Strage di ebrei in Australia, un monito per tutto l'Occidente
Strage di ebrei in Australia, un monito per tutto l'Occidente
Lorenza Formicola in "Duc in altum" – 15 dicembre 2025
A Bondi Beach, sul litorale di Sidney, un grave attentato islamista - padre e figlio che hanno sparato sulla folla durante la celebrazione della festa di Hanukkah - provoca almeno 16 morti. È il culmine di una lunga scia di attentati e minacce iniziata nell'ottobre 2023. Rafforzate le misure di sicurezza anche in Europa.
Bondi Beach, il litorale iconico di Sydney, in un pomeriggio di domenica si è trasformato in un campo di morte. La violenza è esplosa nel cuore di una celebrazione religiosa (Hanukkah), colpendo ancora una volta la comunità ebraica. Il primo bilancio ufficiale parla di almeno sedici vittime e ventinove feriti. Tra i morti figurano due cittadini israeliani, uno dei quali sopravvissuto all'Olocausto, una bambina australiana di dodici anni e il rabbino di Sydney, Eli Schlanger: la sua uccisione conferisce all'attentato una valenza simbolica ancora più cupa, colpendo non solo gli ebrei, ma anche una figura centrale della vita religiosa della comunità locale.
L'attacco è stato condotto da due uomini armati di fucili d'assalto: uno è stato ucciso dalle forze dell'ordine, l'altro è riuscito a fuggire dopo essere stato disarmato da un civile intervenuto a mani nude. Un gesto di coraggio che solleva interrogativi sulla preparazione poco curata dell'attentato e, soprattutto, sull'assenza di un adeguato dispositivo di sicurezza. Al momento, infatti, non emergono riscontri che attestino la presenza di personale addetto alla vigilanza durante la manifestazione, e già questo è abbastanza anomalo.
Il colpo diretto e devastante al cuore della comunità ebraica di Sydney, avvenuto alle 17 ora locale mentre era in corso l'evento denominato Chanukah by the Sea, una cerimonia pubblica organizzata per celebrare la "Festa delle Luci", che ricorda la riconsacrazione del Tempio di Gerusalemme nel 164 a.C., racconta di una festa religiosa trasformata in una tragedia collettiva. Che apre una ferita profonda che va oltre il numero delle vittime e chiama in causa la sicurezza, la convivenza e la fragilità delle società occidentali.
Secondo le prime ricostruzioni investigative, gli attentatori avrebbero aperto il fuoco in modo indiscriminato, falciando i presenti per circa dieci minuti. Un tempo lungo, interminabile, sufficiente a trasformare una celebrazione religiosa in un massacro. L'obiettivo non era solo uccidere, ma devastare simbolicamente un contesto di vita e di fede ebraica.
Ancora una volta il terrorismo sceglie un evento religioso come bersaglio. Una dinamica ormai fin troppo nota: la propaganda estremista indica con metodo luoghi di culto, momenti di preghiera, spazi di aggregazione come obiettivi ideali, perché simbolici, esposti, vulnerabili.
Il fine settimana appena trascorso si compone così come una geografia della paura. Inizia sabato in Siria, con un attentato rivendicato dall'ISIS che uccide tre cittadini americani. Prosegue in Europa, dove la polizia tedesca sventa l'ennesimo tentativo di attacco con veicolo-ariete contro un mercatino di Natale in Baviera. E si chiude in Australia, con la tragedia di Bondi Beach. Episodi lontani tra loro, ma uniti da una stessa logica. Un'ulteriore conferma di una minaccia diffusa, frammentata, difficile da prevenire in modo capillare: è semplicemente impossibile presidiare tutto, sempre. E l'Occidente si sta arrendendo a vivere nella paura e a ritmi dettati dal terrorismo.
In una nota ufficiale, le forze dell'ordine hanno precisato che all'interno del veicolo, riconducibile a uno degli aggressori, sarebbe stato individuato un ordigno esplosivo rudimentale: elemento che rafforza l'ipotesi di un'azione pianificata e potenzialmente destinata a causare un numero di vittime ancora più elevato.
