo processo di riunificazione tra le parti della famiglia umana, divise, in guerra e disperse; le persone, spesso ridotte a individui in competizione o in conflitto tra loro, raggiunte dallo Spirito di Cristo, si aprono a esperienze di comunione, che può coinvolgerle a tal punto da fare di loro un nuovo organismo, un nuovo soggetto: la Chiesa in famiglia e nella società. Questo è l’effetto dell’opera di Dio: l’unità; perciò l’unità è il segno del riconoscimento, il “biglietto da visita” della Chiesa nel corso della sua storia universale. Fin dall’inizio, da giorno della prima Pentecoste, essa parla tutte le lingue. La Chiesa universale precede le Chiese particolari, e queste devono sempre conformarsi a quella, secondo un criterio di unità e universalità. La Chiesa, nonostante tante infedeltà storiche, non rimane mai prigioniera di confini politici, razziali e culturali; non si può confondere con gli Stati e neppure con le federazioni di Stati, perché la sua unità è di genere diverso e aspira ad attraversare con la civiltà dell’amore, del perdono, tutte le frontiere umane. Con il Concilio Vaticano II invochiamo Maria, vergine madre del Figlio di Dio, madre della Chiesa.

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