Presenza fisica del demonio

“Sappiamo che questo Essere oscuro e conturbante, il demonio, esiste davvero e con proditoria astuzia agisce ancora; è il nemico occulto che semina errori e sventure nella storia umana” (Paolo VI 1972).
A Tubinga, nel 1969, Herbert Haag, professore di Antico Testamento, aveva pubblicato un libretto con il significativo titolo La liquidazione del diavolo?; questo libretto culmina nella frase che ha avuto una grande diffusione: ”Noi abbiamo già compreso che nel Nuovo Testamento il concetto di
‘diavolo’ sta semplicemente al posto del concetto di ‘peccato’” (p. 52). Paolo VI nella catechesi del 15-XI- 1972 così intervenne sottolineando la reale esistenza fisica di Satana e dichiarandosi contrario alla sua dissoluzione in qualcosa di astratto:
- “Il Male non è più soltanto una deficienza ma una efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore. Terribile realtà. Misteriosa, paurosa”.
- “Esce dal quadro dell’insegnamento biblico ed ecclesiastico chi si rifiuta di riconoscerlo esistente; ovvero chi ne fa un principio a se stante, non avente esso pure, come ogni creatura, origine da Dio; oppure lo spiega come una pseudo realtà, una personificazione concettuale e fantastica delle cause ignote dei nostri malanni”.
- “Bisogna difendersi contro quel male che chiamiamo demonio… un agente oscuro e nemico”.
- “Il demonio è all’origine della prima disgrazia dell’umanità. E’ il nemico numero uno, è il tentatore  per eccellenza. Sappiamo così che questo Essere oscuro e conturbante esiste davvero e con proditoria astuzia agisce ancora; è il nemico occulto che semina errori e sventure nella storia umana”.
Al Concilio si sono confrontate l’area episcopale renana influenzata da Rahner accentuando la Chiesa come avvenimento, novità relativizzando i dogmi, ritenendo  che sempre sotto la guida dello Spirito Santo può esserci discontinuità, e la teologia romana dogmatica. La dogmatica è la scienza della fede maturata e definita nella Tradizione a fondamento di ogni legittimo nella continuità uno  sviluppo teologico sempre opinabile. I testi pastorali del Concilio pastorale sono   una sintesi dell’et et cattolico fra dogma e avvenimento in continuità dinamica come ha richiamato Benedetto XVI il 22 dicembre del 2005 e ai parroci romani nel 2013. Con il criterio arbitrario dello spirito del Concilio anziché dei testi venivano e oggi si continuano a proporre novità che mettono a rischio quell’unità della Chiesa cui Paolo VI teneva tanto. Senza il fondamento del Dogma cioè della scienza della fede maturata e accolta nella Chiesa non c’è fondamento delle varie teologie e ci si dissolve in filosofie religiose auto fondantesi. E nell’Omelia Resistite fortes in fide  fin dal giugno 1972:
-“da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio”.
-“Crediamo in qualcosa di preternaturale venuto nel mondo proprio per turbare, per soffocare i frutti del Concilio ecumenico e per impedire che la Chiesa prorompesse nell’inno di gioia per aver ricevuto in pienezza la coscienza di sé”.
Haag aveva rimproverato di ricadere nella visione del mondo giudaico dei primi tempi; Paolo VI farebbe confusione, nella Sacra Scrittura, tra visione del mondo ed espressione di fede.
Cosa si può dire? Fin dal 1970 il prof. Ratzinger, in occasione della prima domenica di Quaresima, che riferisce la tentazione di Gesù ad opera di “Satana”, è intervenuto in rapporto critico a Haag.