Secondo indiscrezioni raccolte da fonti informate, i due uomini che hanno aperto il fuoco sulla spiaggia di Bondi Beach, a Sydney, sono padre e figlio e sarebbero probabilmente di origine pakistana, sebbene le autorità non abbiano ancora fornito conferme ufficiali in merito. Inoltre, gli investigatori sarebbero alla ricerca di una terza persona che avrebbe operato insieme ai due attentatori già identificati. Nel frattempo, è emerso che il nome di uno degli aggressori figurava nelle liste di monitoraggio dell'Asio, l'agenzia di sicurezza interna e di intelligence dell'Australia.
Sul fronte interno, il presidente della Jewish Association of Australia, Robert Gregory, ha espresso all'Agence France-Presse un giudizio severo, «È una tragedia, ma era del tutto prevedibile».
Basta riavvolgere il nastro di pochi mesi per comprendere come l'attacco di Bondi Beach sia l'ultimo anello di una catena di violenze sempre più esplicite. Il 2025 si era aperto con l'incendio della vecchia abitazione del CEO del Consiglio Esecutivo dell'Ebraismo Australiano, data alle fiamme e imbrattata di scritte d'odio. Su un'auto parcheggiata poco distante campeggiava la frase: «Fanculo gli ebrei». All'interno della casa dormiva una famiglia non ebrea, rimasta fortunatamente illesa: gli attentatori ignoravano il cambio di proprietà. Accadeva nello Stato di New South Wales, dove vive una comunità ebraica di circa 120 mila persone che, dal 7 ottobre 2023, racconta di vivere in un incubo continuo. Sinagoghe incendiate, automobili date alle fiamme con slogan antisemiti, attività ebraiche vandalizzate: episodi che si sono moltiplicati senza soluzione di continuità.
Il punto di svolta simbolico risale al 9 ottobre 2023, due giorni dopo l'attacco di Hamas in Israele. Quella sera, circa mille manifestanti pro-Palestina si radunarono davanti alla Sydney Opera House per levare cori come «fottuti ebrei», «fottuto Israele» e «gas agli ebrei». Da allora, l'escalation non si è mai arrestata. Nel febbraio 2024, centinaia di accademici e artisti ebrei sono finiti in una vera e propria lista di proscrizione digitale: nomi, indirizzi e recapiti personali diffusi online per colpire presunti "sionisti", innescando campagne di intimidazione e molestie. Tra le vittime, il musicista Joshua Moshe, travolto da un'ondata di odio sistematico. Nel giugno 2024, a Melbourne, un parlamentare ebreo, nipote di un rifugiato fuggito dalla Germania nazista, è stato preso di mira: finestre distrutte, tentativo di incendio, sulla porta la scritta "Il sionismo è fascismo". Il 6 dicembre 2024, prima dell'alba, la sinagoga ortodossa Adass Israel di Melbourne è stata incendiata. Nessun arresto. Pochi giorni dopo, una sinagoga di Sydney imbrattata con svastiche rosse. Infine, a gennaio 2025, un asilo nido di Sydney è stato dato alle fiamme. Lo stesso slogan, ancora una volta: «Fanculo gli ebrei». Una firma ormai ricorrente, che attraversa città e che racconta una normalizzazione inquietante dell'odio antisemita nello spazio pubblico australiano. In questo contesto, il massacro di Bondi Beach appare meno come una frattura improvvisa e più come il punto di non ritorno di una deriva annunciata.
In Europa la reazione è stata immediata. In Francia, il ministro dell'Interno ha disposto un rafforzamento urgente della sicurezza attorno ai luoghi di culto ebraici. Nel Regno Unito, la risposta assume un profilo più profondo e strutturale: di fronte all'aumento delle minacce e ai rischi di infiltrazione, Londra ha annunciato una riorganizzazione radicale dell'intelligence militare.
È la fotografia di un tempo segnato dal ritorno della paura, in cui la sicurezza diventa il termometro più sensibile della fragilità democratica. Perché quando l'odio antiebraico e le sue narrazioni si sedimentano nello spazio pubblico, la violenza smette di essere un'ipotesi.
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