La tensione verso la civilta della verità e dell'amore

La tensione storica verso la civiltà della verità e dell'amore
In Corrispondenza Romana del 17 agosto 2017
(Vito Muschitiello) L'Università d'estate della Fondazione Lepanto, giunta alla VI edizione, si è svolta in un clima di preghiera, studio e fraterna amicizia spirituale, alternando alle conferenze, momenti di preghiera (S. Messa, Confessioni, S. Rosario, imposizione dello Scapolare del Carmelo) e ricreativi (proiezione del film Danton e visite al
Sacro Speco, al monastero di Santa Scolastica e al lago San Benedetto). I luoghi non sono mai neutrali, ispirano un mondo e la conferma della sede a Subiaco ci pone sotto la protezione di san Benedetto, padre di quella civiltà cristiana che è stata il tema centrale di questa edizione. Le finalità di queste giornate sono come sempre molteplici: trasmettere una scuola di pensiero, creare una famiglia di anime accomunate dall'amore alla Verità, ritrovare il primato della contemplazione, di Dio, della Verità, dell'essenziale e riscoprire l'unità tra contemplazione e azione, tra studio e responsabilità dell'agire, tra conoscenza ed esigenza di spiegare, rettificare, difendere, ricostruire quanto è andato distrutto.
Il tema della cristianità tra passato e futuro è stato affrontato seguendo un preciso itinerario filosofico (principii), storico (realizzazioni nel tempo) e spirituale
Il dott. José Antonio Ureta ha presentato le più recenti ed estreme espressioni della negazione contemporanea della cristianità, fondate su una mera rappresentazione ideologica della natura: ecologismo, tribalismo, anarco-primitivismo, sono filosofie che considerano l'uomo un cancro della natura e che predicano, idealizzandola, una società senza gerarchia, una sorta di ritorno alla foresta che bandisce qualsiasi sviluppo o attività produttiva che supponga anche solo l'addomesticamento di piante e animali, una cultura intrisa di panteismo in cui è la natura la madre, la divinità da rispettare, amare e temere. Pensiero che purtroppo pare ispirare vari passaggi dell'instumentum laboris del prossimo sinodo dei Vescovi sull'Amazzonia.
Il prof. Matteo D'Amico ha avviato l'analisi storica parlando delle origini della cristianità: all'epoca dell'editto di Costantino, nonostante (o grazie) le persecuzioni, il Cristianesimo era già la religione maggiormente professata nell'Impero romano, per via di fattori attrattivi che avevano suscitato tante conversioni: la fermezza dottrinale, uno straordinario rigore morale, l'eroicità delle virtù richieste ai battezzati, la fortissima solidarietà interna, il suo concetto di persona, la capacità di appagare la sete di Verità insita in ogni uomo e l'ideale alto di santità, di vita eroica e virtuosa che proponeva. I romani erano stupiti da tanta bellezza, forza, carità, unità, fedeltà, fecondità familiare che contrastavano con la loro crisi morale, denatalità, schiavitù, oppressione fiscale dovuta ai costi di un apparato burocratico immenso; elementi, quest'ultimi, che avrebbero poi determinato il crollo dell'impero. Fare un'analogia con la realtà odierna e col baratro verso cui sta precipitando la nostra civiltà, è fin troppo semplice! La Roma cristiana (dopo l'editto di Costantino) sarà caratterizzata dal connubio tra Stato e Chiesa che in qualche modo durerà fino alla Rivoluzione francese.
Proseguendo nell'excursus storico, don Marino Neri ha parlato del monachesimo occidentale quale radice e propulsore della civiltà cristiana. Uno dei suoi precursori fu sant'Atanasio che, esiliato a causa della sua strenua difesa della verità cattolica contro l'arianesimo, venne a conoscenza dei grandi del monachesimo orientale quali sant'Antonio Abate, san Pacomio, ecc.  Il monachesimo occidentale nacque da subito in forma cenobitica, sia pur conservando una certa tensione verso la vita anacoretica, tipica del monachesimo orientale, vista come una sorta di ideale di perfezione al quale i monaci talvolta si dedicavano per periodi più o meno lunghi presso luoghi di eremitaggio. L'espansione fu rapida: dai primi monasteri nelle isole a san Martino di Tour, da sant'Agostino col suo Praeceptum ad Eusebio da Vercelli. Ma il grande propulsore della vita monastica in Europa fu san Benedetto che ebbe il merito di ordinare in modo sistematico la vita monastica attraverso la Regola: primato del culto divino, grande risalto alla Liturgia (Santa Messa e Ufficio Divino coi Salmi cantati), lectio divina, studio della teologia monastica e lavoro. I monaci capirono ben presto che era necessario dissodare non solo il terreno della propria anima per estirpare le erbacce del peccato (coltura animi), ma anche la terra e il pensiero attraverso l'agricoltura e la cultura (coltura mundi); così i primi piccoli cenobi divennero pian piano grandi monasteri, abbazie, scuole, università, città, informando non solo la vita religiosa, ma anche le realtà temporali dei luoghi in cui erano insediati. Il monastero era innanzitutto luogo escatologico in cui si viveva il primato di Dio e della preghiera ma, informato dal principio cardine dell'ora et labora, fu dunque anche motore di evangelizzazione e civilizzazione attraverso l'apostolato sia religioso che culturale. Nelle epoche di grandi crisi il monachesimo, cercando di riprodurre nel microcosmo quell'ordine cristiano che nel macrocosmo si era perduto, è sempre un seme di speranza. Il monachesimo ha sempre saputo rinvigorire quelle radici cristiane piantate col sangue dei martiri che, a causa della tempesta morale o sociale di turno, sono state tante volte offuscate.