E’ importante qui, anzitutto – Ratzinger - una precisazione metodologica. Neppure Haag può negare che nel Nuovo Testamento Satana e i demoni giochino un ruolo importante. Non può contestare nemmeno il fatto che nel Nuovo Testamento il termine “diavolo” non rappresenta affatto un sinonimo di peccato, ma allude ad una potenza esistente; l’uomo è abbandonato ad essa e ne viene liberato per opera di Cristo, perché solo Lui, nella sua qualità di “più forte” può legare il “forte” nell’uomo (Lc. 11,22; Mc 3,27). La supposizione che si avrebbe conosciuta la possibilità di sostituire diavolo come peccato sorge in Haag per via induttiva, senza un vero e proprio fondamento; il “fondamento” si nasconde in una formulazione, che per la sua ovvietà potrebbe indurre a rinunciare ad un esame più preciso: “Nel significato delle forme di pensiero giudaiche di allora il diavolo appare nel Nuovo Testamento come l’esponente del male. Gesù e gli apostoli si muovono entro queste forme di pensiero allo stesso modo del loro ambiente” (p.47). Qui si ammette,  come il testo afferma indiscutibilmente – che Gesù e gli apostoli fossero convinti dell’esistenza e dell’azione fisica delle potenze demoniache; nello steso tempo, però, si presuppone come del tutto evidenti che essi fossero vittime ‘delle forme di pensiero giudaiche di allora’. Da qui non è difficile derivare la conclusione seguente, che cioè “questa concezione non è più conciliabile con la nostra attuale immagine del mondo “ (p.27).
Ciò significa che il motivo per il “commiato dal diavolo” non poggia sulle affermazioni bibliche, le quali sostengono il contrario, ma sulla nostra visione del mondo, con la quale esso sarebbe “inconciliabile”. In altre parole, Haag congeda il diavolo non come esegeta, come interprete della Scrittura, ma come persona del nostro tempo, che ritiene improponibile l’esistenza di un diavolo. L’autorità in forza della quale egli asserisce  il suo giudizio non è, dunque, quella di interprete della Bibbia, ma la visione del mondo a lui contemporanea.
[in un altro passaggio Ratzinger sottolinea anche la pericolosità del pensiero errato di Haag quando afferma che Gesù stesso, con i suoi discepoli “sarebbe stato vittima delle forme di pensiero giudaiche di allora”, affermando così che lo stesso Gesù non sarebbe stato in grado di distinguere il vero dal falso, contravvenendo a ciò che disse proprio di se stesso “Io sono la Via, la Verità e la vita…”. Ratzinger afferma come questo pensiero, purtroppo, sia stato assorbito dalla così detta teologia o meglio dalla filosofia religiosa in assenza del fondamento dogmatico e dall’esegesi modernista del nostro tempo, atta ad eliminare non solo il Demonio in questo suo “essere creatura fisica cioè reale e concreta” che induce al male e contro la quale l’uomo deve lottare – convertendosi al Cristo vivente, ecclesialmente presente e operante sacramentalmente – ma a mettere in dubbio  fin anche l’esistenza del Verbo incarnato in quanto Persona divina filiale che ha assunto un volto umano, mettendo in dubbio ciò che ha detto e insegnato, per essere interpretato a seconda delle mode del tempo. Inoltre rifletteva Ratzinger, se si dovesse affermare che il demonio non esiste fisicamente ci dovremmo subito chiedere  chi andò dalla Vergine Maria ad annunciare l’Incarnazione divina, rimettendo in discussione ciò che invece i Padri hanno pensato come scienza della fede accolta dalla Chiesa sugli Angeli, gli Arcangeli, su san Michele vincitore della grande battaglia]
Si potrebbe pensare di aver così eliminato il problema, perché è chiaro ormai che Haag giudica quello che è “conciliabile” con il pensiero moderno, contro il testo della Bibbia, sulla base della sua concezione. Ma la questione non è così semplice perché, in realtà, ci sono delle espressioni nella Bibbia, che non si possono rifiutare nella testimonianza della fede, ma devono venir considerate come struttura della visione del mondo, nella quale quell’idea particolare si esprime. Questo vale ad esempio per la visione del mondo geo-centrica, che venne difesa in un primo momento, contro Copernico e Galilei, come dottrina biblica, finché si riconobbe che la Bibbia non è competente per problemi di astronomia; ciò vale per quell’interrogativo sull’origine del mondo; per un certo tempo si volle descritta letteralmente nel primo capitolo della Genesi, finché si ritrovò la strada per dar ragione di nuovo alla chiesa antica nell’ammettere che qui si tratta di affermazioni della potenza di Dio e del compito dell’uomo, ma non di informazioni scientifiche.
