Comunione presbiterale

“Comunione fraterna organica, dunque! E’ il nostro proposito, il nostro imperativo spirituale”. E’ stato questo l’impegno per tutto quest’anno dato dal Vescovo di Verona ai suoi presbiteri nell’omelia del Giovedì Santo dell’anno scorso. Quale verifica alla vigilia del prossimo appuntamento? Ho partecipato all’ultima Congrega del Centro città e mi sono sentito interpellato da un giudizio circa una non condivisione del Concilio Vaticano II che da parte di una minoranza da più di quarant’anni disturberebbe la Comunione fraterna tra presbiteri a Verona, soprattutto in rapporto all’ecumenismo, al dialogo interreligioso e verso tentativi di pastorale di confine.
Proprio quel giovedì, 12 marzo di ritorno dalla Congrega, ho potuto leggere la Lettera di Benedetto XVI ai Vescovi della Chiesa Cattolica innanzitutto sulla prima priorità pastorale che tutti dovremmo condividere. “Nel nostro tempo – Lettera di Benedetto XVI – in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (Gv 13,1) – in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema in questo momento della storia è che sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio all’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre più. Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia: questa è la priorità suprema e fondamentale della Chiesa e del Successore di Pietro in questo tempo. Da qui deriva come logica conseguenza che dobbiamo avere a cuore l’unità dei credenti. La loro discordia, infatti, la loro contrapposizione interna mette in dubbio la loro credibilità del loro parlare di Dio”.
Altre tre priorità derivano di conseguenza:
- “Per questo lo sforzo per la comune testimonianza di fede dei cristiani – per l’ecumenismo – è incluso nella priorità suprema”;
- “a ciò si aggiunge la necessità che tutti coloro che credono in Dio cerchino insieme la pace, tentino di avvicinarsi gli uni agli altri, per andare insieme, pur nella diversità delle loro immagini di Dio, verso la fonte della Luce – è questo il dialogo interreligioso”;
- “chi annuncia Dio come Amore ‘sino alla fine’ deve dare testimonianza dell’amore: dedicarsi con amore ai sofferenti, respingere l’odio e l’inimicizia – è la dimensione sociale della fede cristiana, di cui ho parlato nell’Enciclica Deus caritas est”.
Affrontando il nodo dottrinale dell’interpretazione del Concilio afferma: “Non si può congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962 – ciò deve essere ben chiaro alla Fraternità” e a tutti i tradizionalisti. Ma la tradizione della Chiesa non comincia con il Concilio Vaticano II: “Ma ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa (come il catechismo della Chiesa Cattolica e il suo Compendio propone). Chi vuol essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive”.
Il Concilio porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa
Il Papa fa riferimento a una delle questioni chiave che da anni rendono difficile la comunione tra presbiteri anche a Verona cioè al modo in cui il Concilio deve essere inteso poiché porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa, come è affermato nel Credo del Popolo di Dio di Paolo VI nel 1968 e ripetuto nel 1978: lo strumento più grande della comunicazione del vero nella vita della Chiesa è la sua stessa continuità dinamica: si chiama Tradizione.
Anche se brevemente Benedetto XVI riprende in questo il contenuto del Motu proprio “Ecclesia Dei” di Giovanni Paolo II, che trattava ampiamente la questione. “Ad alcuni di coloro che si segnalano come grandi difensori del Concilio – Giovanni Paolo II – deve essere pure richiamato alla memoria che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa. Chi vuol essere obbediente al Concilio, deve accettare la fede professata nel corso dei secoli e non può tagliare le radici di cui l’albero vive”.
Questo aspetto era fondamentale nel Motu proprio di Giovanni Paolo II, in cui si avvertivano i seguaci di Lefebvre della loro posizione “contraddittoria” per il fatto di mantenere “una nozione di Tradizione che si oppone al magistero universale della Chiesa, di cui detentore è il Vescovo di Roma con il Corpo dei Vescovi obbedienti a lui. “Non si può – spiegava il testo – rimanere fedeli alla Tradizione rompendo il legame ecclesiale con colui al quale Cristo stesso, nella persona di Pietro, ha affidato il ministero dell’unità nella sua Chiesa”.
Ad ogni modo, il Motu proprio rivolgeva un appello anche a coloro che interpretavano il Concilio con l’ermeneutica della discontinuità per “una sincera riflessione circa la propria fedeltà alla Tradizione della Chiesa autenticamente interpretata dal magistero ecclesiastico, ordinario e straordinario, specialmente nei Concili ecumenici da Nicea al Vaticano II …Da questa riflessione tutti devono trarre un rinnovato ed efficace convincimento della necessità di migliorare ancora tale fedeltà, rifiutando interpretazioni erronee ed applicazioni arbitrarie ed abusive, in materia dottrinale, liturgica e disciplinare”.
In particolare, Giovanni Paolo II chiedeva ai teologi e agli esperti “un rinnovato impegno di approfondimento, nel quale si metta in luce la continuità del Concilio con la Tradizione, specialmente nei punti di dottrina che, forse per la loro novità, non sono stati ancora ben compresi da alcuni settori della Chiesa”.La decisione di Benedetto XVI di rimettere la questione alla Congregazione per la Dottrina della Fede presuppone quindi un nuovo chiarimento, per tutta la Chiesa e soprattutto per noi presbiteri, sul Concilio Vaticano II e la sua continuità con la Tradizione della Chiesa, che coinvolgerà teologi e vescovi di tutto il mondo. Questa è ormai una urgenza per tutti i cattolici perché, purtroppo, “questo mordere e divorare” – Benedetto XVI nella sua Lettera - esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una liberà mal interpretata. E’ forse motivo di sorpresa che anche noi non siamo migliori dei Galati (5,13-15)? Che almeno siamo minacciati dalle stesse tentazioni? Che dobbiamo imparare sempre di nuovo l’uso giusto della libertà? E che sempre di nuovo dobbiamo imparare la priorità suprema: l’amore?”.

Commenti

Post popolari in questo blog

Anglicani

I peccati che mandano più anime all'inferno

Sulla bellezza della Messa “Tridentina”