Credere che a noi siano promesse la risurrezione e la vita eterna è una vera pretesa

Quando la Chiesa è davvero se stessa, essa è sempre in movimento, deve continuamente mettersi al servizio della missione, che ha ricevuto dal Signore. E per questo deve sempre di nuovo aprirsi alle preoccupazioni del mondo, del quale, appunto, essa stessa fa parte, dedicarsi senza riserve tali preoccupazioni, per continuare e rendere presente lo scambio  sacro che ha preso inizio con l’Incarnazione.
Nello sviluppo storico della Chiesa si manifesta, però, anche una tendenza contraria: quella cioè di una Chiesa soddisfatta
di se stessa, che si accomoda in questo mondo, è autosufficiente e si adatta ai criteri del mondo. Non di rado si dà all’organizzazione e all’istituzionalizzazione un’importanza maggiore che non alla sua chiamata all’essere aperta verso Dio e ad un aprire il mondo verso il prossimo.

“Da decenni assistiamo ad una diminuzione della pratica religiosa, constatiamo un crescente distanziarsi di una parte notevole di battezzati dalla vita della Chiesa. Emerge la domanda: la Chiesa non deve forse cambiare? Non deve forse, nei suoi uffici e nelle sue strutture, adattarsi al tempo presente, per raggiungere le persone di oggi che sono alla ricerca e in dubbio?
Alla beata Madre Teresa fu richiesto una volta di dire quale fosse, secondo lei, la prima cosa da cambiare nella Chiesa. La risposta fu: Lei ed io!
Questo piccolo episodio ci rende evidenti due cose: da un lato, la religiosa intende dire all’interlocutore che la Chiesa non sono soltanto gli altri, non soltanto la gerarchia, il papa e i vescovi: Chiesa siamo tutti noi, i battezzati. Dall’altro lato, essa parte effettivamente dal presupposto: sì, c’è motivo per un cambiamento. Esiste un bisogno di cambiamento. Ogni cristiano e la comunità dei credenti nel suo insieme sono chiamati ad una continua conversione.
Come  deve configurarsi concretamente questo cambiamento? Si tratta forse di un rinnovamento come lo realizza ad esempio un proprietario di casa attraverso una ristrutturazione o la tinteggiatura del suo stabile? Oppure si tratta qui di una correzione, per riprendere la rotta e percorrere in modo più spedito e diretto un cammino? Certamente, questi ed altri aspetti hanno importanza, e qui non possiamo affrontarli tutti. Ma per quanto riguarda  il motivo fondamentale del cambiamento: esso è la missione apostolica dei discepoli e della Chiesa stessa.
Infatti, la Chiesa deve sempre di nuovo verificare la sua fedeltà a questa missione. I tre Vangeli sinottici mettono in luce diversi aspetti del mandato di tale missione:
-         la missione si basa anzitutto sull’esperienza personale: “Voi siete testimoni” (Lc 24,48);
-         si esprime in relazioni: “Fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19);
-         trasmette un messaggio universale: “Proclamate il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15).
A causa delle pretese e dei condizionamenti del mondo, però, questa testimonianza viene ripetutamente offuscata, vengono alienate le relazioni e viene relativizzato il messaggio. Se poi la Chiesa, come dice Paolo VI, “cerca di modellare se stessa secondo il tipo che Cristo le propone, avviene che la Chiesa si distingue profondamente dall’ambiente umano, in cui essa pur vive, o a cui essa si avvicina” (Ecclesiam suam, 60). Per compiere la sua missione, essa dovrà anche continuamente prendere le distanze dal suo ambiente, dovrà, per così dire, essere distaccata dal mondo.