Si dovrà  dichiarare pure che non è sempre chiaro fin dove arrivi l’affermazione di fede della Bibbia e cosa sia soltanto una strumentalizzazione del suo tema particolare, determinata dal tempo. Nel medioevo l’idea della terra come centro dell’universo si era fusa così strettamente con la fede nell’incarnazione di Dio, con la speranza di un nuovo cielo e una nuova terra, che la visione del mondo eliocentrico apparve come un attacco al nucleo stesso della fede. Perché Dio infatti dovrebbe essersi fatto uomo su un pianeta privo di impotenza dal punto di vista astronomico, posto nel mezzo ad un gigantesco universo? La decisiva azione salvifica non era stata privata di una degna sede? Solo con una faticosa lotta si poté arrivare a capire cosa è necessario, e cosa non lo è, per credere nella “discesa” di Dio per assumere un volto umano.
Per questo parla a sfavore di Haag la semplicità con cui egli stabilisce ciò che è conciliabile o meno con la visione moderna del mondo; parla contro di lui la pretesa di decidere in qualità di esegeta, benché egli parli come filosofo e la sua unica filosofia consista evidentemente in una irriflessiva modernità. Ma non è ancora stato deciso in senso univoco il problema se qui, forse, non ci si trovi realmente davanti solo ad un modo di vedere determinato dalla visione del mondo, il cui contenuto reale si debba separare dalla forma.
Sorge perciò l’interrogativo: come si può chiarire ciò? Come si può dubitare che vengano qui ripetuti degli scontri falsi e dannosi come la disputa con Galileo? Come si può impedire, viceversa, che la modernità venga amputata per amore della fede stessa? Anche questo è accaduto, da Reimarus fino ai cristiani tedeschi del Terzo Reich; nel mettersi in guardia di nuovo da casi Galileo, si tace in genere su questo fatto, benché gli effetti di cristianesimi senza dogmi (generalmente protestanti) così conformistici fossero probabilmente molto più catastrofici del processo a Galilei, che non fu soltanto un prodotto dell’ostinatezza ecclesiastica, ma lotta culturale di un’intera società, la quale doveva imparare a superare la scossa ricevuta dai principi spirituali della storia fino allora vissuta ed a distinguere di nuovo, nel cambiamento dei tempi, tra “stelle fisse” e “pianeti”, tra orientamento persistente e movimento transitorio.
Non esistono criteri che si possano impiegare subito, e senza tema di errare, in ogni caso che si presenti; il tracciare dei confini rimane un compito, che richiede anche un continuo sforzo spirituale; si potrà comprendere così una lotta per i confini della fede, finché, per un verso, rimane la disponibilità alla correzione sulla base di un sapere dimostrato e, dall’altra parte, si riconosce che una fede può venir realizzata soltanto nella fede comune con la chiesa; quello che di volta in volta viene considerato sostenibile o meno, non è soggetto alle disposizioni di decisioni private. Anche se non esiste criterio alcuno, che in tutti i singoli casi indichi automaticamente, volta per volta, dove termina la fede e dove inizia la visione del mondo, esistono tuttavia una serie di aiuti per giudicare, i quali indicano la strada da seguire nella ricerca di delucidazioni. Io – Ratzinger – ne nomino quattro.
Un primo criterio deriva dal rapporto dei due Testamenti
La Bibbia non esiste in uniformità, ma nell’accordo tra Antico e Nuovo Testamento, che nel loro porsi di fronte e nella loro unità teologica di tutti i libri della Scrittura si commentano a vicenda. Si deve affermare anzitutto che l’Antico Testamento ha valore soltanto in unione con il Nuovo, sotto i suoi segni, per mezzo della sua rapportabilità, come pure che il Nuovo Testamento dischiude il suo contenuto solo grazie al suo continuo riferirsi all’Antico. Questo dato di fatto è generalmente riconosciuto per quanto riguarda le prescrizioni legislative dell’Antico Testamento; esse non hanno valore di legge nella loro letteralità, ma valgono in quanto sono una parte della storia che porta a Cristo, che è terminata in lui. La stessa regola di base, che Paolo ha chiaramente formulato per la questione della legge, determina in generale la relazione dei Testamenti. Se nell’ultimo secolo la si avesse avuta così chiaramente davanti agli occhi come l’ebbero i padri della chiesa, si sarebbe evitata tutta la disputa sul racconto della creazione. In base ad essa, infatti, il racconto della creazione della Genesi non ha valore diretto, come testo veterotestamentario, nella sua nuda letteralità, ma in quanto viene accolto nella prospettiva del Nuovo Testamento, nell’ambito della cristologia. Se si usa questo criterio, si vede che Gv 1,1 è l’assunzione neotestamentaria del testo della Genesi, la cui vivace descrizione viene riassunta nell’unica affermazione: in principio era il Verbo. Tutto il resto viene rimandato nel mondo delle immagini. Ciò che rimane è la provenienza della creazione dalla Parola, il Verbo del Padre, la quale si rispecchia nell’Antico Testamento in molte parole.
