Incatenato per amore


Il prete è un “incatenato per amore”: un amore che dà libertà, un amore che lo fa capace di rendere presente il Messaggio di Cristo e Cristo stesso

“Siamo entrati per la porta della Quaresima, rinnovamento annuale del nostro Battesimo; ripetiamo quasi il nostro catecumenato, andando di nuovo nella profondità del nostro essere battezzati, riprendendo, ritornando al nostro essere battezzati e così incorporati in Cristo. In questo modo, possiamo anche cercare di guidare le nostre comunità nuovamente in questa comunione intima con la morte e risurrezione di Cristo, divenire sempre più conformi a Cristo, sempre più realmente cristiani.
Il brano della Lettera di san Paolo agli Efesini (4,1-16) è uno dei grandi testi ecclesiali del
Nuovo testamento. Comincia con la presentazione dell’autore: “Io Paolo, prigioniero a motivo del  Signore” (v.1). La parola greca desmios dice “incatenato”: Paolo, come un criminale, è in catene, incatenato per Cristo e così inizia nella comunione con la passione di Cristo. Questo è il primo elemento dell’autopresentazione: egli parla incatenato, parla nella comunione della passione di Cristo e così sta in comunione anche con la risurrezione di Cristo, con la sua nuova vita. Sempre noi, quando parliamo, dobbiamo parlare in comunione con la sua passione, verso la novità della vita, verso la risurrezione. “Incatenato”, quindi, è prima una parola della teologia della croce, della comunione necessaria di ogni evangelizzatore, di ogni Pastore con il Pastore supremo, che ci ha redenti “dandosi”, soffrendo per noi. L’amore è sofferenza, è un darsi, è un perdersi, e proprio in questo modo è fecondo. Ma così, nell’elemento esteriore delle catene, della libertà non più presente, appare e traspare un altro aspetto: la vera catena che lega Paolo a Cristo è la catena dell’amore. “Incatenato” per amore”: un amore che dà libertà, un amore che lo fa capace di rendere presente il messaggio di Cristo e Cristo stesso. E questo dovrebbe essere, anche per noi tutti, l’ultima catena che ci libera, collegati con la catena dell’amore a Cristo. Così troviamo la libertà e la vera strada della vita, e possiamo, con l’amore di Cristo, guidare a questo amore, che è la gioia, la libertà, anche gli uomini affidatici.
E poi “Esorto”: è il suo compito quello di esortare, ma non è un ammonimento moralistico. Esorto dalla comunione con Cristo; è Cristo stesso, ultimamente, che esorta, che invita con l’amore di un padre e di una madre. “Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto” (v. 1); cioè, primo elemento: abbiamo ricevuto una chiamata. Io non sono anonimo o senza senso nel mondo: c’è una chiamata, c’è una voce che mi ha chiamato, una voce che seguo. E la mia vita dovrebbe essere un entrare sempre più profondamente nel cammino della chiamata, seguire questa voce e così trovare la vera strada e guidare gli altri su questa strada.
Sono “chiamato con una chiamata”. Direi che abbiamo la grande prima chiamata del Battesimo, di essere con Cristo; la seconda grande chiamata di essere Pastori al suo servizio, e dobbiamo essere sempre più in ascolto di questa chiamata, in modo da poter chiamare o meglio aiutare anche gli altri affinché sentano la voce del Signore che chiama. La grande sofferenza della Chiesa di oggi nell’Europa e nell’Occidente è la mancanza di vocazioni sacerdotali, ma il Signore chiama sempre, manca l’ascolto. Noi abbiamo ascoltato la sua voce e dobbiamo essere attenti alla voce del Signore anche per altri, aiutare perché ci sia ascolto, e così sia accettata la chiamata, si apra una strada della vocazione ad essere Pastori con Cristo. San Paolo ritorna su questa parola “chiamata” alla fine di questo primo capoverso, e parla di una vocazione, di una chiamata che è alla speranza – la chiamata stessa è speranza – e così dimostra le dimensioni della  chiamata: non è solo individuale, la chiamata è già un fenomeno dialogico, un fenomeno nel “noi”; nell’”io e tu”e nel “noi”. “Chiamata alla speranza”. Vediamo così le dimensioni della chiamata; esse sono tre.
Chiamata, ultimamente, secondo questo testo, verso Dio. Dio è la fine; alla fine arriviamo semplicemente in Dio e tutto il cammino è un cammino verso Dio.
Ma questo cammino verso Dio non è mai isolato, un cammino solo nell’”io”, è un cammino verso il futuro, verso il rinnovamento del mondo, e un cammino nel “noi” dei chiamati che chiama altri, fa ascoltare loro questa chiamata. Perciò la chiamata è sempre anche una chiamata ecclesiale.
Essere fedeli alla chiamata del Signore implica scoprire questo “noi” nel quale e per il quale siamo chiamati, come pure andare insieme e realizzare le virtù necessarie. La “chiamata” implica l’ecclesialità, implica quindi la dimensione verticale e orizzontale, che vanno inscidibilmente insieme, implica ecclesialità nel senso di lasciarci aiutare per il “noi” e di costruire questo “noi” della Chiesa.
In tal senso, san Paolo illustra la chiamata con questa finalità: un Dio unico, solo, ma con questa direzione verso il futuro; la speranza è nel “noi” di quelli che hanno la speranza, che amano all’interno della speranza, con alcune virtù che sono proprio gli elementi dell’andare insieme” (Benedetto XVI, Incontro con i parroci di Roma, 23 febbraio 2012).

Se nostro Signore trasmette la verità alla Chiesa con la fede, è per farne una Chiesa che prega e quindi ama, perché Gesù pregò moltissimo e per amore si è lasciato uccidere, senza soccombere. Durante la sua esistenza terrena e ora in Cielo è sempre presente per pregare con noi, in noi e per noi ((Eb 7,25). Una fede che non portasse alla preghiera e quindi alla carità sarebbe una fede morta. Ora, qual è la preghiera che Gesù ha trasmesso alla Chiesa? E’ evidente che è il santo Sacrificio della Messa, come la grande preghiera di Nostro Signore fu il suo Calvario. E’ sulla Croce che Egli pregò sommamente e il Sacrificio della messa che rende continuamente attuale il Calvario, la più grande preghiera della Chiesa, preghiera cui la Chiesa associa tutti i fedeli intimamente nel loro sacerdozio battesimale, crismale, matrimoniale. Le parole, unite all’invocazione dello Spirito, che il sacerdote pronuncia sulla santa Eucaristia costituiscono al contempo la riattuazione del Sacrificio di Nostro Signore e il sacramento straordinario, mirabile, misterioso, divino, della presenza di Nostro Signore Gesù Cristo nell’Eucarestia dato per nutrimento a molti.
Quando solo il Sacerdote pronuncia le parole della consacrazione accade l’avvenimento della continua venuta di Colui che è il Creatore di tutte le cose, il redentore dell’Universo, risorto il centro della storia, Gesù Cristo. Come la santissima Vergine con il suo fiat e l’azione dello Spirito ha accolto nel suo grembo il Figlio di Dio in un volto umano, analogamente il sacerdote, continuando l’incarnazione della via umana alla Verità e alla Vita, pronunciando le parole della consacrazione e invocando lo Spirito, rende presente sull’altare Nostro Signore nel suo Corpo, nel suo sangue, nella sua Anima, nella sua Divinità.  Lui il Risorto parla in continuità attraverso la Scrittura e si dona in persona in tutti i sacramenti, l’Eucaristia e la Penitenza in particolare attraverso il sacerdote che agisce sacramentalmente in persona di Cristo.

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