La rivoluzione protestante, che seguì alla crisi dei costumi e del pensiero del periodo umanistico-rinascimentale, fu il primo grave colpo inferto all'unità della civiltà cristiana medievale, sconvolgendo il mondo per così come lo si era conosciuto fino ad allora. Il prof. Gianandrea de Antonellis ha presentato alcuni tratti della cristianità post-tridentina che fu cristianità insieme di difesa (dal protestantesimo e dall'Islam) e di espansione (con le grandi missioni in Sud America, nelle Filippine, ecc.). Ne sono esempi la cristianità ispanica, quella asburgica, slava, polacca, ecc.    
Padre Serafino Lanzetta ha invece affrontato quello che, sul piano teologico, è il cuore della questione della cristianità: il Regno Sociale di Nostro Signore Gesù Cristo. La regalità sociale di Cristo deriva dall'unione ipostatica della natura divina e umana nella Persona del Verbo Incarnato. Che Cristo sia Re lo dice già la Scrittura (in particolare con l'adorazione dei magi e il dialogo di Gesù con Pilato), e lo conferma anche la Tradizione e Magistero della Chiesa a partire dal Credo (… e il Suo Regno non avrà mai fine) fino alla Quas Primas di Pio XI (1925) che istituisce la festa di Cristo Re al culmine del forte sviluppo della devozione al Sacro Cuore di Gesù per l'impulso ricevuto dalle rivelazioni a S. Margherita M. Alacoque. Cristo è Re per diritto di natura (in quanto Egli è causa e fine di ogni cosa) e per diritto di conquista (avendo Egli riscattato ogni uomo a prezzo del Suo Sangue). Ma se Cristo è Re, allora Egli ha un Regno. Questo Regno, che è la Persona stessa di Cristo e di cui la Chiesa è espressione visibile, è già presente in mezzo a noi, ma troverà il suo pieno compimento nella vita eterna del Cielo. Il Regno di Cristo non si identifica con un regno politico, ma ciò non significa che lo Stato possa sottrarsi alla Sua potestà o ritenersi neutrale: se Dio è Uno, la religione è una e lo Stato deve favorire l'unica religione vera pur tollerando le altre.   
Il prof. Andrea Sandri, presentando la cristianità di Bisanzio e i suoi sviluppi nell'Europa orientale, si è concentrato sul tema del dogma trinitario del Filioque, ricordando anche il legame tra teologia e politica: una civiltà durata quasi dieci secoli e caratterizzata da una spiritualità incentrata sul culto, sullo splendore della liturgia e sul monachesimo. 
Venendo ai giorni nostri, il prof. Guido Vignelli ha parlato della "nuova cristianità" (che trova in Cristianesimo integrale di Jacques Maritain una delle sue principali espressioni) svelandone tutta la distanza dalla vera cristianità medievale, a partire dal suo fondamento filosofico, il personalismo, incentrato su un concetto di persona che vale per sé stessa, come assoluto (e quindi al di sopra di ogni autorità e verità, per cui la sua dignità prescinde dal suo comportamento morale o dall'assolvimento dei suoi doveri) e come misura di tutte le cose. Ciò conduce all'idea moderna di "diritti umani" che si fonda sul concetto di autodeterminazione e autocreazione dell'uomo: ciò che conta è l'autocoscienza e la libertà di agire in coerenza con essa. Siamo lontani anni luce dalla prospettiva metafisica della Scolastica e di san Tommaso, secondo cui la dignità della persona risiede nell'essere creatura voluta e amata da Dio. La prospettiva personalista nega l'essere quale norma dell'agire e pretende che l'agire determini l'essere. Inoltre la "persona" è considerata in base alle sue relazioni, è frutto delle sue relazioni, e vale nella misura della sua capacità di avere relazioni (possiamo immaginare i risvolti di questa idea sotto il profilo bioetico). Ancora, se l'individuo è il valore assoluto, la società diviene qualcosa di relativo, accidentale, strumentale rispetto al fine che è la tutela dell'individuo, così che la ricerca del bene comune (inteso come valore assoluto di natura) viene sostituito dalla "ricerca di valori condivisi", in altre parole dalla dittatura della maggioranza. I riflessi sul piano morale sono l'eliminazione dell'elemento soprannaturale della grazia dalla prospettiva dell'uomo (l'obiettivo è di creare una società più umana) e il relativismo.