Che senso ha questo criterio per le nostre questioni? Chi lo usa va incontro ad un risultato sconcertante. Mentre noi nel problema della creazione e nella questione della legge troviamo, nel porre il Nuovo Testamento di fronte all’Antico, la tendenza alla concentrazione, al riassunto in un semplice punto centrale, qui appare esattamente il contrario, la tendenza cioè all’espansione; la presenza di potenze demoniache appare nell’Antico Testamento soltanto gradualmente; nella vita di Gesù invece possiede un peso incredibile, che rimane immutato in Paolo e si mantiene fino agli ultimi scritti del Nuovo Testamento, nelle lettere della prigionia e nel vangelo di Giovanni. Questo processo di intensificazione, di estrema cristalizzazione del demoniaco – che avviene nel passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento, proprio in contrapposizione alla figura di Gesù –e la persistenza del tema nell’intera testimonianza neotestamentaria possiedono una notevole forza espressiva.
A partire di qui si potrà dire che nella storia iniziale della fede veterotestamentaria l’affermazione di potenze demoniache doveva rimanere in disparte, perché doveva far accettare, in primo luogo, contro ogni dualità, la fede nel Dio uno ed unico. In un ambiente saturo di dei, che , che osservava incerto i cambiamenti tra dei buoni e cattivi, il richiamo a Satana avrebbe tolto la sua chiarezza alla decisiva professione religiosa. Solo quando la tesi dell’unico Dio, con tutte le sue conseguenze, era divenuto possesso imperturbabile di Israele, fu possibile allargare lo sguardo delle potenze che superavano la dimensione dell’uomo, senza poter mettere in discussione Dio, nella sua unicità. Questo processo storico rimane importante in quanto anche oggi dà un parere vincolante sull’ordine gerarchico della conoscenza di fede e dell’evangelizzazione.
Al primissimo posto sta l’essere Dio di Dio, la sua unicità. La fede cristiana va verso Dio e, a partire da lui, vede il mondo; il cristiano, come dice Gregorio di Nissa a proposito del libro di Qoohelet (2,14), ha i suoi occhi nella testa, cioè in alto, non in basso. Egli sa che colui che teme Dio non deve temere niente e nessuno e il timore di Dio è fede, qualcosa di molto diverso da un timore servile, da una paura dei demoni. Ma esso è anche qualcosa di molto diverso da un coraggio millantatore, che non vuol vedere la serietà della realtà. E’ proprio del vero coraggio non nascondersi le dimensioni del pericolo, ma essere in grado di percepire la realtà nel suo insieme. E ciò chiarifica anche il fenomeno dell’intensificazione: quanto più l’uomo sta dalla parte di Dio, tanto più egli diventa realistico; quanto più chiari si mostrano i confini della realtà, tanto più chiara diventa anche la contrapposizione a ciò che è santo: le belle maschere del demonio non inganno più colui che le osserva partendo da Dio.
