Ratzinger custode della memoria cristiana

Ratzinger custode della memoria cristiana: per far emergere il ricordo del vero e del bene la Chiesa opera una memoria attraverso la parola-sacramento, la tradizione, il discernimento

È in libreria il volume Ratzinger –La rivoluzione interrotta (La Vela editore, 15 euro) scritto dal giornalista Francesco Boezi. LaVerità del 13 giugno 2018 ha pubblicato stralci del colloquio con il sociologo Marco Luscia incentrato sul binomio fede e ragione.
+Si dice che Ratzinger sia stato “il papa teologo”. Spesso e volentieri – però – il pontefice ha utilizzato anche la filosofia,
specie la filosofia della scienza, per rappresentare e provare l’esistenza del disegno di Dio. Ci spiegherebbe questo concetto ratzingeriano?
“La filosofia di Ratzinger è sempre al servizio della teologia. Un posto di primo piano nel sistema del pensiero del papa emerito spetta alla filosofia della Grecia classica. In essa il primo cristianesimo trova gli strumenti razionali per dar vita a una teologia che ponga al centro la razionalità della rivelazione, quindi della fede cioè il dogma: la qual cosa non poteva accadere per le religioni orientali, che interpretano i miti eminentemente sul piano simbolico. Rispetto agli antichi, credo che Ratzinger abbia un debito affettivo e intellettuale nei confronti di Socrate e Platone, confluito e reinterpretato nella prima patristica, ma soprattutto da Sant’Agostino, cui Ratzinger dedicò la tesi di dottorato. Rispetto ad Aristotele e in particolare al netomismo, inizialmente provò una minore attrazione. Egli stesso riconosce come il rigido neotomismo di fine ottocento e dei primi del Novecento rischiasse di isterilire il concetto di rivelazione, sovente ricondotto alla dimensione di un dogma calato quasi deterministicamente dall’alto. L’incontro con il pensiero personalista e la riflessione esistenzialista  consentono a Ratzinger di attingere, di interpretare e vivere la tradizione dogmatica e magisteriale della Chiesa, in uno spazio aperto al confronto con la contemporaneità. Questo si deve tra l’altro alla riscoperta della patristica. E alla lettura di pensatori come Henri-Marie de Lubac, e Hans Urs von Balthasar. Altri due nomi a noi prossimi con i quali Ratzinger si è sempre confrontato sono i filosofi Josef Pieper e Robert Spaemann, amico personale del papa emerito”.
+Qual è, per il papa emerito, il rapporto tra scienza, coscienza e Dio?
“A più riprese Ratzinger affronta il problema della dottrina della creazione alla luce dei risvolti e degli interrogativi posti dalla scienza moderna, in particolare dalla cosmologia e dalla biologia. In estrema sintesi, il mondo può essere compreso come creazione in primis ravvisando in esso una regolarità e un disegno- in altri termini, una struttura matematica –che contrastano con la logica del caos. In più di un intervento il Papa emerito rileva come persino gli sviluppi più recenti della riflessione nell’ambito della filosofia della scienza che attestano come contrapporre l’oggettività del metodo scientifico – presunta unica forma di verità – alla dimensione soggettiva rappresentata come emozionale – sia sbagliato. A conferma di queste osservazioni, Ratzinger riporta fecondo il dialogo intercorso tra giganti della fisica: Max Planck, Niels Bohr, Werner Heisenberg. Queste riflessioni sul “lato oggettivo e soggettivo del mondo” sono confluite in più testi di Ratzinger. Questo fondamento, che individua la comune origine di ciò che chiamiamo oggettivo e di ciò che definiamo soggettivo, è il logos. Esso agisce sia sul piano della ricerca scientifica, sia sul piano della morale. La creazione come espressione di una ragione è inoltre evidenziata dalle considerazioni di Ratzinger  riguardo alla tesi del libro il caso e la necessità del Nobel Jacques Monod. Per quest’ultimo siamo un caso cioè senza ragioni, un numero uscito inaspettatamente alla lotteria. Ratzinger osserva che di conseguenza la stessa vita, qualora non risulti corrispondente alle aspettative del singolo, risulterebbe quasi come un danno anziché un dono”.
+ “Non credo che Ratzinger sia un grande filosofo, né un grande teologo, anche se generalmente viene rappresentato come tale”. Lo affermò, a due giorni dall’inizio del viaggio in Germania di Benedetto XVI, Umberto Eco, intervistato dal quotidiano tedesco Berliner Zeitung. A distanza di anni, quale risposta si sentirebbe di dare a questa affermazione?
“Il pregiudizio di Eco è dovuto probabilmente a una forma di sudditanza intellettuale nei confronti di Ratzinger, unita a un’ipertrofica autostima. Eco, anziché rispondere nel merito alle provocazioni di Ratzinger – forse per timore – non ha mai argomentato, limitandosi a criticare. Habermas, ma anche altri innumerevoli intellettuali hanno incrociato le loro conoscenze con la sua senza protervia e mancanza di rispetto. Atteggiamenti simili li ritroviamo invece in personaggi cattolici come Hans Kung, che non ha mai mancato di criticare sia Wojtyla sia Ratzinger, seppure nei riguardi di quest’ultimo dovette suo malgrado sempre riconoscere le superbe doti intellettuali”. 
E il rapporto tra coscienza e verità?
“E’ questo un tema particolarmente caro al papa emerito. Per Ratzinger la coscienza non è un oracolo che ci guida sempre infallibilmente: questo significherebbe far coincidere la scelta morale con la sincerità, con la buona fede, con la coerenza. In tal senso si finirebbe per giustificare persino il comportamento dei carnefici nazisti, i quali agirono secondo la loro coscienza. Ma in tal modo la coscienza non è l’apertura di ogni uomo al fondamento del suo essere dono del Donatore divino ma piuttosto il guscio della soggettività”.
