Non scandalizzarsi di Cristo

E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo Mt 11,2-11

di Eremita in "Duc in altum" – 15 dicembre 2025

Giovanni è in carcere. L'uomo forte, l'uomo che nel deserto aveva gridato come un leone, ora si ritrova chiuso, nella notte, senza vedere nulla. È l'immagine dell'uomo quando scopre che tutte le sue certezze non gli bastano più. Giovanni ha annunciato il Messia, lo ha visto venire verso di lui, lo ha indicato come l'Agnello di Dio, e ora, nel buio della prigione, nasce dentro di lui una domanda che forse è la domanda più vera di ogni credente: «Sei tu? O dobbiamo aspettare un altro?»

È la domanda di chi sente crollare i propri schemi, di chi ha seguito Dio ma ora non capisce più nulla. Ed è meraviglioso che il Vangelo non censuri questo dubbio. Perché il dubbio di Giovanni è anche il nostro: quando la vita si stringe, quando arriva una malattia, una crisi, un tradimento, allora anche noi, come lui, mandiamo a dire a Cristo: «Dove sei? Perché non intervieni? Sei davvero tu?»

E Gesù non si offende. Non rimprovera Giovanni. Non gli dice: «Ma come? Non hai avuto abbastanza segni?». No. Gesù risponde mostrando ciò che accade dove lui passa: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i morti risorgono, ai poveri è annunciata una buona notizia. Come a dire: «Giovanni, guarda, il Regno non è un'idea: è una vita che fiorisce dove prima c'era solo deserto. Non devi immaginarti un Messia diverso, non devi aspettarne un altro. Io sono qui. Ma non scandalizzarti se non vengo come tu pensi, se non demolisco il carcere, se non spezzo le catene nel modo che tu desideri. Il Regno sta già operando, anche se tu, ora, non lo vedi».

Questa è la lotta più grande: non scandalizzarsi di Cristo. Non scandalizzarsi della sua umiltà, della sua lentezza, del suo modo di salvare che passa attraverso ciò che noi non avremmo mai scelto. Tutti vorremmo un Dio potente, che risolve, che toglie i problemi con un gesto. Ma Gesù è un Dio che cammina piano, che tocca i lebbrosi, che entra nelle storie ferite, che non scappa dal dolore ma lo porta dentro di sé. Beato chi non si scandalizza di un Messia così.

Poi Gesù si rivolge alla folla, come farebbe un padre che difende il figlio. «Che cosa siete andati a vedere nel deserto?». Quasi dice: «Avete visto un uomo vero, non una canna che si piega davanti al vento». Giovanni non aveva doppiezze, non cercava applausi, non viveva per essere amato. Aveva una sola missione: preparare la via. Lui è stato fedele, e per questo Gesù lo esalta: tra i nati da donna non è sorto uno più grande.

Ma qui Gesù dice qualcosa di sconvolgente: «Il più piccolo nel Regno dei cieli è più grande di lui». Com'è possibile? Giovanni è il vertice dell'attesa, il più grande dei profeti, eppure chiunque – anche il più povero, il più peccatore, il più fragile – se accoglie Cristo, se lascia che Cristo entri nella sua notte, diventa più grande di Giovanni. Perché Giovanni ha potuto indicare il Messia, ma tu hai qualcosa di più: puoi essere abitato da lui. Puoi avere Cristo dentro la tua storia, nella tua carne, nelle tue ferite. Questo ti rende più grande non per merito tuo, ma per grazia ricevuta.

Il Regno è questo: non un luogo lontano, ma un dono che scende nell'ultimo posto, dove uno è piccolo, dove non ha più nulla da difendere. Lì Cristo può fare nuove tutte le cose. E allora questa domanda di Giovanni – «Sei tu?» – diventa per noi una porta. Perché ogni volta che la vita ci mette in carcere, ogni volta che non capiamo, ogni volta che tutto sembra assurdo, possiamo rivolgerci a Cristo e lasciarci raggiungere dalla sua risposta: non un discorso, ma segni di vita nuova. Ciechi che vedono. Poveri che ascoltano una buona notizia. Morti che risorgono.

E allora scopri che non devi aspettare un altro. Non ci sarà un altro. C'è lui, che entra nel tuo carcere e lo trasforma in un luogo di rivelazione. Lui, che ti chiama beato se non ti scandalizzi del suo modo di salvarti. Lui, che prende la tua piccolezza e la fa diventare grande nel Regno.

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