Questo porta già ad un secondo criterio. Si deve indagare di volta in volta in quale rapporto sta un’asserzione con la realizzazione della fede e della vita del credente. Delle affermazioni che rimangono soltanto modi di vedere teoretici, ma non entrano nel vero e proprio svolgersi dell’esistenza, in via normale non potranno venir annoverate tra ciò che è essenzialmente cristiano. Viceversa ciò che non si presenta come un puro modo di vedere teoretico, ma sta nello spazio dell’esperienza di fede, appare nella vita di fede come dato dell’esperienza, ha una posizione del tutto diversa. L’idea del sorgere e del tramontare del sole, della posizione centrale della terra, poteva essere quindi un modo di vedere naturale e relativizzazione di tutti gli schemi di visione del mondo. In questa questione mi sembra di straordinaria importanza il fatto che la lotta con la potenza dei demoni appartiene allo specifico cammino religioso di Gesù stesso.
La Bibbia è a conoscenza delle sue tentazioni (Lc 22,28), non soltanto di quelle che vengono esplicitamente descritte; essa va così avanti da poter affermare che Gesù è venuto nel mondo per distruggere le opere del diavolo (1 Gv 3,8). Questa formula compendia ciò che Gesù stesso dice – nella serie di detti sull’uomo-Dio più forte e sulla creatura forte – della potenza dei demoni, il cui regno egli, nella forza dello Spirito Santo, porta alla rovina (Mc 3,20-30). Sorprende che egli, che non voleva lasciarsi trasformare in uomo del miracolo, ritenesse la lotta contro i demoni la parte centrale del suo incarico (vedi ad esempio Mc 1,35-39) e che, di conseguenza, i pieni poteri su di essi costituiscano il nucleo del potere, che egli conferisce ai suoi discepoli: essi vengono mandati “a predicare col potere di cacciare i demoni” (Mc 3,4s). La lotta spirituale contro le potenze che rendono schiavi, l’esorcismo su un mondo abbacinato a demoni è una componente inseparabile dell’iter spirituale di Gesù e sta al centro della sua particolare missione che di quella dei suoi discepoli: il segno soprannaturale, preternaturale del dito di Dio. La figura di Gesù, la sua fisionomia spirituale non cambia se il sole gira attorno alla terra oppure se la terra si muove attorno al sole, se il mondo si è formato per evoluzione oppure no, ma viene decisamente cambiata, se si esclude da essa la lotta con la sperimentata potenza del regno dei demoni.
 A questo secondo criterio è strettamente collegato il terzo.
Una Bibbia senza chiesa sarebbe soltanto una raccolta letteraria come se la rivelazione fosse un meteorite caduto nel libro anziché attraverso il vissuto di un popolo nel formarsi e nell’interpretazione. Perciò quando, al di là della necessaria ricerca scientifica di ciò che è strettamente storico, la Bibbia viene esaminata come libro della fede, quando viene cercata la distinzione tra fede e non fede, deve venir in ballo questa unità tra Bibbia e Chiesa. Come già dicemmo, la fede può venir realizzata soltanto nel credere insieme diacronico e sincronico con tutti; essa svanisce dove viene superata dalla volontà del singolo individuo: come ulteriore criterio è necessario quindi ricercare in che misura le affermazione sono state accolte nella fede, nella scienza della fede maturata nella Chiesa cioè nel dogma. Ma la fede della Chiesa non è qualcosa del tutto univoco e circoscrivibile, altrimenti la questione sarebbe semplice. Si deve dunque discernere con più esattezza ed adoperarsi per scoprire in qualche misura qualcosa è entrato a far parte della vera ed interiore realizzazione della fede, nella forma di base della preghiera e della vita stessa, al di là delle deviazioni della tradizione.
Così, ad esempio, la disputa sulla filiazione divina di Gesù, sulla divinità dello Spirito Santo, sulla unità e trinità di Dio, è stata portata avanti a motivo delle conseguenze per la liturgia battesimale, per la liturgia eucaristica e quindi per il significato della conversione cristiana, quale si presenta nel battesimo: è stretto il rapporto tra liturgia e dogma cioè scienza della fede maturata e accolta definitivamente dalla Chiesa. Basilio, ad esempio, che portò a conclusione l’ultima disputa sulla divinità dello Spirito Santo, ha discusso questo problema con molta rigorosità, partendo dall’intima pretesa del battesimo e della sua forma liturgica. Lui sostenne che il battesimo non è un trastullo liturgico, ma la solenne forma ecclesiale della decisione esistenziale, supposta dall’essere cristiano. Si deve poter prenderla alla lettera, soprattutto nel suo avvenimento centrale. Essa specifica cosa avviene nel divenire cristiani e cosa non avviene: mi dà la scienza della fede accolta dalla Chiesa cioè il dogma.