La missione della Chiesa, infatti, deriva dal mistero del Dio uno e trino, dal mistero del suo amore creatore. E l’amore non è soltanto presente in qualche modo in Dio: Egli stesso lo è, è per sua natura amore. E l’amore di Dio non vuole essere isolato in sé, ma secondo la sua natura vuole diffondersi. Nell’incarnazione e nel sacrificio del Figlio di Dio, esso ha raggiunto l’umanità – cioè noi –in modo particolare, e questo attraverso il fatto che Cristo, il Figlio di Dio è, per così dire, uscito dalla sfera del suo essere Dio, si è fatto carne ed è diventato uomo; non soltanto per confermare il mondo nel suo essere terreno, ed essere il suo compagno che lo lascia così come è, ma per trasformarlo. Dell’evento cristologico fa parte il dato incomprensibile che – come dicono i Padri della Chiesa – esiste un sacrum commerciumuno scambio tra Dio e gli uomini. I Padri lo spiegano così:noi non abbiamo nulla che potremmo dare a Dio, possiamo solo metterGli davanti il nostro peccato. Ed egli lo accoglie, lo assume come proprio, e in cambio ci dà se stesso e la sua gloria. Si tratta di uno scambio davvero disuguale che si compie nella vita e nella passione di Cristo. Egli si fa peccatore, prende il peccato su di sé, assume ciò che è nostro e ci dà ciò che è suo. Ma nello sviluppo del pensiero e della vita alla luce della fede, in seguito, si è reso evidente che non Gli diamo solo il peccato, bensì Egli ci ha dato la facoltà: dall’intimo ci dà la forza di darGli anche qualcosa di positivo, il nostro amore, di dargli l’umanità in senso positivo. Naturalmente è chiaro che solo grazie alla generosità di Dio, l’uomo, il mendicante che riceve la ricchezza divina, tuttavia, può anche dare qualcosa a Dio; Dio ci rende sopportabile il dono,rendendoci capaci di diventare donatori nei suoi confronti.
La Chiesa deve se stessa totalmente a questo scambio disuguale. Non possiede niente da sé stessa di fronte a Colui che l’ha fondata, in modo da poter dire: l’abbiamo fatto molto bene! Il suo senso consiste nell’essere strumento della redenzione, nel lasciarsi pervadere dalla parola di Dio e nell’introdurre il mondo nell’unione d’amore con Dio. La Chiesa s’immerge nell’attenzione condiscendente del Redentore verso gli uomini. Quando è davvero se stessa, essa è sempre in movimento, deve continuamente mettersi al servizio della missione, che ha ricevuto dal Signore. E per questo deve sempre di nuovo aprirsi alle preoccupazioni del mondo, del qual, appunto, essa stessa fa parte, dedicarsi senza riserve tali preoccupazioni, per continuare e rendere presente la scambio sacro che ha preso inizio con l’Incarnazione.
Nello sviluppo storico della Chiesa si manifesta, però, anche una tendenza contraria: quella cioè di una chiesa soddisfatta di se stessa, che si accomoda in questo mondo, è autosufficiente e si adatta ai criteri del mondo. Non di rado dà così all’organizzazione e all’istituzionalizzazione un’importanza maggiore che non alla sua  chiamata all’essere aperta verso Dio e ad un aprire il mondo verso il prossimo.
Per corrispondere al suo vero compito, la Chiesa deve sempre di nuovo fare lo sforzo di distaccarsi da questa sua secolarizzazione e diventare nuovamente aperta verso Dio. Con ciò essa segue le parole di Gesù: “Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo” (Gv 17,16), ed è proprio così che Lui si dona al mondo. In un certo senso, la storia viene in aiuto alla Chiesa attraverso le diverse epoche di secolarizzazione, che hanno contribuito in modo essenziale alla sua purificazione e riforma interiore.
Le secolarizzazioni infatti – fossero esse l’espropriazione di beni della Chiesa o la cancellazione di privilegi o cose simili – significarono ogni volta una profonda liberazione della Chiesa da forme di mondanità: essa si spoglia, per così dire, della sua ricchezza terrena e torna ad abbracciare pienamente la sua povertà terrena. Con ciò condivide il destino della tribù di Levi che, secondo l’affermazione dell’Antico testamento, era la sola tribù in Israele che non possedeva un patrimonio terreno, ma, come parte di eredità, aveva preso in sorte esclusivamente Dio stesso, la sua parola e i suoi segni. Con tale tribù, la Chiesa condivideva in quei momenti storici l’esigenza di una povertà che si apriva verso il mondo, per distaccarsi dai suoi legami materiali, e così anche il suo agire missionario tornava ad essere credibile.
Gli esempi storici mostrano che la testimonianza missionaria di una Chiesa distaccata dal mondo emerge in modo più chiaro. Liberata ai fardelli e dai privilegi materiali e politici, la Chiesa può dedicarsi meglio e in modo veramente cristiano al mondo intero, può essere veramente aperta al mondo. Può nuovamente vivere con più scioltezza la sua chiamata al ministero dell’adorazione cristiana e dovrebbe determinare la struttura della Chiesa, si rende visibile in modo più chiaro.  La Chiesa si apre al mondo, non per ottenere l’adesione degli uomini per un’istituzione con le proprie pretese di potere, bensì per farli rientrare in se stessi e così condurli a Colui del quale ogni persona può dire con Agostino:Egli è più intimo a me di me stesso. Egli, che è infinitamente al di sopra di me, è tuttavia talmente in me stesso da essere la mia vera interiorità. Mediante questo stile di apertura della Chiesa verso il mondo è, insieme, tracciata anche la forma in cui l’apertura al mondo da parte del singolo cristiano può realizzarsi in modo efficace e adeguato.