Il prof. Roberto de Mattei ha descritto quella che invece è la vera Cristianità come modello storico di società ispirata ai principii cristiani e i compiti attuali dell'impegno controrivoluzionario. Il Prof. Plinio Corrêa de Oliveira definisce la Cristianità come la proiezione nella storia, quindi nel campo naturale, della realtà soprannaturale del Corpo mistico di Cristo che è la Chiesa. In definitiva la Cristianità è un cristianesimo vissuto. Questa società è esistita nel Medioevo cristiano avendo il suo apogeo nella notte di Natale dell'800 quando Carlo Magno viene incoronato re da Papa Leone III. Un'Europa unita da un'unica dottrina, un'unica religione, un'unica lingua (il latino), un unico rito, un unico diritto (quello comune). Le case, le cattedrali, le corporazioni, le università, gli ordini cavallereschi, la cultura e la teologia (si pensi alla Divina Commedia e alla Summa Theologiae), il modo di vivere e di morire, tutto era ordinato a Dio. Una società gerarchica e organica in cui il potere dell'autorità è limitato dall'ordine del bene, dalla legge naturale, da Dio e quindi non può essere esercitato contro il bene e contro la giustizia. Una società "sacrale" in cui vi è sì distinzione, ma non contrapposizione, tra potere spirituale e potere temporale, i quali concorrono, ciascuno nelle proprie sfere di competenze, al bene comune. Una società, come la descrive Leone XIII in Immortale Dei, nella quale «governava la filosofia del Vangelo e in cui la forza della sapienza cristiana e lo spirito divino erano penetrati nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in ogni ordine e settore dello Stato, e la religione fondata da Gesù Cristo ovunque prosperava». La dissoluzione della civiltà cristiana iniziò nel XIV-XV secolo (il momento più simbolico fu l'episodio dello schiaffo ad Anagni di un emissario del Re di Francia Filippo il Bello, a Papa Bonifacio VIII) e la Rivoluzione francese ne sancì la distruzione.
Il prof. Giovanni Turco ha concluso il ciclo di conferenze offrendo una riflessione sulla cristianità come categoria assiologica (che dice una Verità), metafisica (che dice una realtà) e teologica (che dice una rivelazione divina) e non come categoria psicologica, sociologica o ideologica nel senso di una mera rappresentazione soggettiva, di un sentire collettivo, o di un'assolutizzazione di un'opinione. La civiltà cristiana non è altro che l'ordine cristiano cioè la retta disposizione di tutte le cose al fine ultimo che è Dio. Essa si caratterizza per la presenza di alcuni elementi essenziali: un retto rapporto tra fede e ragione, tra grazia e natura in cui la grazia suppone e perfeziona la natura intesa nel senso tomistico di conformità all'essere (recta ratio intellectus fidei); la comunità politica intesa non come frutto di un patto sociale, né come rappresentazione sociologica, bensì come realtà che ci precede; una società ordinata a Dio in quanto creatore dell'uomo, della sua naturale socialità e dunque della società stessa; il primato dell'essere, del bene e del vero. Occorre infine fare attenzione a non confondere la vera cristianità con alcune rappresentazioni equivoche quali la "nuova cristianità" maritainiana che di fatto conduce ad una cristianità desacralizzata, o "l'opzione comunitaria" che rischia di creare aggregazioni che più che ad una vera vocazione religiosa di tipo benedettino, rispondano ad una prospettiva sociologica che abdica al doveroso impegno apologetico e di apostolato per ricondurre a Dio tutte le realtà, comprese quelle temporali. Concludendo, facciamo nostro il pensiero di san Pio X in Notre Charge Apostolique secondo cui esiste una sola civiltà, la civiltà cristiana e ogni alternativa è in realtà una de-civilizzazione. La verità di questo pensiero è, oggi come mai, tristemente sotto gli occhi di tutti. (Vito Muschitiello)

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