Ma, per ritornare alla nostra questione, l’esorcismo cioè la preghiera liturgica di liberazione e la rinuncia a Satana fanno parte dell’avvenimento centrale del battesimo; quest’ultima, assieme alla promessa a Gesù Cristo, costituisce l’essenziale porta di ingresso al sacramento cioè al farsi presente e operante con il dono dello Spirito del Risorto. Il battesimo introduce così l’uomo nel modello di esistenza di Gesù Cristo, nella sua lotta e nella sua libertà. Viene a contatto con la sua esperienza spirituale e la trasferisce in colui che inizia ad imitare Cristo in tutta la vita e in tutta la storia umana. Quando l’uomo cammina unito e nella luce di Gesù Cristo il demonio viene trasportato dall’altra parte e diventa così superabile. Ritorna con pieno valore l’affermazione che se si volesse annullare la realtà della potenza (e della presenza) demoniaca, si cambierebbe il battesimo e con esso la realizzazione della vita cristiana, la concezione della storia della salvezza.
 Nella ricerca sulla chiesa, d’altronde, si dovrebbe includere l’esperienza dei santi, di coloro che credono in forma esemplare; parlo della loro esperienza, non di tutte le loro idee. Questa esperienza corrisponde all’esperienza di Gesù; con quanta maggior forza diventa visibile e potente ciò che è santo, tanto meno il demonio può nascondersi. Per questo si potrebbe dire senz’altro che lo scomparire dei demoni, il presunto divenire innocuo nel mondo secolarizzato vanno di pari passo con la scomparire di ciò che è santo cioè di Dio, del Dio che ha assunto un volto umano e che ci ha amato sino alla fine, ogni persona e l’umanità nel suo insieme.
Infine, come ultimo criterio, deve venir ricordato il problema della “visione del mondo”, della conciliabilità con una conoscenza scientifica. La fede diventerà di continuo critica di ciò che di volta in volta ha valore di certezza in quanto moderno e nuovo; però essa non può contraddire una conoscenza scientifica logica garantita, anche se questa dovesse stabilire dei segni negativi così notevoli. Si sarebbe curiosi di sapere in base a quali ragioni Haag decide “che questa concezione non è più conciliabile col nostro mondo”. E’ evidente che essa si oppone al gusto medio della gente; è altrettanto palese che essa non trova nessun appoggio in una concezione immanente di mondo considerato solo funzionalmente.
Ma in un puro funzionalismo immanente non c’è posto neppure per Dio né per ogni singolo uomo come uomo libero, responsabile con una speranza di vita veramente vita divina, ma soltanto per l’uomo come funzione utilitarista, non etico-morale; qui dunque crolla molto di più della sola idea del “diavolo”. Rimane difficile cercare di sapere in nome di quale filosofia Haag esprima il suo verdetto; secondo le apparenze egli parte da uno schema personalistico fortemente semplificato. Ma le forme del personalismo più approfondite hanno riconosciuto senz’altro che con le sole categorie di io e tu non è possibile spiegare l’intera realtà umana; proprio il “rapporto” che unisce l’un l’altro i due poli è una realtà caratteristica ed autonoma. Alcuni suggerimenti tratti dal pensiero asiatico fanno oggi risaltare ancora di più questa coesione. Una malattia psichica, così dicono ad esempio, non è un semplice modo di sentirsi dell’io, ma si basa proprio su una perturbazione del “rapporto”; dal momento che il rapporto non è in ordine, è spezzato, sviato, rovesciato, anche l’io è fuori fase.