Non si tratta qui di trovare una nuova tattica per rilanciare la Chiesa. Si tratta piuttosto di deporre tutto ciò che è soltanto tattica e di cercare la piena sincerità, che non trascura né reprime alcunché della verità del nostro oggi, ma realizza la fede pienamente nell’oggi vivendola, appunto, totalmente nella sobrietà dell’oggi, portandola alla sua piena identità, togliendo da essa ciò che solo apparentemente è fede, ma in verità è convenzione e abitudine.
Diciamolo ancora con altre parole: la fede cristiana è per l’uomo uno scandalo sempre e non soltanto nel nostro tempo. Che il Dio eterno si preoccupi di noi esseri umani, ci conosca; che l’Ineffabile sia divenuto in un determinato momento in un determinato luogo, afferrabile; che l’Immortale abbia patito e sia morto sulla croce; che a noi esseri mortali siano promesse la risurrezione e la vita eterna – credere questo è per gli uomini senz’altro una vera pretesa.
Questo scandalo, che non può essere abolito se non si vuole abolire il cristianesimo, purtroppo, è stato messo in ombra proprio recentemente dagli altri scandali dolorosi degli annunciatori della fede. Si crea una situazione pericolosa, quando questi scandali prendono il posto dello skandalon primario della Croce e così lo rendono inaccessibile, quando cioè nascondo la vera esigenza cristiana dietro l’inadeguatezza dei suoi messaggeri.
Vi è una ragione in più per ritenere che sia nuovamente l’ora di trovare il vero distacco del mondo, di togliere coraggiosamente ciò che vi è di mondano nella Chiesa. Questo, naturalmente, non vuol dire ritirarsi dal mondo, anzi, il contrario. Una chiesa alleggerita degli elementi mondani è capace di comunicare agli uomini – ai sofferenti come a coloro che li aiutano – proprio nell’ambito sociale caritativo, la particolare forza vitale della fede cristiana. “La carità non è per la Chiesa una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espressione  irrinunciabile della sua essenza” (Deus caritas est, 25). Certamente, anche le opere caritative della Chiesa devono continuamente prestare attenzione all’esigenza di un adeguato distacco dal mondo per evitare che, di fronte ad un crescente allontanamento dalla Chiesa, le loro radici si secchino. Solo il profondo rapporto con Dio rende possibile una piena attenzione all’uomo, così come senza l’attenzione al prossimo si impoverisce il rapporto con Dio.
Essere aperti alle vicende del mondo significa quindi per la Chiesa distaccata dal mondo testimoniare, secondo il vangelo, con parole ed opere qui e oggi la signoria dell’amore di Dio. E questo compito, inoltre, rimanda al di là del mondo presente: la vita presente, infatti, include il legame con la vita eterna. Viviamo come singoli e come comunità della Chiesa la semplicità di un grande amore che, nel mondo, è insieme la cosa più facile e più difficile, perché esige nulla di più e nulla di meno che il donare se stessi.
Cari amici, mi resta di implorare per tutti noi la benedizione di Dio e la forza dello Spirito santo, affinché possiamo, ciascuno nel proprio campo d’azione, sempre nuovamente riconoscere e testimoniare l’amore di Dio e la sua misericordia. Vi ringrazio per la vostra attenzione” (Benedetto XVI, Incontro con cattolici impegnati nella Chiesa e nella società, 25 settembre 2011, a Friburgo).

Il 14 dicembre 2013, in occasione della presentazione del libro “L’ultima parola”  della, vaticanista Giovanna Chirri così si è espressoChristoph Schoenborn: “Nel discorso di Benedetto XVI a Friburgo, del settembre 2011, c’è l’appello alla Chiesa del distacco dal mondo. Tutto ciò che Benedetto ha detto a Friburgo si legge come il programma di Papa Francesco. Pochi pensatori hanno dato come Benedetto indicazioni su come comportarsi in un mondo secolarizzato, vivendo in una diaspora simile a quella degli ebrei, che non deve farci paura…tra Benedetto e Francesco c’è una semplicità davvero cristiana. Si può dire un’amicizia”.

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