Domenica VI dopo Pasqua Anno B

 Ama il prossimo non solo come ami te stesso ma come Dio ti ama: è un dono, un comandamento nuovo della Sua presenza sacramentale che ci dona lo Spirito Santo

La liturgia di questa domenica ci parla non di un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati, dando per noi la vita sino alla fine cioè al sepolcro e la risurrezione: per ogni singolo e l'umanità nel suo insieme. Il
suo regno non è un al di là immaginario, posto in un futuro che non arriva mai; il suo regno è presente nella concretezza di un amore reciproco, di una fraternità, di una amicizia,   aperto all'umanità intera, dove Egli è amato e dove il suo amore sacramentalmente ci raggiunge con il dono dello Spirito Santo. Solo il suo amore ci dà la possibilità di perseverare con ogni sobrietà giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, in un mondo che, per sua natura, è imperfetto. E il suo amore, allo stesso tempo, è per noi la garanzia che esiste ciò che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell'intimo aspettiamo: la vita che è "veramente vita" apprendendo la speranza affidabile nella preghiera, nell'agire e soffrire, nell'attesa del Giudizio finale. Siamo veramente al vertice della rivelazione del Nuovo Testamento, della Nuova e definitiva Storia di amore di Dio in ogni relazione umana e per l'umanità intera.
Nell'Ultima Cena Gesù dice ai discepoli: Come il Padre ha amato me, così anch'io ha amato l'umanità amando voi dodici, voi tre, un discepolo in particolare. Rimanete nel mio amore. Sono parole che illuminano e che infondono una grande gioia nel nostro cuore.
L'amore viene dal Padre di tutti, passa dal cuore di Gesù e giunge, attraverso lo Spirito Santo, sino a noi nella concretezza di una famiglia, di una fraternità, di una amicizia particolare aperti a tutta l'umanità. Non possiamo pretendere di essere noi la sorgente di questo amore agapico verso il quale ci spinge anche l'attrattiva erotica che  fa uscire dall'assolutizzare il proprio io per il tu. Culturalmente oggi sul piano della prassi la libertà individuale viene eretta a valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare. In questa solitudine individualistica il Dio cristiano che ha assunto un volto umano rimane escluso dalla cultura e dalla vita pubblica. Perciò questa cultura solo filantropica è contrassegnata, in tutti campi, da una profonda carenza di amore, ma anche da un grande e inutilmente bisogno di Cristo. La vera sorgente di quell'amore che ogni cuore umano desidera viene dall'incontro con Cristo. Incontro significa un ingresso di Cristo in noi attraverso una fraternità, un'amicizia concreta, tale per cui siamo trasformati in Lui, viviamo attraverso l'Eucarestia almeno della Domenica in Lui e di Lui. Egli configura a Sé totalmente la relazione fraterna, di amicizia e la rende pienamente umana. La Sacra Scrittura usa tante immagini: la vite e  i tralci come ci è stato annunciato Domenica scorsa e in questa settimana, la comunione coniugale, l'amicizia.
Perché un incontro del genere possa accadere, Cristo, il Risorto, il presente in modo sacramentale infonde nell'uomo ciò che di più intimo, di più proprio c'è in Lui, il suo stesso Spirito, l'Amore tra l'Amato, il Figlio, e l'Amante, il Padre. E' Lui, lo Spirito, che realizza fin dalla prima Pentecoste l'incontro di ogni uomo col Verbo che ha assunto un volto umano nel grembo verginale di Maria per opera dello Spirito santo, morto e risorto, sacramentalmente presente.
In preparazione della Pentecoste di quest'anno prepariamoci con al preghiera del Rosario per la pace nel mondo soprattutto per la Siria, come indicato da Papa Francesco, ripetendo spesso: vieni Spirito Santo, vieni per Maria.



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