Il rapporto è una forza decisiva del destino della quale il nostro io non può affatto disporre completamente. Il ritenere questo è un razionalismo di una sincerità quasi fantastica. Qui il pensiero moderno mette a disposizione, mi sembra, una categoria che ci può aiutare a comprendere di nuovo e con più esattezza la potenza dei demoni, la cui esistenza è di certo indipendente da tali categorie. Essi sono una potenza del “rapporto”, col quale l’uomo è confrontato ad ogni piè sospinto, senza che egli lo possa arrestare. Paolo intende esattamente questo quando parla dei “signori di questo mondo tenebroso”; quando dice che la nostra lotta è diretta contro di essi, contro le potenze celesti del male, non contro la carne e il sangue (Ef 6,12). Essa si dirige contro quel “rapporto” saldamente stabilito, che lega gli uomini l’uno all’altro e nello stesso tempo li separa uno dall’altro, che usa loro violenza mentre fa da preludio alla loro libertà.  Qui si chiarifica una particolarità tutta specifica del demoniaco, cioè la sua assenza di fisionomia, la sua anonimità.
Quando si chiede se il diavolo sia una persona cioè una individualità in relazione, si dovrebbe rispondere che egli è la non relazione, non un io-tu ma un io-io cioè la non-persona, la disgregazione, la dissoluzione dell’essere persona e perciò costituisce la sua peculiarità di presentarsi senza faccia, il fatto  che l’inconoscibilità sia la sua forza vera e propria. In ogni caso rimane vero che questo rapporto è una potenza che punta a dividere, odiare, oscurare la coscienza, meglio, una raccolta di potenze individuali e non una pura somma di io umani. La categoria dell’intermedio, ci aiuta a ricomprendere meglio l’essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore  del demonio, una raccolta di potenze e non una pura somma di io umani. La categoria dell’intermedio, che ci aiuta così a ricomprendere l’essere solo del demonio con tutti rapporti negativi, si presta inoltre per un altro servizio parallelo con tutti rapporti positivi di comunione; rende possibile spiegare meglio la vera potenza opposta, che diventa anch’essa sempre più estranea alla teologia occidentale, lo Spirito Santo cioè. Noi potremmo dire, partendo da quella categoria, che egli è quell’intermediario l’Amore, nel quale il Padre, l’eternamente Amante e il Figlio, l’eternamente Amato costituiscono un unico Essere, l’unico Dio cioè. Noi potremmo dire, intermediario il cristiano si pone di fronte a quell’intermediario demoniaco, che sta ovunque “fra mezzo” ed ostacola l’unità: nell’Apocalisse il demoniaco è Demonio, colui che divide, Stana, colui che spinge all’odio, Serpente antico, colui che oscura la coscienza, Dragone, colui che punta a dissolvere la creazione.
Un teologo così “libero da pregiudizi” come H.Cox ha di recente affermato che i mass-media, nei comportamenti da loro elogiati che fanno opinione egemone, farebbero appello “ai demoni non esorcizzati, non cacciati ecclesialmente in Cristo”; sarebbe perciò molto necessaria “una chiara parola di esorcismo”. Forse egli pensa solo in termini non fisici ma allegorici, non lo so. Ma chi come cristiano vede i baratri dell’era moderna, vede operare la potenza dei sette demoni, che sono tornati nella casa pulita e vuota e mettono in modo il loro non – essere, costui sa che il compito di esorcista di ogni credente inizia oggi a riacquistare quella necessità, che possedette all’inizio del cristianesimo. Si legga dal Catechismo della Chiesa Cattolica: 394: La Scrittura attesta la nefasta influenza di colui che Gesù chiama “omicida fin da principio” (Gv 8,44), e che ha perfino tentato di distogliere Gesù dalla sua missione affidatagli dal Padre. 395: La potenza di Satana però non è infinita. Egli non è che una creatura, potente per il fatto di essere puro spirito, ma pur sempre una creatura: non può impedire l’edificazione  del regno di Dio. Sebbene Satana agisca nel mondo per odio contro Dio e il suo regno in Cristo Gesù, e sebbene la sua azione causi gravi danni – di natura spirituale e indirettamente anche di natura fisica – per ogni uomo e per la società, questa azione diabolica è un grande mistero, ma “noi sappiamo [e quindi crediamo] che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rm 8,28). Ogni cristiano, ogni ministro, soprattutto chi ha un mandato come i vescovi e gli esorcisti, deve rendersi conto che in questo campo è debitore di un servizio di liberazione al mondo e che trascura il suo incarico, se egli aiuta i demoni ad avvilupparsi in quella anonimia, che è il loro elemento prediletto.

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