La verità del cercare sarebbe troppo difficile e il praticarla, una volta trovata, troppo oneroso.
“A questo punto la morale è liquidata, essa resta soltanto nella forma di un ideale da ammirare, ma umanamente irraggiungibile. Appare dunque evidente come la coscienza debba essere ben formata e non resa opaca dalla nostra trascuratezza, fino a non riconoscere il male. Ratzinger ci dice che sono due i termini che i medioevali  usano per affermare il tema della coscienza: synderesis, che traduciamo con anamnesi, e conscientia. Anamnesi significa far emergere questo ricordo del vero e del bene. Ma per far emergere questo ricordo è necessario un aiuto esterno, serve una maieutica. Per far questo la Chiesa opera una memoria attraverso parola-sacramento, la tradizione, il discernimento. Osserva mirabilmente Benedetto XVI: “Il vero senso dell’autorità dottrinale del Papa consiste nell’essere avvocato della memoria cristiana, il Papa non impone dall’esterno, ma sviluppa e difende la memoria cristiana”. Quanto alla conscientia, sulle orme di san Tommaso, Ratzinger osserva come una retta coscienza si formi attraverso il confronto con il magistero, con i teologi e con la preghiera della Chiesa. La possibilità di riconoscere il bene, dunque, non può ridursi a un solitario meditare, lo sforzo sarebbe titanico; ma deve passare attraverso il confronto con una comunità orante e pensante, che ha la funzione di purificare costantemente le nostre convinzioni. Fermo restando che il tutto dovrà poi fare i conti con la volontà. Quest’ultima chiude la via alla conoscenza, oppure conduce responsabilmente ad essa”.
Non va peraltro dimenticato il potere della Grazia, che illumina e sostiene la vita di colui che costantemente cerchi il vero.
“’Spe salvi facti sumus’, nella speranza siamo stati salvati, dice san Paolo ai Romani e anche a noi. La redenzione, la salvezza, secondo la fede cristiana, non è un semplice dato di fatto. La redenzione ci è offerta nel senso che ci è stata donata la speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente, […] anche un presente faticoso”. Questo passo è tratto da Spe salvi, l’enciclica del papa tradizionalmente considerata come quella più “filosofica”. L’articolata e splendida analisi che papa Benedetto XVI svolge nell’enciclica ha come obiettivo proprio quello di indicare la via più consona alla salvezza umana, nella convinzione che si possa parlare di piena salvezza soltanto uscendo dall’orizzonte delle forze umane che inevitabilmente portano – per dirla con Jaspers – al naufragio dell’esistenza”.
Ratzinger ha “duellato” con Habermas sulla dimensione etico-civile della religione cristiana. La coscienza, insomma, come risorsa e non come problema. Cosa ricorda e cosa ci può dire di quella “scambio”?
“Il dialogo intercorso fra il filosofo Jurgen Habermas e Ratzinger ha rivelato come non sia impossibile trovare un terreno di incontro con la più raffinata eredità illuminista al fine di stabilire delle regole comuni di convivenza ponendo un argine alle derive relativistiche. Ratzinger, coerentemente con tutta la propria riflessione decennale, ribadisce come la sola tecnica non offra garanzie e strumenti capaci di produrre un’etica che fornisca un minimo comune su cui ritrovarsi. Questo non è il compito né della scienza, né della tecnica. Per questo il papa emerito attribuisce un ruolo essenziale alla filosofia e alla religione, che dovrebbero fornire costantemente uno strumento critico nei confronti del potere di fare. Non tutto ciò che è tecnicamente fattibile è necessariamente buono. Questo Ratzinger lo ha sempre detto. L’altro aspetto da tenere presente in una riflessione critica sui valori di una società democratica e pluralista è dato dal principio di maggioranza: detto in altri termini, le decisioni a maggioranza sono sempre buone? Mi pare evidente come anche questo fondamento debba farsi purificare da un’istanza più alta. Habermas ha esplicitamente riconosciuto il valore delle religioni, includendole nel dibattito pubblico in cui prendono forma le decisioni politiche. “Entrambe le parti, fedeli e non fedeli, debbono prendere sul serio i rispettivi contributi, che mentalità diverse, religiose e laiche, possono/devono diventare più riflessive, che i laici farebbero bene a smettere di pensare che la religione non abbia più niente da dire nel mondo contemporaneo e i religiosi a smettere di pensare che al difuori dell’area protetta dalla propria verità rivelata ci sia soltanto un mondo empio e bugiardo”. Mi si permetta di rilevare che i passi indietro la religione li abbia fatti da decenni, mentre certo laicismo insiste con l’irridere ogni forma religiosa riducendo il pensiero ”forte” che affondi in una metafisica, o che comunque si richiami a una prospettiva sacrale anche ben argomentata razionalmente. Tutto questo “rende necessario considerare la luce divina della ragione come organo di controllo, dal quale la religione deve continuamente lasciarsi chiarificare e regolamentare. Ma nelle nostre riflessioni si è visto che esistono  patologie anche nella ragione, una hybris della ragione, che a causa della sua potenziale efficacia, è ancora più minacciosa”. 

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